Abbiamo ritenuto di proporre ai lettori il commento di tale sentenza proprio nel tempo in cui ,attraverso le modifiche contenute nel protocollo Governo-Sindacati del 23 luglio 2007, su previdenza,lavoro e competitività per l’equità e la crescita sostenibili , si vuole introdurre un meccanismo limitativo della durata dei contratti a termine.
La sentenza in commento , riportata in calce, affronta una tematica, in questi tempi, oggetto di diffuse controversie ma la affronta ,per quanto ci risulta, sotto un profilo nuovo.
La questione riguarda l’utilizzo diffuso di personale con contratto a tempo determinato in occasione della trasformazione giuridica dell’Ente Poste e della conseguente fase di ristrutturazione.
Tali contratti a tempo determinato trovano il loro fondamento in una serie di accordi collettivi integrativi, che prendono le mosse dall’accordo del 25 settembre 1997. Tale accordo tra le parti sociali giustifica il ricorso ai contratti a tempo determinato da parte dell’Ente poste italiane ( poi Poste Spa) facendo riferimento ad una motivazione complessa e articolata, testualmente <ad esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali,in relazione alla trasformazione giuridica dell’ente,in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane>.
Tali accordi vengono ricondotti dagli interpreti ,per il loro fondamento legale, all’art.23 della legge 28 febbraio 1987 n. 56.
Ora la Corte di Appello di Milano ,con la sentenza impugnata, dà una lettura del contenuto dell’accordo di segno particolare, affermando che i suoi obiettivi si sostanziano in <un programma finalizzato ad una più elastica ed agevole disposizione delle risorse umane> riconducibile <ad un piano di trasformazione ed adeguamento delle Poste italiane> che si presenta, secondo la Corte, e qui è il punctum dolens , <del tutto indeterminato quanto a modalità di tempo e di strumenti salvo per quanto riguarda il ricorso al lavoro a termine> Da tale analisi la Corte fà discendere due corollari: a) il ricorso a un certo numero di contratti a termine, in tale contesto, invece di costituire uno strumento del programma <diventa esso stesso un obiettivo (permanente) per far fronte alle esigenze di distribuzione delle risorse umane nel territorio> b ) e ,ancor più incisivamente, la Corte qualifica il menzionato ricorso ai contratti a tempo determinato, quale <strumento… di fluidità svincolato da un piano preciso da realizzare con tempi e modalità predefinite, e , perciò, al di fuori della previsione di cui all’ art . 23 della legge n.56/1987>.
Nel primo motivo di ricorso la ricorrente ,Poste italiane Spa,.addebitava alla Corte di Appello l’ erronea affermazione secondo la quale <sussisterebbero degli impliciti limiti sostanziali alla contrattazione collettiva in materia di contratti a termine, in base ai quali la stessa non potrebbe individuare liberamente le ipotesi di legittima applicabilità del termine finale al contratto di lavoro subordinato> ,contrapponendo ad essa la asserzione di principio per cui <la contrattazione collettiva ha la facoltà di legittimare l’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato per qualunque condizione di fatto anche di durata temporale indeterminata e senza che i poteri dello Stato possano sindacarne nel merito l’opportunità>:Non sfuggirà che in tale posizione sono presenti due distinte questioni di diritto, che vengono a sovrapporsi e intrecciarsi :la prima che ,in forza dell’art.23 l.56/87, non v’è limite sostanziale per la contrattazione collettiva all’individuazione di ipotesi di fatto suscettibili di supportare l’apposizione del termine al rapporto; la seconda che tali ipotesi possono presentarsi prive ab initio di una qualsiasi predeterminazione temporale.
La Suprema Corte interviene a portare chiarezza in entrambi gli aspetti. Quanto al primo,in conformità di un orientamento già affermato; quanto al secondo analizzando la natura propria della delega contenuta nell’art. 23 l.56/87.
Ripercorrendo anche la storia dell’istituto, la Suprema Corte individua due momenti nella evoluzione dello stesso istituto del contratto a tempo determinato. Un primo momento, quello dei contratti a termine autorizzati ( nella specie dall’Ispettorato del lavoro),per i quali l’autorizzazione rappresentava il presupposto necessario per una valida apposizione del termine (sistema introdotto dal d.l. 3 dicembre 1977 ,876 conv. in legge 3 febbraio 1978 n.18 e successive modificazioni).Un secondo momento, quello della riserva all’autonomia collettiva dell’individuazione di ipotesi di contratti a termine, ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge. I due modelli si caratterizzano ,secondo la Corte di cassazione, per le diverse esigenze che soddisfano, in quanto il primo, quello delle autorizzazioni, viene a coprire esigenze organizzative straordinarie, laddove il secondo modello, di cui all’ art. 23 l.36/87, introduce la possibilità di impiego normale e ricorrente del contratto a termine. Ne risulterebbe conclude <in parte modificata la funzione economico – sociale del tipo contrattuale ,per cui la tutela del lavoratore resterebbe affidata allo strumento negoziale collettivo. (1) Si porrebbe a questo punto l’ulteriore questione se <il contratto a termine autorizzato dalla contrattazione collettiva venisse a costituire, essendone mutata la funzione economico sociale ,un tipo contrattuale a sé stante, interamente sottratto all’area di applicazione della legge 18 aprile 1962 n.230>, problema già peraltro risolto dal principio affermato in particolare da Cassazione Sezioni Unite n.10343/1993 secondo il quale <la disposizione dell’art. 23 della legge n.56/1987 opera sul medesimo piano della disciplina generale in materia e si inserisce nel sistema da questa delineato>.
Da queste premesse, di natura storico-sistematica, la Corte Suprema fa discendere alcune conseguenze ,in merito alla applicabilità della sanzione della conversione e la deroga al principio dell’onere della prova.
Ma per ciò che interessa in particolare la questione oggetto della nostra analisi ,la Corte afferma due principi attinenti alla natura e ai confini ,anche e soprattutto temporali, che sono posti in ordine alle ipotesi da individuare da parte dei soggetti chiamati dalla legge ad estendere l’area della apponibilità del termine al rapporto di lavoro e cioè : ( a) che le ipotesi da individuare <debbano essere ulteriori, e ,perciò diverse rispetto a quelle già previste dalla legge per cui < ne risulta, quindi ,una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe rispetto a quelle già previste dalla legge>; ma soprattutto, e ci pare l’affermazione più significativa , (b) che < appare, dunque, parzialmente inesatta la statuizione contenuta nella sentenza impugnata nel punto in cui rinviene nel sistema delineato dalla legge la necessità che- ove le nuove ipotesi di contratto a termine siano dotate di particolare ampiezza tale da capovolgere il rapporto tra la regola generale dell’assunzione a tempo indeterminato e l’assunzione a termine- la norma contrattuale debba naturalmente avere, di per sé, una efficacia temporale limitata, perché ( come già rilevato nella particolare fattispecie normativa) l’autonomia sindacale non trova limiti nella legge per quanto riguarda la tipologia e l’ambito temporale di operatività delle nuove ipotesi di contratti a termine da introdurre.>.
La questione affrontata dalla Corte potrebbe teoricamente riformularsi nel quesito se possa stabilirsi un confine tra l’esigenza temporanea di durata limitata, che sottende al contratto a termine, e l’esigenza di durata illimitata che sottende al contratto a tempo indeterminato, in altri termini stabilire dove finisce l’una e dove subentra l’altra. Nel precedente ordinamento una indicazione veniva data dall’art. 4 l.230/1962 che consentiva la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato ai dirigenti amministrativi e tecnici fino a un limite massimo di cinque anni, con possibilità di recedere dopo un triennio osservata la disposizione del preavviso.
Possiamo anche aggiungere una ulteriore considerazione. Sebbene il principio, come ha chiaramente precisato la Corte, è stato elaborato con riferimento al precedente sistema regolativo dell’istituto, in quanto la fattispecie “ratione temporis” esulava dall’ambitoapplicativo del D.Lgs. N.368 del 2001,tuttavia nulla esclude che, nelle sue linee fondamentali ,potrebbe trovare applicazione alle tipologie contrattuali che verranno poste in essere sulla base della nuova normativa. Infatti l’interpretazione della regola generale introdotta dall’articolo 1,comma1 del D.lgs . n. 368 del 2001,secondo la quale il termine è consentito in presenza di “ragioni di carattere tecnico,produttivo,organizzativo o sostitutivo”, secondo la dottrina, appare in coerenza con il principio,testè enunciato dalla Suprema Corte. ( 2)
Sez. lav. — 21 marzo 2005, n. 6029 — Pres. Sciarelli — Est. Balletti — P.M. Sepe (concl. diff.)— Po. It. S.p.A. c. Ca.[ in Mass. giur. Lav. 2005,482 (m)]
Contratto di lavoro a tempo determinato – Assunzioni previste dalla contrattazione collettiva ex art. 23, I. n. 56/1987 – Efficacia temporale limitata – Necessità – Esclusione – Ratio – Fattispecie relativa ad assunzioni a tempo determinato di dipendenti postali ex art. 8 c.c.n.l. del 26 novembre 1994 e relativo accordo integrativo del 25 settembre 1997, sottratta «ratione temporis» al d.lgs. n.368 del 2001.
L’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della 1. n. 56 del 1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine, rispetto a quelli previsti dalla I. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità che — anche quando le nuove ipotesi di contratto a termine siano dotate di particolare ampiezza — la norma contrattuale abbia, di per sé, una efficacia temporale limitata, atteso che l’autonomia sindacale non trova limiti nella legge con riferimento alla tipologia e all’ambito temporale di operatività delle ipotesi di contratti a termine da introdurre. (Principio affermato relativamente alla previsione di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione, contenuta nel contratto del 25 settembre 1997 dei dipendenti postali, integrativo del c.c.n.l. del 26 novembre 1994, in fattispecie sottratta ratione temporis al d.lgs. n. 368 del 2001).
(1) Principio ancora applicabile nel nuovo sistema introdotto dala D.Lgs. n.368 del 2001.Vedi infatti Tribunale di Firenze Sez.lav. 23 aprile 2004 –Bazzoffi Giud. Novella c. poste italiane s.p.a. in RIDL , 2005, II,195 : “La nuova disciplina legislativa del contratto a termine non attribuisce più alla contrattazione collettiva il potere di allargare gli spazi di legittima utilizzazione di questo tipo di contratto di lavoro.Tuttavia,anche nel vigore della nuova disciplina, la previsione in sede collettiva della possibilità di assunzione a termine in determinate circostanze costituisce un elemento di garanzia e di riscontro oggettivo in ordine alla reale sussistenza delle ragioni giustificatrici richieste dalla legge”
(2) v. Antonio Vallebona-Carlo Pisani Il nuovo lavoro a termine ed. CEDAM 2001,pag .25: “ La questione centrale è se il lavoro a termine sia ammesso solo come extrema ratio , cioè quando sia inevitabile a causa della oggettiva temporaneità dell’occasione di lavoro, oppure anche quando, pur in presenza di un occasione permanente di lavoro, sussista una ragione oggettiva non arbitraria o illecita che renda in concreto preferibile un rapporto a termine. L’interpretazione più corretta è sicuramente quest’ultima. Invero la nuova norma generale sostituisce non solo le precedenti ipotesi legali che tipizzavano occasioni temporanee di lavoro, ma anche le vecchie ipotesi di fonte collettiva che, invece, ben potevano riferirsi, ed in effetti si riferivano, in assenza di un vincolo legale qualitativo, anche ad occasioni permanenti di lavoro, tipizzando una qualsiasi ragione legittimante la loro copertura a termine…………era certa l’assoluta libertà dell’autonomia collettiva di individuare causali oggettive legate ad esigenze aziendali, a prescindere dal carattere temporaneo o permanente dell’occasione di lavoro”.
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