La Corte di Cassazione, con sentenza n. 5295 del 2024 (data ud. 13 ottobre 2023) ha chiarito che l’obbligo di dimora, anche se accompagnato al divieto di lasciare l’abitazione in determinati orari, non può essere assimilata agli arresti domiciliari.
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Indice
1. I fatti
La decisione della Corte di Cassazione scaturisce dal ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano avverso l’ordinanza del Gip del Tribunale, quale giudice dell’esecuzione, con la quale era stata accolta la richiesta presentata dall’imputato e riconosciuta la fungibilità dell’obbligo di dimora. Sono stati, perciò, detratti dalla pena da espiare (calcolata dal pubblico ministero in tre anni) sette mesi e ventotto giorni di reclusione, rideterminandola in due anni e undici mesi.
Secondo il Tribunale la misura non detentiva applicata all’imputato doveva essere ritenuta assimilabile agli arresti domiciliari perché, oltre all’obbligo di dimora, prevedeva quello di trattenersi in casa dalle 18:00 alle 9:00. La lunga durata di tale obbligo (15 ore) unita al fatto che il Comune nel quale è stato disposto era una piccola località, limitava in modo rilevante la libertà di movimento del sottoposto, tanto da poter essere detta misura assimilata ad una misura detentiva.
Il ricorso del Procuratore era articolato in un unico motivo con il quale è stata dedotta la errata applicazione della legge, con violazione degli artt. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. e 657 cod. proc. pen., in quanto, “la giurisprudenza di legittimità attribuisce rilievo alla sostanzialità della misura, stabilendo di computare, come presofferto, la custodia cautelare subita, indipendentemente dal nomen iuris attribuitole e quindi ogni qual volta essa sia, in concreto, assimilabile ad una misura detentiva, in particolare agli arresti domiciliari. Il giudice dell’esecuzione, invece, ha fondato il suo provvedimento su una interpretazione estensiva dell’art. 657 cod. proc. pen., affermando che essa deve essere intesa come una norma di apertura e non di chiusura, che consente l’equiparazione delle misure non detentive a quelle detentive, in particolare agli arresti domiciliari, quando siano particolarmente rigide e afflittive“.
Inoltre, si sottolinea l’erroneità dell’ordinanza perché, equiparando agli arresti domiciliari la misura in concreto applicata, si formula una interpretazione estensiva dell’art. 657 cod. proc. pen., che non è consentita stante la tassatività delle ipotesi in esso previste.
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Formulario Annotato del Processo Penale
Il presente formulario, aggiornato al D.Lgs. 19 marzo 2024, n. 31 (cd. correttivo Cartabia), rappresenta un valido strumento operativo di ausilio per l’Avvocato penalista, oltre che per i Giudici di pace o per gli aspiranti Avvocati, mettendo a loro disposizione tutti gli schemi degli atti difensivi contemplati dal codice di procedura penale, contestualizzati con il relativo quadro normativo di riferimento e corredati dalle più significative pronunce della Corte di Cassazione, oltre che dai più opportuni suggerimenti per una loro migliore redazione.La struttura del volume, divisa per sezioni seguendo sostanzialmente l’impianto del codice di procedura penale, consente la rapida individuazione degli atti correlati alle diverse fasi processuali: Giurisdizione e competenza – Giudice – Pubblico ministero – Parte civile – Responsabile civile – Civilmente obbligato – Persona offesa – Enti e associazioni – Difensore – Gli atti – Le notificazioni – Le prove – Misure cautelari personali – Riparazione per ingiusta detenzione – Misure cautelari reali – Arresto in flagranza e fermo – Indagini difensive e investigazioni difensive – Incidente probatorio – Chiusura delle indagini – Udienza preliminare – Procedimenti speciali – Giudizio – Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica – Appello – Ricorso per cassazione – Revisione – Riparazione per errore giudiziario – Esecuzione – Rapporti giurisdizionali con le autorità straniere.Specifiche sezioni, infine, sono state dedicate al Patrocinio a spese dello stato, alle Misure cautelari nei confronti degli enti (D.Lgs. n. 231 del 2001) ed al Processo penale davanti al Giudice di pace (D.Lgs. n. 274 del 2000).L’opera è corredata da un’utilissima appendice, contenente schemi riepilogativi e riferimenti normativi in grado di rendere maggiormente agevole l’attività del legale.Valerio de GioiaConsigliere della Corte di Appello di Roma.Paolo Emilio De SimoneMagistrato presso il Tribunale di Roma.
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2. Obbligo di dimora e arresti domiciliari: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, analizzando il ricorso, osserva preliminarmente che l’ordinanza propone effettivamente un’interpretazione estensiva dell’art. 657 cod. proc. pen. affermando che esso deve essere letto “pensando alla sua massima estensione e non come norma di chiusura ma come norma di apertura“, ma tale interpretazione, ad avviso della Suprema Corte, non è corretta, essendo stata sempre ribadita la tassatività dei periodi computabili a titolo di pena detentiva da espiare, precisando che la norma consente la fungibilità solo con riferimento alla custodia cautelare e agli arresti domiciliari, in virtù del disposto dell’art. 284, comma 5, cod. proc. pen.
Viene affermato che “ferma restando la non applicabilità dell’art. 657 cod. proc. pen. a misure cautelari diverse da quelle detentive, il periodo trascorso in applicazione di un’altra misura cautelare, in particolare l’obbligo di dimora, può essere ritenuto fungibile qualora essa sia accompagnata dall’arbitraria imposizione di obblighi tali da renderla assimilabile alla misura degli arresti domiciliari. Il giudice deve, quindi, valutare la concreta afflittività e arbitrarietà degli ulteriori limiti imposti all’imputato, oltre all’obbligo di dimora, al fine di stabilire se, nel caso concreto, la misura imposta abbia comportato una limitazione della libertà di movimento tale da renderla equiparabile agli arresti domiciliari, in quanto fortemente, e arbitrariamente, riduttiva della possibilità di usufruire liberamente del tempo solitamente dedicato al lavoro e alla vita sociale, ferma restando la sua diversità ontologica da tale, più grave, misura cautelare“.
La Cassazione riprende anche un consolidato orientamento secondo il quale, ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire a seguito di condanna per un determinato reato, la misura cautelare dell’obbligo di dimora subita in relazione ad esso, non è fungibile, ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen., con la pena inflitta, salvo che sia accompagnata dall’arbitraria imposizione all’imputato di obblighi tali da renderla assimilabile al regime degli arresti domiciliari.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione sottolinea che l’ordinanza impugnata non si è conformata a tali principi, in quanto ha generalmente affermato che la misura dell’obbligo di dimora imposta all’imputato era “sostanzialmente assimilabile al regime degli arresti domiciliari” perché accompagnata dal divieto di lasciare l’abitazione per un periodo di quindici ore, e perché imposta nella piccola località ove risiedeva l’imputato, quindi, con ulteriori ridotte facoltà di movimento.
Le due tesi vengono smontate dalla Corte in quanto, ad avviso di questa, il giudice avrebbe dovuto, invece, valutare se l’ulteriore obbligo di trattenersi nell’abitazione eccedesse il tempo abitualmente trascorso in casa per svolgere le ordinarie attività di riposo e cura, alla luce del concreto contenuto dell’obbligo stesso.
In particolare, avrebbe dovuto valutare che l’orario imposto occupa, per la sua maggior parte, le ore notturne, cioè il periodo in cui abitualmente le persone si trattengono nella propria abitazione, e che solo occasionalmente viene dedicato, in parte, ad attività da svolgersi all’esterno, mentre all’imputato è stata lasciata la piena libertà di movimento, con i soli limiti imposti dall’obbligo di dimora, per il tempo e per gli orari propri di una normale giornata lavorativa.
Per ciò che concerne la località in cui tale obbligo è stato imposto, il fatto che questa fosse piccola, “in quanto anche ciò limiterebbe la facoltà di movimento dell’imputato” è del tutto erroneo in quanto “la libertà di movimento non è correlata alla grandezza dell’area territoriale in cui l’imputato è obbligato a trattenersi, essendo questa, in ogni caso, notevolmente più ampia del luogo in cui viene abitualmente scontata la misura degli arresti domiciliari“.
Ad avviso della Corte, affermare il contrario significa eliminare ogni differenza tra la misura dell’obbligo di dimora e quella degli arresti domiciliari quando la prima venga applicata a carico di persone dimoranti dei molti Comuni italiani di piccole dimensioni, mentre la diversità della limitazione alla libertà di movimento imposta dalle due misure è di assoluta ed immediata evidenza.
La Cassazione, pertanto, ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata con rinvio al Gip del Tribunale di Milano per nuovo giudizio.
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