Condizioni di riabilitazione del fallito

Scarica PDF Stampa

Bancarotta fraudolenta – riabilitazione del condannato – requisiti – adempimento delle obbligazioni derivanti dal reato – impossibilità – sussistenza

Il soggetto che sia stato dichiarato fallito in seguito a bancarotta fraudolenta e per questo condannato può essere riabilitato non solo quando abbia adempiuto a tutte le obbligazioni civili derivanti dal reato (ossia quando abbia soddisfatto tutti i creditori del fallimento), ma anche quando abbia dimostrato l’impossibilità di poterlo fare1.

Questo è il senso di Cass. Pen. 11/5/2011 n.1077, su ricorso contro un provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Roma che respingeva la richiesta di riabilitazione, sull’assunto che il fallito, nonostante la buona condotta, non aveva soddisfatto i creditori.

Il fenomeno del fallimento e l’istituto della riabilitazione corrono su piani diversi, seppur paralleli, quando da una stessa controversia nascono responsabilità civile e penali, come nel caso di fallimento dovuto a bancarotta fraudolenta; cio giustifica perché, anche in questo caso, la Suprema Corte sembri apparentemente remare contro il Legislatore.

Le numerose riforme intervenute in materia di diritto fallimentare, come è noto, sono state tutte rivolte ad una maggior responsabilizzazione dell’imprenditore fallito, non più solo spettatore della procedura, ma soggetto attivo, con una maggior rilevanza del suo ruolo e conseguentemente delle sue responsabilità: basta porre mente ai requisiti richiesti per l’esdebitazione del fallito2.

Nel caso di specie alle conseguenze civili si erano aggiunte delle conseguenze penali per il reato di bancarotta fraudolenta, e il fallito aveva chiesto la riabilitazione, ritenendo sussistenti i requisiti.

I requisiti richiesti dall’art. 179 CP per la riabilitazione sono principalmente: il decorso di almeno tre anni dall’esecuzione o dall’estinzione della pena, la costante buona condotta e l’adempimento delle obbligazioni civili. Quest’ultimo requisito, in realtà, è espresso “in negativo”, in quanto l’ultimo comma dell’art. 179 CP afferma che “La riabilitazione non può essere concessa quando il condannato… non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nella impossibilità di adempierle”. La stessa norma, quindi, prevede una clausola di salvezza per chi non sia riuscito ad adempiere a tutte le obbligazioni derivanti dal reato.

Le ragioni di ciò stanno nella diversità di principi cui sottostanno le norme sul fallimento e quelle di diritto penale: le pene accessorie, infatti, possono risultare particolarmente gravose, e non sarebbe giusto impedire il ritorno alla vita attiva nella società con la riespansione di tutte le capacità giuridiche (questo è sostanzialmente lo scopo della riabilitazione) a chi si sia trovato, senza propria colpa, nell’impossibilità di adempiere alle obbligazioni civili derivanti dal reato. Del resto basti pensare che con la riabilitazione e la ripresa dell’attività lavorativa spesso l’imprenditore è in grado di ripianare le proprie pendenze, mentre impedirglielo danneggerebbe tutti, debitore e creditori, senza alcuna ragione di equità.

Nel caso di specie la richiesta era in realtà mal posta, perché tra i documenti presentati vi era la prova del pagamento dei creditori di un altro fallimento, sempre a carico dello stesso imprenditore, ma in una procedura diversa da quella che aveva dato origine al procedimento penale, e bisognerebbe leggere l’istanza di riabilitazione fatta dal difensore per verificare se questi documenti erano stati prodotti, impropriamente e un po’ ingenuamente, come prova dell’adempimento delle obbligazioni, oppure, come appare più plausibile, come prova implicita dell’impossibilità di soddisfare anche gli altri creditori, dopo aver già pagato i creditori di un altro fallimento.

A parte l’opportunità o meno di soddisfare i creditori di un fallimento “semplice” a scapito dei creditori di una bancarotta fraudolenta (preferenza dovuta, forse, ad una scansione temporale degli eventi) la Corte di Cassazione ha giudicato fondato il ricorso in quanto il Tribunale di Sorveglianza avrebbe dovuto esplicitare le ragioni per cui non riteneva “impossibile” l’adempimento, e quindi non applicabile, in quel caso, l’utimo comma dell’art. 179 CP.

Ma la Suprema Corte si spinge un pò più in là della norma affermando che l’impossibilità ad adempiere alle obbligazioni civili non deve dipendere necessariamente da un’impossibilità economico-patrimoniale, ma deve essere accertata dal complesso di tutte le circostanze incluse anche le condizioni sociali e perfino di salute del fallito: “l’impossibilità… non va intesa in senso restrittivo, e cioè come sinonimo di impossidenza economica, ma ricomprende tutte le situazioni non imputabili al condannato che gli impediscono, comunque, l’adempimento delle obbligazioni civili”.

Ovviamente vi sono anche delle restrizioni per il fallito: innanzitutto, ai fini della concessione della riabilitazione, l’adempimento delle obbligazioni civili è richiesto sempre e comunque, anche se non vi sia stata costituzione di parte civile né condanne in tal senso3.

Inoltre sussiste a carico dell’imprenditore fallito uno specifico onere probatorio sia del requisito di buona condotta sia dell’impossibilità di adempiere alle obbligazioni civili4.

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

CARINGELLA, DELLA VALLE, DE PALMA, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Dike, 2009; CERQUA, Diritto Penale delle società, Cedam, 2010; TRAVERSI, GENNAI, Diritto penale commerciale, CEDAM, 2008; BONFATTO, CENSONI, Manuale di Diritto Fallimentare, Cedam, 2009; FABIANI, Diritto fallimentare. Un profilo organico, Zanichelli, 2011.

1 Massima dell’Autore

2 V. artt. 142 ss RD 267/1942

3 V. Cass. Pen. 27/11/1998 n. 6445; Cass. Pen. 10/11/1998 n. 2942

4 V. Cass. Pen. 5/10/1999 n. 4731

Avv. Chiricosta Giovanni

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento