Indice:
- Il giudizio di “merito”
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
- Volume consigliato
Il giudizio di “merito”
Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Reggio Calabria aveva emesso un ordine di esecuzione della pena di anni ventinove, mesi uno e giorni 17 di reclusione, con decorrenza dal 10 dicembre 2008.
In particolare, la pena da scontare era stata determinata procedendo ad una serie di cumuli parziali, ciascuno relativo a reati commessi.
Con istanza presentata dal condannato, costui aveva dedotto la illegittimità di questo cumulo emesso dal pubblico ministero.
Con provvedimento ai sensi dell’art. 663 cod. proc. pen., il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Reggio Calabria determinava la pena da eseguire nei confronti di tale condannato in anni ventinove, mesi uno e giorni 17 di reclusione fermo restando che la determinazione della pena da eseguire era stata operata mediante formazione di cumuli, così detti parziali, ciascuno relativo alle pene inflitte per i reati commessi, rispettivamente, sino al 3 settembre 1994, 22 giugno 1995 e 19 gennaio 1999, 26 aprile 2001 e 14 marzo 2005.
Inoltre, con provvedimenti del magistrato di sorveglianza, erano stati riconosciuti giorni 900 di liberazione anticipata.
Ciò posto, con ulteriore richiesta presentata sempre da siffatto condannato, questo chiedeva l’annullamento dell’ordine di esecuzione emesso in data 24 novembre 2020, osservando che quasi tutti i reati erano stati uniti nel vincolo della continuazione con determinazione di una pena unica e, che, comunque, in ogni caso, i periodi di esecuzione della pena e di liberazione anticipata dovevano essere detratti “alla fine del cumulo e non dopo ogni singolo cumulo parziale”.
Con successiva memoria, la difesa evidenziava inoltre come la pena inflitta dalla sentenza pronunciata in data 22 febbraio 2007 dalla Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria fosse stata “scorporata” in due distinti cumuli mentre, nel primo cumulo, dovevano essere inserite le pene inflitte per reati commessi sino al 12 aprile 2002, data di inizio della prima esecuzione di pena, in un secondo cumulo, invece, doveva essere inserita solo la pena inflitta, mesi quattro di reclusione, per il reato associativo commesso sino al 14 marzo 2005, tenuto conto altresì del fatto che la pena da eseguire, con era pari ad anni venti, mesi tre e giorni 25 di reclusione, già detratti giorni 900 di liberazione anticipata.
Precisato ciò, dal canto suo, la Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria, quale giudice dell’esecuzione, respingeva codesta richiesta ritenendo corretto il provvedimento di cumulo adottato dal pubblico ministero.
Si legga anche:
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento appena citato proponeva ricorso per Cassazione il difensore del condannato deducendo violazione dell’art. 657 cod. proc. pen. e degli artt. 76 ss. cod. pen. stante il fatto che i cumuli parziali erano stati formati anche con riguardo alle date di consumazione di reati successivi a periodi di custodia cautelare, in violazione del principio secondo il quale, invece, si deve tener conto dei periodi di esecuzione della pena.
Nel dettaglio, il ricorrente faceva in particolare presente come l’esecuzione penale fosse iniziata nei confronti del ricorrente solo in data 12 aprile 2002, essendo i precedenti periodi di carcerazione a titolo di custodia cautelare e, quindi, a suo avviso, il primo cumulo doveva comprendere le pene inflitte dalle sentenze indicate nei primi quattro cumuli parziali (tranne la condanna per reato associativo sino al 14 marzo 2005), la relativa pena complessiva doveva essere ridotto ad anni trenta di reclusione ai sensi dell’art. 78 cod. pen. dalla quale doveva essere detratta la pena eseguita.
Il residuo da scontare doveva essere infine aumentato della pena di mesi quattro di reclusione inflitta per reato associativo, con permanenza sino al 14 marzo 2005.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso era stimato manifestamente infondato e ne veniva quindi dichiarata la inammissibilità.
Si osservava a tal riguardo prima di tutto che la norma di cui all’art. 663 cod. proc. pen., che impone al pubblico ministero incaricato dell’esecuzione, nel caso di pluralità di condanne nei confronti della medesima persona, di determinare “la pena da eseguirsi in osservanza delle norme sul concorso di pene” stabilite dagli artt. 71-80 cod. pen. va letta unitamente al disposto di cui all’art. 657 cod. proc. pen., che impone al pubblico ministero “nel determinare la pena detentiva da eseguire” di computare “il periodo di custodia cautelare subita per lo stesso o peraltro reato … altresì il periodo di pena detentiva espiata per un reato diverso, quando la relativa condanna è stata revocata, quando per il reato è stata concessa amnistia o quando è stato concesso indulto”, rilevandosi al contempo che tale computo, ai sensi del comma 4 della norma processuale, riguarda “soltanto la custodia cautelare subita o le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire”.
Da ciò se ne faceva discendere che, nel caso in cui, nel determinare la pena da eseguirsi, si debba tener conto di una pluralità di condanne e di pregressi periodi di detenzione già sofferti, si deve procedere a formare distinti cumuli, così detti parziali, ciascuno comprensivo delle pene inflitte per reati commessi prima dell’inizio di ciascun periodo di detenzione fermo restando che, in ciascun cumulo parziale, va computata la pena complessivamente inflitta – con applicazione delle norme sul concorso di pene e quindi l’eventuale applicazione del cumulo giuridico di cui all’art. 78 cod. pen. – e la pena eseguita mentre il residuo di pena da scontare va cumulata alla pena inflitta per i reati compresi nel cumulo successivo al fine di determinare – con cumulo materiale ovvero giuridico – la complessiva pena e quindi, detratto il periodo di custodia ovvero di esecuzione sofferti, la pena residua da scontare (Sez. 1, n. 45775 del 02/12/2008; Sez. 5, n. 50135 del 27/11/2015; Sez. 1, n. 13985 del 25/02/2020).
Orbene, declinando tale orientamento interpretativo rispetto al caso di specie, gli Ermellini notavano come fosse infondato l’assunto difensivo secondo il quale i cumuli parziali dovrebbero essere formati con riguardo alla data di inizio dell’esecuzione della pena, e non in relazione alla custodia cautelare, posto che la norma processuale, nell’imporre il computo della detenzione già sofferta, lo limita con riferimento alle pene inflitte per reati commessi successivamente al periodo di detenzione, sia esso per custodia cautelare, ovvero per esecuzione della pena sine titulo, dando quindi rilievo alla data di inizio della detenzione, a prescindere dal titolo di essa.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito come si deve determinare la pena da eseguirsi nel caso di pluralità di condanne e pregressi periodi di detenzione già sofferti.
Difatti, in tale pronuncia, citandosi numerosi precedenti conformi, si afferma che, nel caso di pluralità di condanne e pregressi periodi di detenzione già sofferti, la pena da doversi eseguire deve essere determinata attraverso la formazione di distinti cumuli, così detti parziali, ciascuno comprensivo delle pene inflitte per reati commessi prima dell’inizio di ciascun periodo di detenzione fermo restando che, in ciascun cumulo parziale, va computata la pena complessivamente inflitta – con applicazione delle norme sul concorso di pene e quindi l’eventuale applicazione del cumulo giuridico di cui all’art. 78 cod. pen. – e la pena eseguita mentre il residuo di pena da scontare va cumulata alla pena inflitta per i reati compresi nel cumulo successivo al fine di determinare – con cumulo materiale ovvero giuridico – la complessiva pena e quindi, detratto il periodo di custodia ovvero di esecuzione sofferti, la pena residua da scontare.
Siffatto provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba verificare se la pena da doversi eseguire sia stata correttamente determinata, ove si verifichi una evenienza processuale di tal genere.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su questa tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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