Colpevole di violenza sessuale lo psicoterapeuta che intrattiene rapporti con la paziente compulsiva

Redazione 24/01/13
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Lucia Nacciarone

Con la sentenza n. 1600 del 23 gennaio 2013 la Cassazione ha confermato la condanna a carico dello specialista, che adesso dovrà risarcire la donna.

Già nel giudizio di merito l’uomo era stato giudicato colpevole di violenza sessuale ai sensi dell’art. 609 bis del codice penale, per avere lo stesso avuto rapporti sessuali abusando, come recita la norma, delle condizioni di inferiorità psichica della persona offesa. La paziente infatti era in analisi in quanto affetta da un disturbo della personalità di tipo compulsivo, nonché da bulimia, e, secondo la ctu non era assolutamente in grado di intrattenere relazioni sentimentali o sessuali in maniera sana.

Del resto, proprio la consulenza aveva attestato anche un trauma residuato alla signora, diretta conseguenza delle violenza subìte.

Il ricorrente aveva contestato sia la ctu che i fatti storici così come erano stati raccontati, assumendo di aver avuto un relazione con una donna consenziente, e di non averla forzata in modo alcuno. Tra l’altro, ad avviso dello specialista, il disturbo di tipo psichico da cui era affetta la paziente (la bulimia) non incideva sulla sua facoltà di determinazione delle scelte sessuali, ed anzi la signora avrebbe desiderato proseguire la relazione sentimentale.

Nessuna scusa, avvisano i giudici, sia di merito che di legittimità: il medico non poteva ignorare gli effetti del transfert fra lo psicoterapeuta e la paziente in cura, e nello specifico la sua intensità nei pazienti compulsivi ed avrebbe dovuto essere in grado di valutare la situazione di vulnerabilità in cui si trovava la donna e la conseguente condizione di dipendenza che veniva ad instaurarsi; di conseguenza lo stesso aveva violato la capacità della donna di determinarsi liberamente proprio a causa dello stato di inferiorità psicologica in cui si trovava.

Per questo, gli ermellini hanno ritenuto correttamente applicato l’articolo 609 bis del codice penale. Hanno, altresì, confermato l’applicazione della norma di cui all’art. 28 del Codice deontologico, sottolineando come il divieto di avere rapporti con i pazienti è strettamente ancorato non solo alla professionalità del medico ed alla eticità del suo comportamento, ma anche alla intangibilità della dignità del paziente che a lui si affida.

Per questo, ferma restando la responsabilità penale per il reato di violenza sessuale, l’uomo è stato anche condannato a risarcire il danno subìto dalla paziente.

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