Cenni sulla condizione giuridica della donna nell’antica roma, dalla formazione della familia fino all’impero

Redazione 01/12/02
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di Enrico Bruno

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Così come per tutte le società antiche, anche le donne romane erano soggette
a restrizioni della libertà personale, oltre ad essere obbligatoriamente
destinate a determinate attività legate prevalentemente alla famiglia. Il
passaggio sociale dalla Gens alla Familia (communi o prorio iure) e dopo
l’avvento del matrimonio monogamico determinò l’affermazione del potere del
Paterfamilias sulle donne a causa dell’esigenza della certezza della prole.
A ciò seguirono l’istituto del divortium e la repressione dell’adulterio
femminile.

Le donne totalmente libere, come può immaginarsi, non esistevano. Queste, se
nate da paterfamilias libero, una volta raggiunta la pubertà divenivano sui
iuris, benchè sottoposte alla manus (un potere minore rispetto alla
potestas) del marito se sposate con iuste nuptiae (in cui entrambi i coniugi
erano dotati del ius conubii), oppure di un fratello o parente prossimo
(adgnato). Tuttavia la condizione della donna romana, ed in special modo
della Matrone, era decisamente migliore di quella della donna greca. La
materfamilias aveva infatti, se pur limitata, una capacità giuridica di
diritto privato, come quella di poter ricevere per testamento. Poteva
possedere beni personali anche se, in mancanza di marito o altro parente,
doveva sottostare a tutela. le leggi delle dodici tavole precisano che solo
le vergini vestali potessero essere libere.

Il matrimonio romano era, com’è noto, un rapporto di fatto ma produttivo di
conseguenze giuridiche. Gli sponsali corrispondevano alla promessa di
matrimonio, infatti consistevano in reciproche stipulationes, nella antica
forma della sponsio. Con ciò il fidanzato era legittimato ad esperire
l’actio iniuriarum contro chiunque avesse offeso la donna promessa e poteva
anche esercitare l’accusatio adulterii per il tradimento di lei. In età
classica gli sponsali non obbligano a concludere il matrimonio.

Il matrimonio era basato sulla maritalis affectio e sul consenso reciproco,
infatti le nozze non si attuano con la consumazione o vivendo in situazione
di concubinato (“nuptias non concubitus sed consensus facit”). Il matrimonio
avveniva tramite la conventio in manu nelle sue tre forme. In tal modo la
donna diveniva soggetta alla auctoritas del marito. La conferratio era una
cerimonia religiosa, che aveva anche l’effetto di far sorgere, in capo al
marito, la manus sulla donna. La coemptio, negozio per aes et libram
appartenente al ceppo della mancipatio, con le forme tipiche di questa
faceva sorgere in capo al c.d. acquirente, ovvero il marito, la manus: da
notare che la donna poteva liberamente compiere gli atti rituali e se era
libera e cittadina romana, tale rimaneva anche dopo il rituale. Con l’usus
il marito acquisiva la manus sulla donna se vi era stato anche un anno di
coabitazione.

Le unioni extra matrimoniali avevano importanza ai fini giuridici anche se
considerate inferiori rispetto al matrimonio. Il concubinato aveva luogo nei
casi in cui per i componenti la coppia, oggi la definiremmo “coppia di
fatto”, non poteva aver luogo il conubium, a causa della diversità di classe
sociale (ad es., un senatore con una liberta) o quando mancava sempre per
ragioni sociali l’honor matrimonii (ad es., se la donna era una prostituta o
considerata di mal affare).

Vi erano casi in cui i rapporti sessuali erano puniti dal diritto romano:
l’adulterium, punito dalla Lex iulia de adulteriis, consisteva
nell’intrattenere rapporti sessuali nel caso in cui uno dei due complici
fosse già legato da vincolo matrimoniale. Se nessuno era legato da vincoli
coniugali, allora si configurava lo stuprum. In tali casi qualsiasi
cittadino romano poteva perseguire l’uomo o la donna co l’Accusatio publica
iure extranei. Singolare, ai nostri occhi, appare il fatto il marito doveva
preventivamente ripudiare la moglie adultera altrimenti si sarebbe
pubblicamente esposto all’Accusatio lenocinii. Il paterfamilias o il marito
che avevano la manus sulla donna accusata di adulterio avevano un’accusatio
privilegiata (accusatio adulterii iure mariti vel patriis).

Indifferente era invece per il diritto romano l’intrattenere rapporti
sessuali con prostitute.

Il divortium (o repudium), era, secondo le fonti più autorevoli, una
prerogativa essenzialmente maschile e veniva esercitata sopratutto in caso
di adulterio della donna. la Lex Iulia de adulteriis coercendis tentò di
limitare i casi reprimendoli con sanzione pecuniaria.

La donna, prima dei dodici anni, ovvero prima della pubertà secondo i
romani, era sottoposta, al pari dei maschi alla tutela impuberum. Dopo i
dodici anni era sottoposta alla tutela mulierum: tale tutela era
giustificata dalla c.d. levitas animi femminile, sul presupposto cioè che le
donne potessero costituire una seria minaccia per il patrimonio della
famiglia o del gruppo. Le donne, potendo possedere beni, potevano disporne
limitatamente ed in ogni caso la loro volontà di disposizione doveva essere
integrata da quella del tutore sopratutto in caso di alienazione di res
mancipi che poteva avvenire solo nelle forme della mancipatio. L’istituto
della tutela degrada d’importanza in maniera proporzionale al degradare
della svalutazione delle res mancipi.

Bruno Enrico

Redazione

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