Casa familiare: l’assegnazione è opponibile anche ai proprietari

Redazione 02/03/18
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Casa familiare: i presupposti per l’assegnazione

La Corte di Cassazione è intervenuta in materia di divorzio, con particolare riferimento all’assegnazione della casa familiare. Con la sentenza n. 3302 del 12 febbraio scorso, la sesta sezione civile della Suprema Corte ha affermato che l’assegnazione dell’abitazione coniugale all’ex coniuge che abitava l’immobile in forza di un contratto di comodato, è opponibile anche ai proprietari dell’immobile stesso, qualora sussistano i presupposti per l’assegnazione stessa. Ciò vale anche nell’ipotesi in cui il coniuge non sia affidatario; occorre comunque che l’abitazione costituisse la casa in cui la famiglia aveva posto la propria residenza. In tali circostanze, l’assegnazione può essere opposta sia ai terzi che ai proprietari.

Nel caso di specie, i genitori dell’ex marito citavano in giudizio l’ex nuora, residente nell’immobile di loro proprietà, affermando che la stessa non aveva alcun valido titolo per continuare a risiedere nella loro casa. Invero, i due avrebbero concesso l’abitazione al proprio figlio per ragioni lavorative e non per stabilirvi la residenza della propria famiglia. In altre parole, non si trattava di casa familiare.

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L’assegnazione della casa familiare in caso di separazione o divorzio

La casa coniugale è il teatro della vita familiare, fulcro degli interessi e delle abitudini in cui si realizza la vita della famiglia. La notevole complessità delle problematiche connesse all’abitazione si ripercuote inevitabilmente sulla sua assegnazione, in sede di separazione o divorzio.Non v’è dubbio, infatti, che, in occasione della crisi matrimoniale, l’assegnazione della casa adibita a residenza della famiglia rappresenti uno dei motivi di maggior conflitto, in quanto vengono a scontrarsi esigenze e diritti contrapposti, tutti oggetto di esplicita tutela costituzionale: da un lato, l’esigenza del coniuge, non proprietario, di continuare ad abitare nella casa che ha rappresentato il centro degli affetti e dell’organizzazione domestica; dall’altro, la necessità di tutelare il diritto, costituzionalmente garantito, alla proprietà privata.Il legislatore, nel regolamentare la materia – che non riesce a fornire un’apprezzabile soluzione a tutti i problemi sociali e giuridici –, ha spostato l’attenzione dai genitori alla famiglia, composta anche dai figli, i cui interessi devono essere prioritariamente privilegiati, all’evidente scopo di salvaguardare il bisogno dei minori (o anche dei figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti o portatori di handicap) di mantenere inalterati i rapporti con l’ambiente in cui sono vissuti.Quindi solo l’interesse dei figli a non subire ulteriori cambiamenti dovuti alla crisi familiare e a conservare un minimo di continuità e regolarità di vita è l’unico motivo che può spingere a sacrificare (limitare) il diritto di proprietà.Giuseppe Bordolli, Consulente legale in Genova ed esperto di diritto immobiliare. Svolge attività di consulenza per amministrazioni condominiali e società di intermediazione immobiliare. È collaboratore del quotidiano Condominio 24 Ore on line e cartaceo e di varie riviste di diritto immobiliare. Autore di numerose pubblicazioni in materia di condominio, mediazione immobiliare, locazione, divisione ereditaria, privacy, nonché di articoli e note a sentenza. È mediatore e docente in corsi di formazione per le professioni immobiliari

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La destinazione dell’immobile

In tutti i gradi di giudizio, le richieste dei ricorrenti venivano respinte. I proprietari affermavano di aver concesso l’immobile al proprio figlio per motivi di lavoro. Tuttavia, i giudici di legittimità hanno evidenziato che, nel tempo, il cambio di destinazione dell’immobile (da lavorativo a familiare) non era stato in alcun modo contestato dai proprietari della casa. Al contrario, il fatto sopravvenuto era stato accettato, considerato altresì che, nel frattempo, il figlio si era spostato; peraltro, gli stessi ex coniugi, sia nell’ambito del giudizio di separazione che in seno al procedimento per divorzio, avevano chiesto l’assegnazione della casa alla madre, a tutela della figlia minore.

Pertanto, i proprietari avrebbero potuto contestare fin dall’inizio il nuovo e diverso utilizzo dell’immobile, cosa che non hanno fatto, tacitamente acconsentendo alla sopravvenuta destinazione della casa di loro proprietà. Da ciò discende che, in presenza dei presupposti per l’assegnazione della casa, ancorché la stessa sia abitata in forza di un titolo diverso da quello di proprietà, il provvedimento è opponibile sia ai terzi che ai proprietari dell’immobile.

Per approfondire leggi L’intollerabilità oggettiva della convivenza

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