Per condannare la struttura sanitaria non basta il fatto lesivo, ma è necessaria anche la sussistenza di un danno conseguenza a carico del paziente. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: il fatto lesivo e il danno
I genitori di una bambina nata con una malformazione genetica alle vie urinarie convenivano in giudizio la struttura sanitaria presso la quale la madre era stata seguita durante la gravidanza ed aveva partorito, chiedendo il risarcimento dei danni subiti dai medesimi e dalla stessa neonata.
In particolare, gli attori addebitavano alla struttura sanitaria la mancata diagnosi della malformazione genetica del feto (al momento della gravidanza), che aveva impedito ai genitori di conoscere la situazione di salute che la figlia avrebbe avuto dopo la nascita e per tutto il resto della vita. In ragione di detta omessa diagnosi della struttura sanitaria, i genitori lamentavano di aver subito diversi danni patrimoniali e non patrimoniali: fra i primi, il danno emergente per le spese mediche già sopportate e per quelle che avrebbero dovuto sostenere in futuro, quelle per le necessità di accudire la figlia invalida; nonché il lucro cessante dovuto alla necessità di dedicare del tempo per accudire la figlia e quindi di sottrarlo alla attività professionale, con conseguente diminuzione del reddito. Fra i danni non patrimoniali, invece, gli attori lamentavano la diminuita vita di relazione e il trauma psicologico subito per essersi trovati figli di una neonata invalida senza alcuna preparazione psicologica.
La struttura sanitaria convenuta chiedeva invece il rigetto delle domande attoree, ritenendole infondate in fatto e in diritto.
All’esito della consulenza tecnica d’ufficio espletata in corso di causa, il giudice rigettava le domande attoree ritenendole infondate. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale sulla struttura
Il Tribunale calabrese ha ricordato che nelle fattispecie di responsabilità medica a cui non si applica la Legge Gelli-Bianco, qualora il paziente sostenga di aver subito un danno a causa di un’attività posta in essere da un medico in adempimento ad una prestazione che deve essere resa dalla struttura sanitaria, sia la responsabilità della struttura che quella del medico stesso hanno natura contrattuale.
La responsabilità contrattuale della struttura deriva dall’inadempimento alle obbligazioni sulla medesima gravanti in virtù del contratto atipico di spedalità. La responsabilità contrattuale del medico deriva dalla violazione di un obbligo di comportamento fondato sulla buona fede e funzionale a tutelare l’affidamento sorto in capo al paziente in seguito al contatto sociale avuto con il medico.
Per quanto riguarda il rapporto tra paziente e struttura sanitaria, questo scaturisce da un contratto obbligatorio atipico (il c.d. contratto di spedalità) che si perfeziona sulla base di fatti concludenti, con la accettazione del malato presso la struttura sanitaria. In virtù di detto contratto, la struttura deve adempiere sia a delle prestazioni principali di carattere sanitario, sia a prestazioni secondarie ed accessorie (come assistere il malato, fornirgli vitto e alloggio ecc.).
Pertanto, la struttura sanitaria può rispondere nei confronti del paziente sia per fatti propri, indipendentemente dalla condotta posta in essere dai sanitari di cui la struttura sia avvale per prestare la propria attività, sia per le condotte dei sanitari di cui essa si avvale per adempiere al contratto intercorso con il paziente.
Secondo il tribunale calabrese, inoltre, l’obbligazione a carico della struttura sanitaria e quella a carico del professionista sono delle obbligazioni di mezzi: pertanto, l’inadempimento o l’inesatto adempimento si sostanzia nell’aver tenuto un comportamento non conforme alla diligenza richiesta in base alle regole tecniche previste per lo svolgimento di quella professione (c.d. perizia). Invece, il mancato raggiungimento del risultato può costituire un danno consequenziale all’esecuzione della prestazione non diligente, ma non determina di per sé l’inadempimento.
In altri termini, sussiste l’inadempimento del medico e della struttura sanitaria nel caso in cui il sanitario non osservi o violi le specifiche regole cautelari di condotta proprie dell’agente modello del settore specialistico di riferimento.
Per quanto riguarda la responsabilità connessa alle prestazioni diagnostiche dei sanitari, il tribunale ha ritenuto che l’errore diagnostico sussiste sia quando il sanitario, in presenza di sintomi, non riesce ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o lo inquadri in una patologia errata, sia nel caso in cui il sanitario ometta di eseguire o di disporre controlli ed accertamenti diagnostici doverosi per poter effettuare una corretta diagnosi.
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, il CTU ha accertato che la patologia di cui è affetta la bambina è una malformazione anatomica congenita dell’apparato urinario.
In ragione di ciò, il giudice ha ritenuto che la patologia non è imputabile alla condotta dei medici e che non è possibile condannare la struttura sanitaria neanche per l’omessa diagnosi della patologia di cui era affetto il feto, in quanto la parte attrice ha allegato in modo estremamente generico i danni subiti dalla bambina.
Secondo il giudice, infatti, parte attrice si è limitata ad allegare la sussistenza di generiche menomazioni della figlia che richiedono una cura costante della invalida, ma non ha indicato in maniera specifica quali funzioni fisiologiche sarebbero state perse dalla bambina, temporaneamente o definitivamente, a causa della omessa diagnosi della malformazione da parte dei sanitari.
In altri termini, gli attori non hanno neanche dedotto la sussistenza di un danno conseguenza subito dalla bambina a causa della condotta omissiva dei sanitari.
Infatti, la malformazione di cui è affetta la bambina non costituisce di per sé un danno collegabile causalmente alla condotta dei sanitari. Anzi, secondo il giudice al neonato non può essere riconosciuto un risarcimento da danno derivato dall’essere affetto da una malformazione congenita (ciò in quanto non è previsto un diritto a non nascere o a nascere se non sani).
Pertanto, in questo caso vi può essere un danno conseguenza imputabile alla struttura sanitaria soltanto se la patologia ha generato delle ripercussioni ulteriori nelle sue funzioni fisiologiche.
In altri termini, per il giudice, l’eventuale omessa diagnosi della malattia congenita da parte dei sanitari da sola non è sufficiente per condannare la struttura sanitaria al risarcimento, in quanto l’obbligazione risarcitoria non sussiste se c’è solo il fatto lesivo ma non c’è un danno conseguenza a carico del debitore.
Conseguentemente, il giudice ha rigettato la domanda attorea per mancanza di allegazione (e di prova) della sussistenza di danni subiti a causa della condotta posta in essere dai sanitari (senza neanche esaminare e accertare se la condotta medesima poteva ritenersi un inadempimento o meno alla prestazione gravante sulla struttura sanitaria).
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