Causa di estinzione del reato ex art. 162-ter c.p., quando rileva nel giudizio di legittimità

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La causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter cod. pen. deve ritenersi applicabile anche ai processi pendenti in sede di legittimità al momento di entrata in vigore della relativa disciplina, quando le condotte riparatorie siano state già eseguite nel corso del giudizio di merito.

(Annullamento senza rinvio)

(Normativa di riferimento: C.p. art. 162 ter)

Il fatto 

Con sentenza emessa in data 20 giugno 2017, la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza pronunciata in primo grado dal Tribunale di Busto Arsizio all’esito di giudizio abbreviato, riteneva D. C. colpevole dei delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone commessi in danno di V. B. e G. D.N., e, ritenuti i reati uniti dal vincolo della continuazione, riduceva la pena ad un anno di reclusione, previa applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 6, cod. pen., nonché della diminuente per il rito.

La sentenza di primo grado, invece, aveva qualificato la condotta posta in essere in danno di V. B. in termini di estorsione.

Motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Presentava ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe l’avvocato M. T. Z., difensore di fiducia dell’imputato, formulando un unico motivo di ricorso, con il quale denunciava violazione di legge, in relazione agli artt. 1, comma 2, legge 23 giugno 2017, n. 103, e 162-ter cod. pen., come introdotto dalla legge cit., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata dichiarazione di non doversi procedere nei confronti dell’imputato, per intervenuta estinzione del reato per condotte riparatorie.

Si deduceva come la causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter cod. pen., fosse applicabile perché sussistevano tutti i requisiti richiesti da detta disposizione: -) l’imputato, in data 23 dicembre 2014,  prima dell’apertura del dibattimento, aveva inviato, mediante raccomandata, una lettera di scuse alle persone offese D. N. e B. per le modalità con cui ha richiesto il credito vantato nei loro confronti; -) l’imputato, inoltre, ha offerto la compensazione del credito, nonché due assegni circolari di importo di euro 1.000,00 ciascuno a titolo di risarcimento dei danni materiali e morali arrecati; -) la persona offesa V. B., durante il suo esame testimoniale, all’udienza del 26 maggio 2015, aveva dichiarato di accettare in proprio e per il proprio compagno convivente D. N. le scuse, i due assegni circolari e la compensazione del credito, a titolo di risarcimento del danno; -) il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone è punibile a querela della persona offesa.

Valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione

La Cassazione accoglieva il ricorso proposto alla stregua delle seguenti considerazioni.

Prima di esaminare le doglianze prospettare dal difensore, gli ermellini osservavano come le questioni da affrontare riguardassero l’applicabilità della causa di estinzione del reato per condotte riparatorie, di cui all’art. 162-ter cod. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, anche ai processi pendenti in sede di legittimità al momento di entrata in vigore di tale disciplina, e, in caso di risposta affermativa a detto quesito, le modalità attraverso le quali detto istituto può trovare attuazione nel giudizio davanti alla Corte di cassazione nonchè rilevandosì altresì, in particolare, che logicamente preliminare fosse l’esame dei presupposti per l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 162-ter cod. pen..

Posto ciò, si rilevava come la disposizione appena indicata, in sintesi, prevedesse. per un verso, che il giudice, «sentite le parti e la persona offesa», dichiara estinto del reato per condotte riparatorie, sempre che si versi in ipotesi di procedibilità a querela soggetta a remissione, «quando l’imputato ha riparato interamente […] il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato», per altro verso, che il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche se effettuato mediante offerta reale formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, se il giudice ritenga l’offerta congrua, e che, a determinate condizioni, il giudice può fissare un termine per consentire all’imputato di provvedere al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento.

Chiarita la norma da doversi prendere in considerazione nel caso di specie, si evidenziava che detta disposizione legislativa (ossia la disposizione di cui all’art. 162-ter cod. pen.) fosse ancorata a presupposti simili, ma non del tutto identici, a quelli fissati dall’art. 35 d.lgs. n. 274 del 2000 per l’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie in relazione agli illeciti penali di competenza del giudice di pace dato che, per un verso, l’istituto di cui all’art. 35 d.lgs. n. 274 del 2000 è applicabile, «sentite le parti e l’eventuale persona offesa», se l’imputato dimostri «di aver proceduto […] alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato» (comma 1), e sempre che il giudice ritenga «le attività risarcitorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione» (comma 2), per altro verso, l’art. 35 cit. prevede la possibilità che, a determinate condizioni, il giudice possa fissare un termine per consentire all’imputato di provvedere al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento (comma 3).

Tal che si giungeva alla conclusione secondo la quale la disciplina recata dall’art. 162-ter cod. pen., a differenza di quella di cui all’art. 35 d.lgs. n. 274 del 2000, prevede che il danno deve essere stato riparato «interamente», che il risarcimento può avvenire anche mediante offerta reale e che l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose deve avvenire «ove possibile» fermo restando che nella nuova disciplina non sono richieste, a differenza dell’altra, valutazioni del giudice sull’idoneità delle attività risarcitorie e riparatorie al soddisfacimento delle esigenze di riprovazione del reato e di quelle di prevenzione.

Dopo aver formulato questa premessa, ritenuta utile per affrontare, sotto il profilo dell’interpretazione sistematica oltre che sotto il profilo letterale, la questione dell’applicabilità della causa di estinzione del reato per condotte riparatorie anche ai processi pendenti davanti alla Corte di cassazione al momento di entrata in vigore della disciplina che la ha prevista, i giudici di Piazza Cavour facevano presente come in giurisprudenza, pur senza analitici approfondimenti, fossero emerse opinioni che apparivano differenti dato che, in una decisione, venne postulato che la disposizione di cui all’art. 162-ter cod. pen., che “ricalcherebbe” quella di cui all’art. 35 d.lgs. n. 274 del 2000 per i procedimenti davanti al giudice di pace, non è applicabile al giudizio di legittimità, «dovendo la condotta riparatoria essere valutata dal giudice di merito, sentite le parti» (così Sez. 4, n. 18410 del 28/03/2018, omissis, non mass.), mentre in altre decisioni, invece, venne esclusa l’applicabilità del nuovo istituto in sede di legittimità senza evocare incompatibilità strutturali di esso con il giudizio di cassazione, ma ora per ragioni attinenti alla sussistenza in concreto dei necessari presupposti di diritto sostanziale, quali la procedibilità a querela del reato cui riferire la causa estintiva e l’effettività del risarcimento del danno (v. Sez. 5, n. 1009 del 16/11/2017, dep. 2018, omissis, non mass.), ora per i medesimi motivi nonché, contestualmente, per l’inammissibilità di differimenti del processo di legittimità per consentire l’effettuazione del risarcimento (cfr. Sez. 2, n. 48389 del 06/10/2017, omissis, non mass.).

Orbene, ad avviso della Corte, la causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter cod. pen. deve ritenersi applicabile anche ai processi pendenti in sede di legittimità al momento di entrata in vigore della relativa disciplina, quando le condotte riparatorie siano state già eseguite nel corso del giudizio di merito deponendo in tal senso sia specifiche indicazioni normative, sia ragioni di carattere sistematico.

Sotto il profilo del dato normativo, venivano stimate estremamente significative le enunciazioni testuali di cui ai commi 2 e 3 della legge n. 103 del 2017 e, precisamente, il comma 2 in cui è stabilito che: «2. Le disposizioni dell’articolo 162-ter del codice penale, introdotto dal comma 1, si applicano anche ai processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e il giudice dichiara l’estinzione anche quando le condotte riparatorie siano state compiute oltre il termine della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.»; il comma 3, primo periodo a sua volta statuisce quanto segue: «3. L’imputato, nella prima udienza, fatta eccezione per quella del giudizio di legittimità, successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, può chiedere la fissazione di un termine, non superiore a sessanta giorni, per provvedere alle restituzioni, al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento e all’eliminazione, ove possibile, delle conseguenze dannose o pericolose del reato, a norma dell’articolo 162-ter del codice penale, introdotto dal comma 1.».

Pertanto, dal momento che, come appena visto, la disposizione di cui al comma 2, nel prevedere, in particolare, l’applicabilità della causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter cod. pen. «anche ai processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge», non può non riferirsi anche ai giudizi pendenti davanti alla Corte di cassazione perché, per un verso, tanto nel linguaggio comune quanto in quello tecnico-giuridico, i procedimenti trattati in sede di legittimità sono sicuramente definibili come «processi»; in particolare, anzi, per quanto attiene all’accezione giuridica della parola, è possibile evidenziare, esemplificativamente, come il termine «processo», impiegato nella disposizione di cui all’art. 129 cod. proc. pen. quale presupposto per la rilevabilità, tra l’altro, proprio delle cause di estinzione del reato, è comunemente ritenuto concernere anche i giudizi pendenti davanti alla Corte di cassazione (cfr., tra le tantissime: Sez. U, n. 28954 del 27/04/2017, omissis, Rv. 269810; Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, omissis, Rv. 266594; Sez. U, n. 8413 del 20/12/2007, dep. 2008, omissis, Rv. 238467; Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, omissis, Rv. 221403; Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, omissis, Rv. 216239), per altro verso, non risultano specifici elementi testuali da cui desumere che i giudizi pendenti davanti alla Corte di cassazione siano altrimenti estranei alla categoria dei «processi in corso» evocata dalla legge n. 103 del 2017.

Dal canto suo la disposizione di cui al comma 3, primo periodo, proprio perché, in relazione al «giudizio di legittimità», esclude, specificamente e nominativamente, la sola possibilità di fissare un termine per provvedere alle restituzioni, ai risarcimenti e alle riparazioni, sembra, a contrario, ammettere l’applicabilità della causa di estinzione di cui all’art. 162-ter cod. pen. quando la condotta riparatoria sia stata già effettuata.

La Cassazione evidenziava altresì come queste argomentazioni non potessero essere inficiate nella previsione, contenuta nell’art. 162-ter cod. pen., secondo la quale, prima della pronuncia della sentenza di estinzione del reato, debbano essere «sentite le parti e la persona offesa», in quanto l’attività in questione sarebbe incompatibile con il giudizio di cassazione dato che, da una parte, l’audizione prevista dall’art. 162-ter, primo comma, primo periodo, cod. pen. attiene all’operatività fisiologica dell’istituto, al di fuori delle ipotesi contemplate dalla disciplina transitoria, perché deve avvenire «entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado»; quindi, la descritta disciplina necessita in ogni caso di un “adattamento” ai fini dell’applicazione dell’istituto ai processi che versano in una fase successiva, dall’altra, la precisata audizione deve ritenersi funzionale alla valutazione della congruità delle restituzioni e dei risarcimenti e dell’eliminazione «ove possibile» delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ma non certo all’acquisizione del consenso delle parti o della persona offesa, posto che, a norma dell’art. 162-ter, primo comma, secondo periodo, cod. pen., risarcimenti e riparazioni possono essere ritenuti satisfattivi dal giudice, anche quando non accettati dalla persona offesa; di conseguenza, nei «processi in corso», l’audizione potrebbe essere, di fatto, del tutto superflua, perché già effettuata in modo utile ai fini di tali accertamenti.

Altra argomentazione, ritenuta anch’essa non atta a privare di efficacia l’orientamento nomofilattico elaborato in questa pronuncia, è stata quella sostenuta nel precedente che ha escluso l’applicabilità, nel giudizio di cassazione, del simile – non identico – istituto di cui all’art. 35 d.lgs. n. 274 del 2000 per i procedimenti davanti al giudice di pace (cfr. Sez. 5, n. 25063 del 23/05/2002, omissis, Rv. 222063) posto che la sentenza appena indicata ha sì affermato l’inapplicabilità, in sede di legittimità, per i procedimenti rientranti nella competenza penale del giudice di pace, degli istituti dell’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie e della improcedibilità per lieve tenuità del fatto perché nel giudizio di cassazione «non è contemplato l’intervento degli interessati», ma dopo aver premesso che, a norma dell’art. 63 d.lgs. n. 274 del 2000, le disposizioni che li prevedono si osservano «in quanto applicabili», faceva presente come la causa di estinzione di cui all’art. 163-ter cod. pen., invece, fosse riferita ai «processi in corso» non “in quanto applicabile“, ma con un unico, specifico e diverso limite, dettato per il solo giudizio di legittimità: quello relativo alla esclusione della possibilità di ottenere «la fissazione di un termine, non superiore a sessanta giorni, per provvedere alle restituzioni, al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento e all’eliminazione, ove possibile, delle conseguenze dannose o pericolose del reato, a norma dell’articolo 162-ter del codice penale, introdotto dal comma 1».

Oltre a ciò si osservava, per un verso, che, secondo una recente decisione delle Sezioni Unite, l’istituto di cui all’art. 35 d.lgs. n. 274 del 2000, in quanto qualificabile come causa di estinzione del reato, «soggiace alle disposizioni comuni dettate per tutte le cause estintive; conseguentemente, dal punto di vista processuale, la causa estintiva può essere dichiarata immediatamente sia prima sia dopo l’esercizio dell’azione penale, in qualsiasi stato e grado del procedimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.» (cfr. Sez. U, n. 33864 del 23/04/2015, omissis, Rv. 264238-264239-264240, in motivazione § 3), per altro verso, che il termine indicato dall’art. 162-ter cod. pen. coincide con il limite procedimentale fissato dall’art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen. per l’audizione delle parti e della persona offesa, se comparsa, ai fini dell’applicazione dell’istituto della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, e che, però, la mancata audizione non è stata ritenuta causa ostativa all’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. nei giudizi di legittimità pendenti alla data di entrata in vigore della disciplina che ha previsto tale istituto (cfr., in linea generale, Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, omissis, Rv. 266593, nonché, per specifiche osservazioni relative alla persona offesa, Sez. 6, n. 44683 del 15/09/2015, T., Rv. 265116).

Sotto il profilo sistematico si metteva in risalto prima di tutto come non potesse trascurarsi il fatto che l’istituto della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 162-ter cod. pen., almeno quando le condotte riparatorie sono state realizzate senza la fissazione in sede processuale di un termine per adempiere, ha una dimensione esclusivamente sostanziale dato che l’unica attività processuale prevista in questo caso, concernente l’audizione delle parti e della persona offesa, costituisce un adempimento del giudice, non implicante oneri a carico di uno degli altri soggetti del processo, ed è, inoltre, funzionale alla valutazione di un fatto immediatamente rilevante sotto il profilo del diritto penale sostanziale, ossia al giudizio sulla congruità dei risarcimenti, delle restituzioni e sull’eliminazione «ove possibile» delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ma non all’acquisizione del consenso dell’imputato, del pubblico ministero o della persona offesa.

Di talchè se ne faceva conseguire che l’ipotesi descritta rientrasse nella sfera di operatività del principio di cui all’art. 2, quarto comma, cod. pen., di generale applicazione almeno in assenza di esplicite disposizioni di deroga, secondo il quale: «Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.» non ostando alla sua applicazione il sol fatto che il giudizio si trova nella fase di legittimità visto che la nuova causa estintiva presuppone la valutazione di un fatto che non ha costituito specifico oggetto di esame, sotto il profilo giuridico in questione, nel giudizio di merito.

Per quel che invece riguarda le modalità attraverso le quali la causa di estinzione del reato per condotte riparatorie può essere applicata nel giudizio davanti alla Corte di cassazione, e, quindi, quale sia il significato da attribuire all’inciso normativo «sentite le parti e la persona offesa» in relazione ai processi pendenti in sede di legittimità al momento dell’entrata in vigore della legge n. 103 del 2017, la Cassazione, come già evidenziato in precedenza in questa stessa decisione, ribadiva come la disciplina relativa all’audizione delle parti e della persona offesa, siccome prefigura il compimento di questa attività solo in relazione ad un momento anteriore alla dichiarazione di apertura del dibattimento, necessitasse in ogni caso di un “adattamento” in relazione ai giudizi che abbiano già superato tale fase, ed ai quali, però, è sicuramente applicabile, come, ad esempio, a quelli pervenuti allo stato della discussione in grado di appello, così come la mancata interlocuzione delle parti e della persona offesa, sebbene prevista dall’art. 469, comma 1-bis, cod, proc. pen., non è stata ritenuta causa ostativa all’applicabilità dell’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen. nei giudizi di legittimità pendenti alla data di entrata in vigore della disciplina che lo ha introdotto.

Si evidenziava per di più che l’audizione delle parti e della persona offesa, pur non costituendo un mezzo di prova, è, nella fase anteriore alla dichiarazione di apertura al dibattimento, stante la paucità degli elementi a disposizione del giudice, un adempimento di notevole utilità ai fini della valutazione sulla congruità dei risarcimenti e sull’eliminazione, «ove possibile», delle conseguenze dannose o pericolose del reato atteso che, nei «processi in corso», come anche qui precedentemente rilevato in questa medesima pronuncia, l’audizione potrebbe essere del tutto superflua perché già effettuata in modo utile ai fini degli accertamenti in ordine all’avvenuta riparazione del danno ed alla avvenuta eliminazione, «ove possibile», delle conseguenze dannose o pericolose del reato e ciò anche perché la valutazione affermativa della congruità del risarcimento compiuta con la pronuncia di sentenza di estinzione del reato per condotte riparatorie comunque non pregiudicherebbe definitivamente gli interessi civili della persona offesa. stante la disciplina di cui all’art. 652 cod. proc. pen..

Gli ermellini, pertanto, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, giungevano ad affermare quanto segue: “nei processi pendenti in una fase successiva alla dichiarazione di apertura del dibattimento alla data di entrata in vigore della legge n. 103 del 2017, le esigenze sottese alla previsione dell’audizione delle parti e della persona offesa, e che attengono alla valutazione della congruità dei risarcimenti e dell’eliminazione, «ove possibile», delle conseguenze dannose o pericolose del reato, possono ritenersi soddisfatte in considerazione delle attività istruttorie compiute nel corso del giudizio di merito”.

Conclusioni

La sentenza si palesa condivisibile in quanto frutto di un articolato e ben ponderato ragionamento giuridico.

Del resto, non concedere all’imputato di poter usufruire di questa causa estintiva, quando costui abbia ristorato il danno prima dell’entrata in vigore della legge che ha introdotto la causa estintiva prevista dall’art.162-ter cod. pen., e in assenza di una norma transitoria che impedisca ciò, determinerebbe, ad avviso di chi scrive, un irragionevole trattamento per chi invece processualmente può farlo a norma della legge n. 103/2017 potendo usufruire da quanto stabilito dalla disciplina transitoria in essa prevista.

Valgono nel resto le argomentazioni enunciate in questa pronuncia in quanto pienamente condivisibili, da un punto di vista logico, ancor che prima che giuridico.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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