Connessione teleologica: il principio affermato dalle Sezioni Unite

Redazione 21/12/17
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Connessione teleologica: cosa affermano le Sezioni Unite

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute in materia di connessione teleologica, con la sentenza n. 53390 dello scorso 24 novembre. Il principio di diritto affermato stabilisce che “ferma restando la necessità di individuare un effettivo legame finalistico fra i reati, non è richiesta l’identità degli autori ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. c)“.

In altre parole, non è necessario che i soggetti attivi del reato mezzo siano i medesimi del reato fine, affinché possa parlarsi di connessione teleologica tra reati, concetto che dunque assume un carattere più prettamente oggettivo.

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La questione al vaglio della Suprema Corte

La questione posta alle Sezioni Unite era fortemente discussa in dottrina e in giurisprudenza. In particolare, si trattava di chiarire se, per potersi parlare di connessione teleologica tra più fattispecie criminose, si dovesse indagare un aspetto puramente oggettivo ovvero se venisse in rilievo anche un elemento soggettivo. Il contrasto era stato sottoposto al Supremo organo con ordinanza dello scorso 21 luglio, presentata dalla prima sezione penale della Corte.

L’istituto della connessione disciplina le ipotesi in cui più procedimenti possono essere trattati unitariamente, in forza di un collegamento tra i diversi fatti trattati nell’ambito di ciascuno di questi. Si tratta, dunque, di una questione che si riflette in materia di individuazione del giudice competente. In particolare, la connessione di tipo teleologico, sussiste quando i diversi reati sono commessi per il raggiungimento di un fine unitario; dunque, è l’unità della direzione finalistica che, appunto, connette i diversi procedimenti (art. 12, comma 1, lett. c, c.p.p.).

La direzione finalistica delle condotte criminose

L’orientamento minoritario sosteneva che non fosse necessaria l’identità dei soggetti che commettono il reato mezzo e coloro che realizzano il reato fine, sulla base di una lettura evolutiva dell’istituto che, in sede di modifica, ha visto venir meno il riferimento all’identità dei soggetti, prevista invece nella formulazione precedente. L’orientamento opposto, invece, prescindeva dal dato letterale e riteneva la necessità dell’identità soggettiva tra gli autori delle fattispecie connesse.

Le Sezioni Unite della Corte, valorizzando il dato letterale, hanno aderito all’indirizzo minoritario, ritenendo ininfluente l’identità soggettiva. Al contrario, ciò che verrebbe in rilievo è l’aspetto oggettivo della direzione finalistica che accomuna le diverse condotte criminose.

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