Colpa inadempimento e fatto illecito: responsabilità oggettiva

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 Nella moderna società del rischio dove si assiste alla massificazione dei danni provenienti anche da attività lecite, ci si chiede che ruolo svolga la colpa nell’imputazione della responsabilità civile, sia essa di natura contrattuale o extra-contrattuale, anche in relazione al ruolo della responsabilità oggettiva, la quale, sembrerebbe essere più in linea con le circostanze di cui sopra.

Indice

1. Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: ratio e funzione


La responsabilità civile, contrariamente all’impostazione passata, in cui si prevedeva la distinzione tra la stessa (denominazione a cui si ricollegava la responsabilità per fatto illecito) e la responsabilità contrattuale[1], è interpretata come un concetto unitario (genus), la quale ricomprende al suo interno, la responsabilità contrattuale (che deriva da contratto) e la responsabilità extra-contrattuale (che deriva da fatto illecito)[2].
E’ necessario compiere una breve puntualizzazione sulla distinzione funzionale tra le medesime[3], poiché rilevante in relazione all’elemento della colpa, che è nozione comune ad entrambe.
La norma fonte di entrambe le responsabilità è l’articolo 1173 c.c. Entrambe le responsabilità trovano fondamento nell’assunzione di un obbligo a cui si viene meno, che nel caso della responsabilità contrattuale scaturisce dall’incontro delle volontà dei privati (1321 c.c.) per conseguire un interesse meritevole di tutela (1322 c.c.), che può avere natura anche non patrimoniale (1174 c.c.). Nel caso della responsabilità extra-contrattuale, sorge da un generico dovere, che incombe su tutti i consociati, di svolgere le proprie attività o di tenere un comportamento, che non vadano a ledere la sfera giuridica patrimoniale (2043 c.c.) e  (2059 c.c.) altrui (artt. 2 e 3 Cost.), “neminem laedere”[4]. Entrambe le responsabilità assolvono ad una generica funzione risarcitoria del danno subito, ma la responsabilità contrattuale agisce nell’ottica di sopperire alle invalidità e/o alle disfunzioni che si generano nella fase contrattuale (vizi genetici-vizi funzionali) tra due parti (creditrice-debitrice) dalle quali derivi un danno, avendo come obiettivo primario l’equilibrio economico (contemperamento tra gli interessi contrapposti) e la volontà delle stesse (autonomia contrattuale). Invece, la responsabilità extra-contrattuale ha la funzione di reintegrare la sfera giuridica di un individuo che ha subito un danno da parte di un terzo (un soggetto con cui non ha instaurato alcun tipo di accordo o di relazione diretta), per cui si parla in tal senso di relazione sociale e dei doveri che incombono su ciascun consociato per il corretto svolgimento della vita sociale (art.2-3 Cost. ).In entrambi i casi, si è superata la funzione punitiva della responsabilità civile[5] fondata sulla riprovazione morale nei confronti dell’autore del danno (imputazione soggettiva), per abbracciare la funzione risarcitoria che si fonda sulla reintegrazione del patrimonio del danneggiato (criterio del danno).

2. Il ruolo della colpa


La funzione della responsabilità civile ci consente di capire come il giudizio sulla colpa sia mutato nel tempo. Infatti, come si è accennato poc’anzi, la responsabilità civile era improntata sulla scia della responsabilità penale (dal sistema penale derivano sia i concetti di dolo e di colpa e sia il concetto di nesso causale materiale), che a sua volta si fonda sulla funzione personalistica dell’imputazione del reato (art. 27 Cost.), in relazione alla poli-funzione repressiva, deterrente e rieducativa della pena e che postulano la necessaria indagine sulla sfera volitiva del soggetto (principio di colpevolezza ex artt. 13-25-27 Cost.). Da tale correlazione discendeva l’esigenza di indagare l’animus del debitore inadempiente e del danneggiante.
L’interpretazione evolutiva sulla ratio della responsabilità civile[1] invece, ha prodotto uno spostamento sul fine della stessa, che non è incentrato sul carattere sanzionatorio e dunque sulla persona, ma sulla reintegrazione patrimoniale della sfera giuridica di un soggetto. Ne discende che, è mutata la prospettiva dalla quale indagare l’inadempimento e il fatto illecito, poiché è divenuto centrale nella responsabilità contrattuale, il giudizio sull’inadempimento produttivo di un danno e nella responsabilità extra-contrattuale il giudizio sul danno ingiusto (valutazione oggettiva)[2].
Si può affermare che l’elemento della colpa è comune ad entrambi i tipi di responsabilità e che, adottando una visione sistematica, la stessa possa essere inquadrata come un criterio di imputazione. Sia il combinato disposto degli articoli 1175-1176-1218-1229 c.c. (resp. contrattuale), che l’articolo 2043 c.c. (resp. extra-contrattuale) prevedono l’elemento della colpa come criterio di imputazione della responsabilità[3]. L’articolo 1176 c.c. è norma chiave per il giudizio di imputabilità nella responsabilità contrattuale perché, postula un obbligo si eseguire la propria prestazione diligentemente (si ritiene superata la dicotomia tra obbligazioni di mezzi e di risultato, prospettata dal Mengoni[4], poiché proprio tale norma funge da clausola generale che va abbracciare ogni tipo di obbligazione). Allo stesso modo incide sul giudizio di responsabilità contrattuale l’art. 1175 c.c., espressione del principio di buona fede oggettiva, che stabilisce il parametro della correttezza nell’esecuzione della propria prestazione. Correttezza e diligenza, costituiscono parametri oggettivi che attengono al giudizio di responsabilità perché vanno a commisurare il comportamento tenuto da una parte nei confronti dell’altra nell’esecuzione della propria prestazione. Ne consegue che l’art. 1218 c.c., non può essere interpretato singolarmente,  poiché ad esso si relazionano sia il parametro della correttezza, sia il parametro della diligenza (colpa).
Per tale ragione, bisogna rifiutare quelle teorie afferenti alla responsabilità contrattuale che negano la rilevanza della colpa, senza però escludere l’operatività di altri criteri di imputazione (responsabilità oggettiva e per fatto altrui)[5].
E’ corretto, invece, affermare che la colpa è valutata diversamente a seconda del tipo di responsabilità a cui si riferisce. Nel campo della responsabilità contrattuale, essa assume un carattere oggettivo (affermare che la colpa sia valutata in maniera oggettiva non vuol dire che la stessa non sia un elemento necessario), superando in tal senso le teorie soggettive, improntate sulla rilevanza dell’atteggiamento interiore del debitore[6], poiché la stessa è strettamente connessa all’inadempimento (oggettivo) ed è per tale ragione presunta, con assunzione del rischio da parte del debitore, il quale ad esempio sopporta anche il rischio della causa rimasta ignota, (presunzione che può essere superata dalla prova dell’adempimento o dell’impossibilità non colposa dello stesso ex artt.1176,1218 e 1256 c.c.). Nel caso della responsabilità extra-contrattuale, pur essendo la colpa valutata in termini oggettivi, è elemento costitutivo del fatto illecito (da cui può derivare un danno ingiusto).
In tal senso, si può raggiungere una prima conclusione, la colpa è elemento comune ad entrambe le responsabilità, ma è valutata in maniera diversa, tale che la stessa nella propria sostanza è la medesima (oggettiva deviazione da una serie di cautele che si sarebbero dovute adottare), violazione di legge, negligenza, imprudenza ed imperizia (ad esempio, la negligenza indica sempre la non conformità di una condotta esteriore rispetto ad uno standard comportamentale che nel caso concreto andava invece seguito), ma differisce nel ruolo svolto nella costituzione della responsabilità. Infatti, l’inadempimento si configura senza la necessità di provare l’elemento della colpa (cosa diversa è affermare che il giudizio della colpa non debba essere effettuato), che è presunta (con ammissione della prova contraria), mentre il danno ingiusto non si configura se il fatto illecito da cui promana non è almeno colposo. Infatti, se si pensa alla dinamica e alla funzione dei rapporti contrattuali, improntati alla circolazione della ricchezza, agli scambi commerciali, a realizzare interessi che appartengono alle parti del contratto, ci si rende conto che il sistema della responsabilità contrattuale è impostato proprio al fine di preservare l’assetto degli interessi voluto dalle parti e di conseguenza a tutelare l’equilibrio economico stabilito. Per cui l’inadempimento è in re ipsa, tutte le volte che si verificano le condizioni per cui può dirsi tale la mancata esecuzione dell’obbligo contrattuale a cui si era tenuti, proprio per facilitare il contemperamento degli interessi delle parti e non frustrare la funzione contrattuale. Ne consegue che la colpa non assume valore costitutivo della domanda di risarcimento da inadempimento, ma la stessa non è avulsa perciò solo dal giudizio sulla responsabilità contrattuale, proprio perché il debitore può dimostrare che l’inadempimento non si è verificato o che lo stesso non sia ad esso imputabile. Allora bisogna capire cosa si intenda per inadempimento imputabile[7].


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3. L’inadempimento imputabile


L’art. 1218 c.c. afferma che il debitore è tenuto al risarcimento del danno per non aver eseguito la prestazione dovuta in maniera esatta.  Aggiunge che il debitore può liberarsi da tale presunzione dimostrando che l’inadempimento (o il ritardo) sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da una causa a lui non imputabile. Sul riferimento all’impossibilità della prestazione vi sono diverse interpretazioni, tra le quali si richiama quella che vedrebbe in tale locuzione il fondamento della responsabilità oggettiva del debitore. Ma l’impossibilità della prestazione non implica perciò stesso che ci si debba ancorare ad un concetto assoluto che vada a richiamare eventi indominabili ed imprevedibili. L’impossibilità della prestazione deve essere letta in relazione all’imputabilità e dunque ciò che rileva, è l’indagine sulla dipendenza o meno della causa dell’inadempimento dal comportamento tenuto dal debitore. Se, infatti, è lo stesso legislatore ad ancorare l’adempimento ai parametri della correttezza e della diligenza e se l’adempimento inerisce ad una prestazione specifica che deve essere tenuta dal debitore, ne consegue che è rilevante il suo comportamento e che l’impossibilità della prestazione si traduce in termini di esigibilità della prestazione stessa, la quale si riflette sulle capacità e sulle qualità del debitore rispetto al tipo di prestazione da eseguire. Ecco allora, che la colpa torna a rivestire un ruolo importante perché è un parametro necessario e dovuto nell’analisi dell’imputabilità, a seconda del tipo di obbligazione a cui si è tenuti ad adempiere. E’ l’analisi del tipo di obbligazione richiesta al debitore che ci può far definire il concetto di imputabilità, poiché se è rilevante il suo comportamento, allora non si può prescindere da un giudizio sulla colpa, poiché l’imputabilità avrà il suo baricentro proprio nel comportamento, tale per cui eventi che non dipendano dallo stesso, esulano dalla sfera di controllo del debitore, che a sua volta è il riflesso del comportamento doveroso.

4. Colpa e responsabilità oggettiva


Cosa diversa avviene nelle ipotesi di responsabilità oggettiva e per fatto altrui dove l’imputazione del danno avviene tramite la sola prova del nesso causale materiale tra il fatto ed il danno. Tale impostazione, non si fonda sul comportamento tenuto dal danneggiante, il quale sarà comunque oggetto di valutazione, ma si fonda su altri parametri determinati dal legislatore per affrontare, secondo equità, situazioni particolari, quali il rischio. Tali fattispecie, come si è detto, corrispondono ad espresse previsioni legislative che vanno a derogare al criterio di imputazione generico (colpevolezza). Per tale ragione si può addivenire ad un ulteriore conclusione, la responsabilità oggettiva e la responsabilità per fatto altrui sono ipotesi eccezionali e per tanto non costituiscono la regola.
Per giustificare la legittimazione sia della responsabilità oggettiva che della responsabilità per fatto altrui, in ottica costituzionalmente orientata, bisogna fare riferimento al mutamento avvenuto nel contesto sociale. Si pensi all’avanzamento della tecnologia e al potenziamento del mercato (imprese nucleari-responsabilità da attività pericolose), alla circolazione dei mezzi di trasporto. Si è passati cioè, da una società rurale ad una società evoluta, che perciò stesso, determina una certa area di rischio[1], che nulla a che vedere con il comportamento umano poiché lo stesso non può impedire la produzione di alcuni danni che sono propri ai rischi su detti (es. rischio d’impresa-massificazione del danno).
L’evoluzione sociale offre crescita e sviluppo a cui la società stessa non può rinunciare ed essendo beneficiaria di tali vantaggi, deve necessariamente sopportare i rischi a questi connessi (rischio consentito). In sostanza, per lo svolgimento di alcune attività, che sono per natura pericolose, se si rimane nell’area del rischio consentito, che è tipico delle stesse, non si può configurare alcuna forma di responsabilità ancorché da queste siano derivati dei danni, poiché si tratta di attività lecite, si potrà tutt’al più parlare, in alcuni casi, di forme di indennizzo, mentre se si esce fuori dall’area del rischio consentito, la responsabilità si configura automaticamente in capo a chi trae i vantaggi dalle stesse, con la possibilità di superare tale presunzione dimostrando che il danno sia stato provocato da situazioni o eventi straordinari e/o imprevedibili.
Si pensi al crollo di un cornicione di una casa che causi un danno all’auto parcheggiata in strada. Il proprietario della casa potrà essere imputato di tale danno per difetto di manutenzione a prescindere dalla valutazione della sua colpevolezza e dal fatto se avesse la disponibilità o meno dell’immobile, sul presupposto che è lui il soggetto beneficiario dei vantaggi derivanti dalla sua proprietà e di conseguenza è lui ad assumere il rischio del crollo che è insito alla struttura edilizia (poiché si tratta di un atto di straordinaria amministrazione che esula dall’area di controllo imputabile ad un possibile affittuario), a meno che provi che il crollo non sia stato determinato dal difetto di manutenzione. Si pensi ad un evento imprevedibile (caso fortuito ex art. 2053 cc) quale ad esempio la caduta di un fulmine che abbia provocato il danneggiamento e l’istantaneo crollo del su detto cornicione.
A parere di chi scrive, contrariamente a quanto affermato poc’anzi, poiché opinione maggiormente diffusa[2], tale forma di responsabilità non può dirsi oggettiva, tutt’al più può definirsi aggravata. Se, infatti, l’obbligo di manutenzione si traduce necessariamente in una serie di attività che il proprietario deve condurre per evitare la produzione di un simile evento (il crollo del cornicione) quali verifiche, controlli, riparazioni. Provare la non verificazione del difetto di manutenzione, significa provare che l’evento è stato determinato da un qualunque fattore diverso dal comportamento a cui il proprietario era tenuto, secondo l‘id quod plerumque accidit, in relazione all’evento stesso ed in sostanza significa anche provare di aver agito con la diligenza necessaria per poter svolgere l’attività di manutenzione ed in definitiva significa provare la mancanza di colpa. Allora, è più aderente alla ratio di tale norma fondare il giudizio sulla responsabilità per difetto di manutenzione non sulla dicotomia responsabilità oggettiva o responsabilità per colpa, ma sul diverso grado e la diversa estensione che la colpa assume nel caso specifico normato. Inoltre, il fatto che il danneggiato non debba provare la colpevolezza del danneggiante, così come vorrebbe la regola generale del 2043 c.c., non vuol dire perciò solo che la colpa non sia un elemento rilevante e che dunque non sia il criterio di imputazione dell’evento, tanto è vero che il proprietario si libera della responsabilità provando di non essere in colpa, proprio eliminando la connessione tra il danno e l’obbligo di manutenzione a cui egli è tenuto. Si può affermare, allora, che la colpa c’è ed è presunta proprio a causa di quella particolare relazione di vantaggio che il proprietario trae dalla sua unità immobiliare e che postula un dovere di manutenzione, al fine di evitare la verificazione dei rischi connessi al mantenimento in sicurezza del fabbricato. Inoltre, si può aggiungere che si tratta di una responsabilità aggravata, sia perché l’area della colpa è particolarmente estesa e sia perché si inverte l’onere probatorio in relazione all’elemento psicologico, in perfetta adesione alla teoria della vicinanza della prova[3].
Invero, si parla di responsabilità oggettiva, quando il danno è imputato ad un soggetto per il solo fatto che si è verificato e vige nonostante l’assenza di colpa, poiché il comportamento tenuto dallo stesso non rileva.
Tipico esempio è la responsabilità derivante da vizio di costruzione a cui è soggetto il proprietario. Il vizio di costruzione è imputato al proprietario a prescindere dalla propria colpevolezza. Infatti, non sempre il proprietario dell’unità abitativa in costruzione è in grado di assumere il controllo dei lavori e verificare ad esempio la correttezza dei materiali impiegati dalla ditta  e ciò nonostante è imputato della responsabilità per vizio di costruzione, senza poter provare che egli abbia adottato un comportamento diligente  e quindi non colposo, tutt’al più può dimostrare l’assenza del vizio di costruzione o il mancato nesso tra il danno ed il vizio di costruzione.
Nella responsabilità extra-contrattuale generica invece, (2043 c.c.) la colpa è sempre criterio minimo di imputazione del fatto illecito compiuto dal danneggiante e per tale ragione non si può addebitare allo stesso la responsabilità da fatto illecito su criteri presuntivi, ma si necessita della prova dell’elemento psicologico.

5. Considerazioni conclusive


Si può affermare che la colpa costituisce uno dei criteri di imputazione della responsabilità e sia nell’area della responsabilità contrattuale, che nell’area della responsabilità extracontrattuale è un parametro che ha consistenza oggettiva, essendo sufficiente l’attività materiale posta in essere in violazione di leggi o di regole di diligenza, prudenza e perizia (standard comportamentale). Tale assunto, non significa che si deve postulare necessariamente una forma di responsabilità oggettiva[1]. Infatti, quest’ultima opera prescindendo dalla colpa, basandosi sull’assunzione di un rischio specifico o comunque di un parametro stabilito per legge quale criterio di imputazione. Cosa diversa è il tipo di valutazione che si svolge in relazione al parametro della colpa, la quale può essere presunta o può essere più o meno estesa in relazione al tipo di obbligazione a cui si riferisce.
   Nel caso della responsabilità contrattuale, la colpa rasenta l’inadempimento fino a coincidere con lo stesso quando l’obbligazione consiste nel tenere un comportamento diligente ed è presunta[2] (presunzione relativa), ma non è elemento costitutivo dello stesso che infatti si verifica a prescindere. La colpa, è parametro di imputazione della responsabilità per il danno provocato dall’inadempimento ogni volta che il comportamento del debitore acquisisce efficacia eziologica nell’inadempimento. Nel caso della responsabilità extra-contrattuale, la colpa è elemento costitutivo del fatto illecito, il quale per configurarsi necessita di essere almeno colposo e dunque è elemento costitutivo della responsabilità. Infatti, non si può configurare nessun fatto illecito (antigiuridicità) se tale fatto non risulta, in un giudizio che deve necessariamente precedere quello dell’antigiuridicità, che sia stato commesso almeno con colpa (elemento psicologico)

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Francesca Fuscaldo

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