Conciliazione nella procedura civile e confronto con la mediazione civile e commerciale

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Strumenti conciliativi previsti dal codice di procedura e risoluzione alternativa al ricorso al giudice

     Indice

  1. Introduzione
  2. Art 185bis cenni
  3. Richiamo agli Artt. 420 e 447bis cpc
  4. Conclusioni

1. Introduzione

La giurisdizione è, insieme alla legislazione ed all’amministrazione, una delle tre funzioni fondamentali dello Stato costituzionale. In attuazione del principio della divisione dei poteri, la legislazione appartiene al Parlamento democraticamente eletto, la funzione amministrativa-esecutiva al Governo ed alla pubblica amministrazione, la funzione giurisdizionale ai giudici.

In particolare, la giurisdizione è stata definita come “l’attuazione della volontà concreta della legge mediante la sostituzione dell’attività di organi pubblici ad un’attività altrui, sia nell’affermare l’esistenza della volontà della legge, sia nel mandarla praticamente ad effetto” (Chiovenda). Può anche essere considerata come “la giusta composizione delle liti” (Carnelutti), intendendo per “lite” ogni conflitto d’interessi regolato dal diritto e per “giusta” quella composizione che avviene secondo il diritto.

Il diritto processuale, dunque, sarebbe un mezzo per raggiungere lo scopo ulteriore della composizione del conflitto d’interessi, così come le procedure, alternative al tribunale, per la risoluzione delle controversie, come la mediazione, introdotta nell’ordinamento dal Dlgs. 28/2010, in attuazione della Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale,

Di conciliazione tuttavia si tratta anche nel Capo II  Dell’istruzione della causa del codice di procedura civile.

2. Art. 185bis cenni

L’art. 77 lett. a) del d.l. n. 69/2013 (c.d. decreto del fare), ha introdotto l‘art. 185 bis cpc. , rubricato Proposta di conciliazione del giudice.[i] Qualora vi sia una richiesta congiunta delle parti, il Giudice istruttore può fissarne la comparizione per interrogarle, ai sensi dell’art. 117 cpc[ii] e cercare la loro conciliazione. Questo tentativo può essere esperito durante l’istruzione e, raggiunta la conciliazione, il relativo verbale rappresenta un  titolo esecutivo.

E’ un istituto che conferisce al giudice la duplice funzione di conciliare e di decidere la causa: prevede il potere del giudice di rivolgere alle parti proposte conciliative, ossia di definire bonariamente la lite e può ordinare alle parti di esperire il procedimento di mediazione.

In caso di rifiuto ingiustificato della proposta conciliativa formulata dal giudice e anche in caso di mancata valutazione di questa con serietà ed attenzione, sussiste la responsabilità processuale aggravata ex art 96 comma 3.

L’applicazione dell’art 185bis presuppone la pendenza di una lite di pronta soluzione. Ciò rende meno arduo definire una controversia, evitando che si protragga un contenzioso inutile o questioni seriali. l legislatore ha, in sostanza, inteso evitare l’inutile prorogarsi  di contenziosi su cui il giudice si è già pronunciato.

Con la riforma  69/2009, e, appunto, con il decreto legislativo 28/2010 sulla mediazione civile e commerciale, il legislatore pare aver inteso dare un forte impulso a tutti i mezzi di soluzione delle controversie alternativi al giudizio,

L’introduzione dell’art. 185bis, potrebbe sembrare un ripensamento rispetto alla scelta di  riduzione del contenzioso per mezzo della mediazione ossia della risoluzione della controversia ad opera  di soggetti terzi estranei al sistema giudiziario ovvero per mezzo di forme di negoziazione preliminare gestita dalle parti (decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132).

L’art. 185-bis cpc, pur avendo un medesimo scopo deflattivo, non va confuso con la cd. Mediazione demandata,[iii] si inserisce fra gli interventi normativi di degiurisdizionalizzazione formulati dopo la sentenza 272/2012, che aveva pronunciato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. 28/10 per eccesso di delega.

In presenza di una pluralità di sistemi conciliativi, pur con le peculiarità proprie di ciascuno di essi, talora in rapporto di concorrenzialità, appare possibile un loro impiego combinato o in sequenza nell’ambito dello stesso contenzioso.


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3. Richiamo agli Artt. 420 e 447 cpc

L’art 185 bis cpc può essere applicato nei giudizi relativi all’ambito familiare in generale (e di separazione e divorzio in particolare), così come nei giudizi possessori o cautelari, nelle cause in materia di sinistri stradali e di risarcimenti danni in ambito condominiale. Si tratta sì dello stesso ambito di operatività dell’istituto della mediazione ma, come si è espresso il Tribunale di Milano (Sez.  IX  civ., Decreto 26 giugno 2013), “sarebbe difficile distinguere settori dell’ordinamento in cui il giudice possa o non possa aiutare i litiganti a pervenire ad un assetto condiviso per la soluzione pacifica della causa”.

Va ricordata, quindi, la previsione dell’art. 420 c.p.c.[iv], norma inserita nell’ambito del rito del lavoro previsto dalla legge n. 533 / 1973 che rappresenta una serie di regole mediante le quali il legislatore ha inteso introdurre un procedimento speciale a cognizione piena, ma più celere e semplice rispetto a quello ordinario, di modo da assicurare una tutela più veloce alle parti del rito lavoristico[v].

Il legislatore mirava a far confluire in una sola udienza tutte le attività inerenti il processo per creare un contatto tra le parti ed il giudice.

In questa udienza, pertanto, si svolgono le verifiche relative all’udienza di cognizione, l’interrogatorio delle parti, ed il tentativo di conciliazione.

In particolare, rispetto allo strumento di composizione extragiudiziale, è opportuno precisare come il tentativo di conciliazione fosse obbligatorio fino all’entrata in vigore della legge 183/2010 come questione preliminare. Il tentativo di esperire la conciliazione è una mera facoltà. Se l’esperimento del tentativo di conciliazione ha esito positivo, si redige apposito verbale, il quale ha valore di titolo esecutivo.

Il rito del lavoro si applica ex art 447 anche in caso di locazione.

Dopo l’introduzione della mediazione, è, invece, quest’ultima ad essere una condizione pregiudiziale alla causa giudiziale.

La conciliazione nel rito locatizio ex art. 447bis ccp[vi]

Il D.l. 69/2013[vii] ha disciplinato esplicitamente, per le cause di locazione che proseguono a seguito del mutamento del rito, l’obbligatorietà del procedimento di mediazione, sanzionata con l’improcedibilità del giudizio. Ai sensi dell’art.5, comma 4, lett.b) d.lgs.28/2010, infatti, le disposizioni dei commi 1 bis e 2 non si applicano “nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’art.667 c.p.c.”

L’originario intimante ha quindi l’onere dell’avvio del procedimento entro 15 giorni dalla data dell’udienza ex art. 426 c.p.c., termine che deve essere considerato perentorio, secondo la giurisprudenza prevalente.

4. Conclusioni

Sulla base dell’art 6 CEDU, e dell’art. 111 della Costituzione, si può affermare che il “giusto processo” si quel giudizio che preveda specifiche garanzie, tanto nel processo penale quanto in quello civile. Innanzi tutto la previsione che il processo sia regolato dalla legge, poi che sia garantito il contraddittorio e in condizioni di parità fra le parti, deve inoltre essere assicurata l’indipendenza e l’ imparzialità del giudice rispetto alle parti in causa; infine, la ragionevole durata del processo. Va ricordato che, nel nostro ordinamento, la legge 24 marzo 2001, n. 89 – nota come legge Pinto – prevede il diritto all’equa riparazione per il danno patrimoniale non patrimoniale subito in ragione di un processo dalla durata irragionevolmente lunga.

In questa prospettiva, pur nell’apparente contraddittorietà, tanto le misure codicistiche quanto l’istituto della mediazione contribuiscono in modo sostanzialmente complementare a rendere effettivo l’esercizio del diritto di cui all’art. 24 della Costituzione in virtù del quale tutti possono agire per tutelare i propri diritti ed interessi legittimi.


Note

[i] Il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice.

[ii] Le parti possono essere rappresentate da un procuratore, generale o speciale, fornito di procura conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata che deve espressamente attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia.

[iii] «il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione…».

[iv] Nell’udienza fissata per la discussione della causa, il giudice interroga liberamente le parti presenti, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva o conciliativa.

[v] Il rito del lavoro è connotato da

– l’oralità

– l’immediatezza

– la concentrazione degli atti processuali

Innanzitutto occorre individuare l’ambito di operatività di tale speciale rito processuale, desumibile dall’art. 409 cpc., ai sensi del quale il rito in parola si applica in materia di lavoro subordinato privato; lavoro agricolo; rapporti di agenzia e rappresentanza commerciale e ad ogni altro rapporto di lavoro, anche non subordinato, purché concretizzantesi in una prestazione di opera continuativa; rapporto di lavoro dei dipendenti di enti pubblici economici; rapporto di pubblico impiego, se non devoluto ad altro giudice;

[vi] Norme applicabili alle controversie in materia di locazione, di comodato e di affitto):Le controversie in materia di locazione e di comodato di immobili urbani e quelle di affitto di aziende sono disciplinate dagli articoli 414, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421, primo comma, 422, 423, primo e terzo comma, 424, 425, 426, 427, 428, 429, primo e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436, 436-bis, 437, 438, 439, 440, 441, in quanto applicabili. (2)
Sono nulle le clausole di deroga alla competenza. (3)
Il giudice può disporre d’ufficio, in qualsiasi momento, l’ispezione della cosa e l’ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni, sia scritte che orali, alle associazioni di categoria indicate dalle parti.
Le sentenze di condanna di primo grado sono provvisoriamente esecutive. All’esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo in pendenza del termine per il deposito della sentenza. Il giudice d’appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l’efficacia esecutiva o l’esecuzione siano sospese quando dalle stesse possa derivare all’altra parte gravissimo danno
.

[vii] Convertito con modificazioni in l. 98/2013.

Dott.ssa Bianchi Laura

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