Come le conversazioni captate devono essere valutate dalla Cassazione

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Il fatto

Il Tribunale di Napoli, Sezione del riesame, rigettava l’istanza di riesame avverso una ordinanza del Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale del 23 marzo 2021, applicativa della custodia cautelare in carcere.

In particolare, l’indagata – sottoposta al regime degli arresti domiciliari – era ritenuta gravemente indiziata della partecipazione ad un’associazione ex art. 74, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., dedita allo smercio di sostanze stupefacenti delle più varie tipologie, all’ingrosso e al dettaglio.

Più nel dettaglio, secondo l’ordinanza genetica, il gruppo criminale aveva svolto tali attività sotto l’egida di un clan camorristico, egemone nel contesto territoriale di riferimento, i cui esponenti di vertice consentivano a piccoli gruppi di gestire il commercio al minuto con una relativa autonomia e, fornendo loro protezione, gli imponevano di avvalersi di canali di approvvigionamento indicati e di corrispondere una percentuale sugli introiti.

Essi, a loro volta, fruivano di una limitata autonomia decisionale ed operavano in regime di compresenza con il detto clan di camorra che manteneva però la gestione diretta di diverse piazze di spaccio dei quartieri popolari attraverso propri affiliati.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’indagata, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge in rapporto all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione quanto agli elementi costitutivi del reato associativo; 2) vizio di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari ed ai criteri di scelta della misura sotto il profilo della adeguatezza.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva ritenuto fondato, seppur in parte.

Quanto al primo motivo di doglianza, ad avviso del Supremo Consesso, esso non si confrontava con l’articolata disamina della ordinanza impugnata la quale, anche riproducendo stralci significativi di quella genetica, ricostruiva, sia le attività del gruppo criminale dedito al narcotraffico, che i suoi rapporti con il sodalizio camorristico che ad esso assicurava protezione, imponendo le proprie condizioni, ossia l’utilizzo di canali di approvvigionamento ed il versamento di provvigioni.

In particolare, in punto di diritto, veniva fatto presente che la riconducibilità, nel caso di specie, del gruppo dedito a tali attività, svolte in via continuativa e per un tempo apprezzabile, al paradigma di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309/1990, per la Corte di legittimità, era stata correttamente operata – escludendosi così la pretesa violazione di legge – dovendosi considerare che, ai fini della integrazione del reato, non è richiesta l’esistenza di una complessa ed articolata organizzazione (che nella specie peraltro esiste), ma è sufficiente una struttura anche rudimentale, desumibile dalla predisposizione di mezzi e suddivisione dei ruoli (Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019; Sez. 2, n. 16540 del 27/03/2013), essendo a tal proposito determinante il carattere dell’accordo, orientato alla realizzazione di una serie non predeterminata di reati in materia di stupefacenti, con disponibilità degli associati, duratura ed indefinita nel tempo, al perseguimento del programma e del fine comune di trarre profitto da quel commercio, tenuto conto altresì del fatto che la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di evidenziare come, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell’affectio di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata dell’osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato. (v. Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019).

Ciò posto, anche per quanto concerne il vizio di motivazione a proposito degli elementi costitutivi del reato associativo, gli Ermellini, nel ritenere cotale vizio non fondato, osservavano come compito del giudice di legittimità non sia quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, attraverso una diversa lettura, benché anch’essa logica, dei dati processuali od una diversa ricostruzione storica dei fatti o, ancora, un diverso giudizio di rilevanza o di attendibilità delle fonti di prova, bensì quello di stabilire se quei giudici abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, nonché in precedenza Sez. U, n. 930 del 13/12/1995).

Da ciò se ne faceva conseguire, con riferimento alle fonti dimostrative poste a base del titolo cautelare, che, da un lato, non sono, censurabili, se non entro gli appena esposti limiti, sia le propalazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia, sia valutazione del giudice di merito circa eventuali contrasti testimoniali o la sua scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (in tal senso, Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017) così come, con riguardo alle intercettazioni telefoniche, si è univocamente ritenuto che costituisca questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (tra le molte, Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016), illogicità che rileva, quale vizio di motivazione, soltanto se manifesta, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, senza possibilità, per la Corte di Cassazione, di verificare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003).

Precisato ciò, per quel che riguarda invece il secondo motivo, ossia quello inerente le esigenze cautelari, esso era stimato fondato.

Difatti, una volta fattosi presente che l’ordinanza impugnata, in punto di pericolo di reiterazione del reato, deduceva un elevatissimo pericolo di recidiva da numerosi tratti connotanti l’associazione in esame, descritta come solida e ben strutturata nelle sue articolazioni, ed anche dotata di capacità di autorigenerarsi, nonostante la pressante azione di contrasto delle forze dell’ordine e gli intervenuti arresti dei suoi componenti, sottolineandosi, altresì, da un lato, la sua capacità di operare sul territorio anche attraverso soggetti sottoposti a restrizione autocustodiale, dall’altro, il fatto che i giudici del merito, in modo ritenuto del tutto appropriato, denotavano l’assenza di elementi di favore che potessero far ritenere vinta la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari posta dall’art. 275 cod. proc. pen., posto che, rispetto ad essa, l’onere dimostrativo della rescissione del vincolo associativo grava sull’indagato, si riteneva pur tuttavia come ciò che difettasse nella fattispecie in esame, fosse l’attualità di dette esigenze, stante il fatto che i collaboratori di giustizia si erano limitati a riferire, stando al contenuto dell’ordinanza impugnata, della perdurante operatività delle piazze di spaccio da essi gestite fino all’aprile 2020, epoca in cui essi avevano intrapreso il percorso collaborativo, reputandosi siffatta valutazione non individualizzante in quanto di contenuto generico e priva di ogni riferimento alla persona dell’indagata mentre il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari, anche nel caso in cui, trattandosi di reati associativi o di delitto aggravato dall’art. 7 della legge n. 203 del 1991 (ora art. 416-bis I cod. pen.), non risulti la dissociazione dell’indagato dal sodalizio criminale (Sez. 1, n. 42714 del 19/07/2019).

Limitatamente alla espressa valutazione di attualità delle esigenze, l’ordinanza del riesame veniva dunque annullata con rinvio al giudice di merito competente perché emendasse la ravvisata lacuna motivazionale.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante specialmente nella parte in cui è ivi chiarito, in materia di intercettazioni telefoniche, come le conversazioni captate devono essere valutate dalla Cassazione.

Difatti, in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, una volta fattosi presente che, con riguardo alle intercettazioni telefoniche, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni costituiscono una questione di fatto rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, pur tuttavia, il loro apprezzamento può essere sindacato anche in sede di legittimità nei limiti però della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite fermo restando che tale illogicità rileva, quale vizio di motivazione, soltanto se manifesta, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, senza possibilità, per la Corte di Cassazione, di verificare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.

Ove si voglia quindi formulare, mediante ricorso per Cassazione, una doglianza afferente l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, è consigliabile attenersi a questo approdo ermeneutico, per evitare il rischio che tale censura non venga accolta in sede di legittimità.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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