Condanna dell’assicuratore RCA oltre il massimale: non necessaria la domanda del danneggiato

Nella sentenza si chiarisce i termini della mala gestio sia in ordine al rapporto assicuratore/assicurato che a quello con in terzo danneggiato.

Allegati

Nella sentenza numero 29924 del 20.11.2024 la III Sezione della Corte di Cassazione, presidente Frasca, relatore Rossetti, chiarisce i termini della mala gestio sia in ordine al rapporto assicuratore/assicurato che a quello con in terzo danneggiato. Il “Formulario commentato del nuovo processo civile – Aggiornato ai correttivi Cartabia e mediazione” di Lucilla Nigro offre un supporto pratico e operativo per affrontare ogni fase del contenzioso civile

Corte di Cassazione -sez. III civ.- sentenza n. 29924 del 20-11-2024

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Indice

1. I fatti di causa e i giudizi di merito: la mala gestio dell’assicuratore


Tizio decedeva in seguito ad un sinistro stradale, quel trasportato del veicolo condotto da Caio e circolante privo di copertura assicurativa.
Gli eredi di Tizio convenivano in giudizio l’assicuratore Alfa, quale Compagnia responsabile per la gestione del Fondo di garanzia vittime della strada. La domanda veniva dichiarata improcedibile in primo grado, con sentenza riformata in appello che condannava l’assicuratore al pieno risarcimento dei danni subiti dagli eredi di Tizio.
La sentenza venne impugnata per Cassazione dalla società Alfa, la quale si doleva sia della condanna ultra massimale che del mancato accoglimento della domanda di regresso in danno di Caio.
La Corte di cassazione cassava la sentenza con rinvio, sia in ordine alla questione della condanna ultra massimale, sia in relazione alla domanda di regresso dell’assicuratore.
La Corte d’appello, in sede di rinvio, rimodulava la condanna in favore degli eredi di Tizio, limitandola, sia in ordine alla sorte che agli interessi, al massimale previsto per legge ratione temporis. Il “Formulario commentato del nuovo processo civile – Aggiornato ai correttivi Cartabia e mediazione” di Lucilla Nigro offre un supporto pratico e operativo per affrontare ogni fase del contenzioso civile

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2. Il ricorso di legittimità


La sentenza viene impugnata per cassazione dagli eredi di Tizio, con un motivo che viene accolto dal Supremo collegio e che consente un chiarimento sull’istituto della mala gestio.
Nel motivo poi accolto, i ricorrenti rilevano che la domanda di mala gestio non necessiti di formule sacramentali e che è sufficiente la richiesta del danneggiato di condanna dell’assicuratore al pagamento degli interessi di mora, in quanto il ritardo dell’assicuratore (o dell’impresa designata) nell’adempiere la propria obbligazione verso il terzo danneggiato non è propriamente una mala gestio, ma un puro e semplice inadempimento.
La motivazione della Corte d’appello di rigetto della domanda di condanna dell’assicuratore alla somma ulteriore ed esorbitante dal massimale affermava che l’assicuratore della r.c.a. può essere condannato al pagamento d’una somma eccedente il massimale solo nel caso di mala gestio e quindi di ingiustificato ritardo nell’adempimento della propria obbligazione, mentre nel caso di specie una tale domanda non fu formulata dagli eredi di Tizio.
Prima di motivare l’accoglimento del motivo, la Suprema Corte chiarisce i contorni, anche lessicali, della questione giuridica.
La mora debendi dell’assicuratore della r.c.a. (o dell’Impresa designata) nei confronti del terzo danneggiato è spesso definita “mala gestio impropria”, ma questa espressione è puramente convenzionale e, essa stessa, “impropria”.
Infatti una “cattiva gestione” degli interessi altrui è concepibile unicamente nel rapporto contrattuale che, quindi, può intercorrere tra tra assicurato ed assicuratore, e non essere invocata nei rapporti con terzi. Solo nell’ambito del rapporto contrattuale, infatti l’assicuratore “gestisce”, come un mandatario, gli interessi dell’assicurato.
Sussiste, quindi, una differenza ontologica tra mora e mala gestio nel rapporto contrattuale (e quindi afferente una obbligazione di fare) e la mora per l’inadempimento d’una obbligazione di dare, quale è quella che sorge in seguito al fatto illecito.
L’assicuratore che incorra nella mala gestio degli interessi del proprio assicurato, quindi, potrà essere tenuto al pagamento di somme eccedenti il massimale non solo a titolo di interessi, ma anche a titolo di capitale. L’esempio di scuola è quello dell’assicuratore che, rifiutando per colpa una vantaggiosa proposta transattiva avanzata dal danneggiato e contenuta nei limiti del massimale, finisca per lasciare l’assicurato, all’esito del giudizio, esposto alla pretesa del danneggiato per l’eccedenza del credito risarcitorio rispetto al limite del massimale.
Nel rapporto che incorre, invece, nell’ambito della RCA per fatto illecito, l’assicuratore è solo un debitore del danneggiato, con il quale non è in rapporto contrattuale e al quale non potrà opporsi alcun inadempimento in caso di mancato pagamento nei termini di cui all’art. 148 del codice delle assicurazioni.
Quindi, scaduto detto termine, l’assicuratore è in mora come qualsiasi altro debitore e nei suoi confronti non potrà parlarsi di mala gestio.
L’assicuratore nel caso de quo, quindi, e come qualunque altro debitore di una obbligazione di valuta, quando sia in mora, va incontro alle conseguenze di cui all’ art. 1224 c.c. e cioè l’obbligo di pagamento degli interessi o del maggior danno ex art. 1224 c.c. (cfr. Cass. n. 10725/03 e n. 8676/22).
Dal punto di vista processuale ciò comporta che il danneggiato, il quale intenda ottenere la condanna dell’assicuratore al pagamento del danno da mora non ha da formulare altra domanda che quella di pagamento degli interessi (Cfr. Cass. n. 8374/24).
Sul piano sostanziale, invece, se l’assicuratore è in mora (e lo è dallo spirare del termine ex. art. 148 cda), è irrilevante che la sua condanna al pagamento degli interessi superi il massimale.
Pertanto, quando l’assicuratore della r.c.a. sia tenuto al pagamento dell’intero massimale, e non adempia nei termini di legge, non può più pretendere che le conseguenze della sua mora restino contenute nel limite del massimale.
Altresì, e ai fini anche della rivalsa, se l’assicuratore della r.c.a. debba versare alla vittima l’intero massimale e non lo faccia nei termini di legge, tale ritardo sarà imputabile a lui, non al fatto dell’assicurato.
La Corte conclude, quindi, la pronuncia con le seguenti statuizioni:
a) la condanna dell’assicuratore ultramassimale non esige formule sacramentali da parte dell’attore; basta la domanda di condanna al pagamento degli interessi;
b) il massimale segna il limite dell’obbligazione dell’assicuratore quanto al capitale; quanto alla mora, invece, l’assicuratore è un debitore come tutti gli altri, e se ritarda il pagamento della propria obbligazione sarà tenuto a versare al creditore anche gli interessi moratori;
c) se si seguisse il non condivisibile principio applicato dalla Corte d’Appello si perverrebbe ad effetti paradossali in tutti i casi in cui il danno causato dall’assicurato dovesse superare il massimale, un assicuratore potrebbe ritardare per anni l’adempimento, senza andare incontro agli effetti della mora.
Venendo al caso specifico e ai motivi dell’accoglimento del ricorso, poichè l’atto introduttivo del giudizio conteneva la domanda di condanna dell’assicuratore al pagamento del capitale, nonché “degli interessi e rivalutazione”, questo basta perché il giudice di merito sia legittimato a provvedere sulle conseguenze della mora, se del caso anche in eccedenza rispetto al massimale.
Il ricorso viene quindi accolto.

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Michele Allamprese

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