Chi risponde di concorso in porto illegale di armi

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Risponde di concorso in porto illegale di armi colui che aderisce ad un’impresa criminosa comportante l’impiego, nel luogo programmato, di un’arma di cui il compartecipe abbia l’esclusiva disponibilità.
Ai fini del concorso nell’illecito penale de quo, è quindi sufficiente una mera adesione alla condotta criminale in questione, materialmente posta in essere da altri.

Indice:

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

Il fatto

La Corte di Appello di Bologna, parzialmente riformando una sentenza pronunciata all’esito del giudizio abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ravenna, confermava la declaratoria di responsabilità degli imputati in relazione al concorso tra loro (e con altri separatamente giudicati) nel delitto di detenzione di materiale esplosivo bellico ex artt. 2 e 5 I. n. 895 del 1967 (capo E), rideterminando il trattamento sanzionatorio rispettivamente in mesi 7 e giorni 10 di reclusione ed euro 360 di multa e in mesi 3 e giorni 16 di reclusione ed euro 266 di multa, con la sospensione condizionale della pena, mentre assolveva taluno di essi dal reato di cui all’art. 2 l. n. 895 del 1967 in relazione alla detenzione illegale di un colpo da cannone (capo A), dichiarando al contempo la prescrizione dei residui reati di cui agli artt. 437 cod. pen. (capo A e D), 432 cod. pen. (capo C) e dei residui reati di cui agli artt. 432 cod. pen. (capo C) e 437 cod. pen. (capo D), ascritti ad alcuni degli imputati.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato ricorrevano gli imputati con distinti atti a firma dei rispettivi difensori.

In dettaglio, uno di questi legali deduceva i seguenti motivi:

1) e 2) violazione di legge in riferimento agli artt. 110 cod. pen., 2 l. n. 895 del 1967 e vizio della motivazione con riguardo alla responsabilità, con particolare riferimento alla erronea valutazione delle intercettazioni telefoniche e delle dichiarazioni delle parti che sono state erroneamente interpretate in senso accusatorio, risultando unicamente che l’imputato ha semmai avallato la decisione presa da altri di ributtare in acqua l’ordigno rinvenuto;

3) violazione di legge in riferimento all’art. 54 cod. pen. poiché il trasporto si era reso necessario per evitare gravi rischi per la popolazione abitante nelle zone prossime al porto di Ravenna che potevano essere investite dall’esplosione ove l’ordigno non fosse stato allontanato dal punto di rinvenimento;

4) mancanza e vizio della motivazione con riguardo alla idoneità esplosiva dell’ordigno rinvenuto, sussistendo, secondo il ricorrente, divergenze in proposito tra la relazione del consulente del pubblico ministero e quella delle difese.

Ciò posto, l’altro avvocato adduceva violazione di legge, in riferimento agli artt. 43, primo comma, 47, 48 e 110 cod. pen., 192, commi 1, 2 e 3 cod. proc. pen., 531 e 129 cod. proc. pen. e vizio della motivazione con riguardo all’elemento soggettivo del dolo di concorso nel reato in quanto, dalle conversazioni intercettate, ad avviso di tale legale, emergeva come il comandante si fosse limitato a mettere in sicurezza l’imbarcazione, che aveva occasionalmente recuperato l’ordigno, in totale mancanza dell’elemento soggettivo, affidandosi legittimamente all’intervento delle autorità che erano state contestualmente avvisate.


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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Entrambi i ricorsi erano ritenuti inammissibili per le seguenti ragioni.

In particolare, erano considerate tali le censure concernenti l’interpretazione delle conversazioni e delle dichiarazioni rese dai protagonisti della vicenda (in quanto il giudizio si era svolto con il rito abbreviato ed è stato caratterizzato dall’ammissione dei fatti materiali da parte dei protagonisti sicché, per la Corte di legittimità, non si comprendeva in cosa sarebbero consistite le censure sulla ricostruzione del fatto che erano genericamente prospettate) e le censure concernenti l’interpretazione delle conversazioni intercettate e delle dichiarazioni dei testimoni e dei correi che si basavano sulla riproduzione parziale e per stralcio delle verbalizzazioni senza che il Collegio fosse stato messo in grado di esaminare nel complesso il compendio probatorio di riferimento mentre la Cassazione ha postulato che «in sede di legittimità è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile» (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017) non essendo compito del giudice di legittimità compiere una rivalutazione di tale compendio probatorio, sulla base delle prospettazioni del ricorrente, essendo stato chiarito già da tempo, sempre in sede nomofilattica, che esula dai suoi poteri una «rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali» (Sez. U, n. 41476 del 25/10/2005; Sez. U, n. 6402 del 2.7.1997; Sez. U, n. 930 del 29.1.1996).

Oltre a ciò, era altresì fatto presente che, pur prospettando una contraddizione della motivazione, il ricorso era reputato del tutto aspecifico e generico giacché, per la Corte, esso si limitava a proporre una diversa lettura delle acquisizioni probatorie ovvero a contestare con mere asserzioni elementi probatori ampiamente illustrati e riassunti in conclusioni che sono censurate per aspetti secondari e in modo assertivo, e tanto bastava, a suo avviso, per rendere la sentenza impugnata incensurabile in sede di legittimità ordinaria giacché non potevano condurre a una rivalutazione del materiale probatorio le poche asserzioni riportate in ricorso, la cui pretesa contraddittorietà non era in alcun modo argomentata né risultava essere stata specificamente prospettata, facendosene conseguire da ciò che il contributo causale rispettivamente offerto degli imputati, secondo gli Ermellini, era indiscutibile e, da uno di essi, pure pienamente ammesso, tenuto conto del fatto che i ricorsi si limitavano a reiterare le argomentazioni difensive già giudicate irrilevanti dal giudice di secondo grado con una motivazione che non era stata specificamente contestata.

Orbene, per i giudici di piazza Cavour, le conclusioni, a cui erano pervenuti costoro nel caso di specie, erano pienamente conformi alla giurisprudenza di legittimità poichè, una volta fatto presente che, in base alla concezione unitaria del concorso di persone nel reato, accolta dall’art. 110 cod. pen., l’attività costitutiva del concorso può essere rappresentata da qualsiasi comportamento esteriore, che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune delle fasi di ideazione, organizzazione ed esecuzione, alla realizzazione collettiva, anche soltanto mediante il rafforzamento dell’altrui proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera dei concorrenti; in sostanza, quando il partecipe, per effetto della sua condotta cosciente idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, egli risponde non solo degli atti da lui compiuti, ma anche di quelli posti in essere dagli altri, convergenti nell’offesa all’interesse protetto dalla norma incriminatrice (Sez. 1, n. 4503 del 13/01/1998; Sez. 5, n. 2108 del 02/02/1994), da ciò se ne faceva conseguire come non sia neppure necessario un previo accordo diretto alla causazione dell’evento, ben potendo il concorso esplicarsi in un intervento di carattere estemporaneo sopravvenuto a sostegno dell’azione altrui, ancora in corso, quand’anche iniziata all’insaputa del correo (Sez. 1, n. 15860 del 09/12/2014; Sez. 2, n. 18745 del 15/01/2013; Sez. U, n. 31 del 22/11/2000), tanto più se si considera che, con particolare riferimento alle armi, è stato ulteriormente chiarito che «risponde di concorso in porto illegale di armi colui che aderisce ad un’impresa criminosa comportante l’impiego, nel luogo programmato, di un’arma di cui il compartecipe abbia l’esclusiva disponibilità» (Sez. 1, n. 40702 del 21/12/2017) fermo restando che, in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto insussistente il denunciato vizio di contraddittorietà della sentenza impugnata, che aveva ritenuto la responsabilità dell’imputato solo per detto reato, assolvendolo da quello di concorso in detenzione (ibidem).

Ciò posto, erano ritenute parimenti inammissibili le questioni, sviluppate da entrambi i ricorrenti, sull’elemento soggettivo dal momento che essi si basavano, per la Corte di legittimità, in modo inammissibile, sulla diversa lettura degli elementi probatori e reiterano confuse argomentazioni relative al difetto di consapevolezza e alla mancanza di volontà che sono già state ampiamente esaminate e puntualmente superate dai giudici di merito con una motivazione che non è specificamente denunciata.

Precisato ciò, erano, da ultimo, ritenute inammissibili le questioni sullo stato di necessità e inattività dell’ordigno dal momento che la questione dello stato di necessità era reputata intrinsecamente contraddittoria perché si poggiava sulla prospettazione difensiva, logicamente incompatibile, dell’estraneità del ricorrente rispetto alla condotta materiale.

Del resto, veniva altresì rilevato come lo stato di necessità fosse stato enunciato (e per nulla argomentato) dal solo concorrente mentre gli autori materiali della condotta, i quali semmai avrebbero potuto indicare circostanze specifiche a sostegno di tale prospettazione, avevano ammesso le proprie responsabilità, al più sviluppando questioni sull’elemento soggettivo.

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Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse nella parte in cui è ivi chiarito quando si può rispondere di concorso in porto illegale di armi.

Difatti, in tale pronuncia, sulla scorta di un precedente orientamento nomofilattico, si afferma che risponde di concorso in porto illegale di armi colui che aderisce ad un’impresa criminosa comportante l’impiego, nel luogo programmato, di un’arma di cui il compartecipe abbia l’esclusiva disponibilità.

Ai fini del concorso nell’illecito penale de quo, è quindi sufficiente una mera adesione alla condotta criminale in questione, materialmente posta in essere da altri, che può concretizzarsi in qualsiasi comportamento, omissivo o commissivo, volto a rafforzare il proposito criminale altrui che, a sua volta, può tradursi pure in un intervento di carattere estemporaneo sopravvenuto a sostegno dell’azione altrui, ancora in corso, quand’anche iniziata all’insaputa del correo.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di elaborare una valida linea difensiva ove si verifichi una ipotesi concorsuale di questo genere.

Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, non può che essere positivo.

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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