L’intollerabilità oggettiva della convivenza

Redazione 05/02/18
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di Laura Fiori

In una doverosa visione evolutiva del rapporto coniugale, il giudice, per pronunciare la separazione, deve verificare, in base ai fatti emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione ed a prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità, l’esistenza, anche in uno solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato, pur a prescindere da elementi di addebitabilità da parte dell’altro, la convivenza. Ove tale intollerabilità si verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia diritto a chiedere la separazione: con la conseguenza che la relativa domanda costituisce esercizio di un suo diritto.

La pronuncia del Tribunale

Con tale recente pronuncia, il Tribunale di Milano si pone nel solco di quell’orientamento della giurisprudenza, di merito così come di legittimità, teso a privilegiare una lettura evolutiva e più elastica del principio della intollerabilità della convivenza quale presupposto della separazione giudiziale, arrivando ad affermare che al verificarsi, nell’ambito di un rapporto di coppia, di circostanze tali da rendere oggettivamente intollerabile la prosecuzione della convivenza, deve riconoscersi il diritto anche del singolo coniuge alla separazione e ciò a prescindere sia dalla valutazione della addebitabilità della separazione, sia dal compimento di una specifica attività istruttoria.

Il fatto

Una donna presentava ricorso chiedendo che venisse pronunciata la separazione personale nei confronti del marito, l’affidamento dei figli minori in via esclusiva, nonché l’assegnazione della casa coniugale, con l’obbligo a carico del marito di versare un contributo per il mantenimento dei figli.
All’udienza presidenziale, il Presidente, dato atto della mancata comparizione personale del marito e della sua mancata costituzione, non potendo esperire il tentativo di conciliazione, dopo aver sentito la sola moglie, autorizzava i coniugi a vivere separati con l’obbligo del mutuo rispetto e pronunciava la relativa ordinanza presidenziale.
Si svolgeva il giudizio, nel corso del quale, dichiarata la contumacia del marito, il Giudice rigettava le istanza istruttorie di prova orale articolate dalla ricorrente, ritenendole superflue ed irrilevanti, ritenendo la causa matura per la decisione.

Veniva, quindi, pronunciata sentenza di accoglimento della domanda di separazione, con l’affidamento dei minori in via esclusiva alla madre, assegnazione alla stessa della casa coniugale ed obbligo del marito al versamento di un contributo al mantenimento.
Come anticipato, con tale pronuncia il Tribunale di Milano valorizza una lettura più elastica ed evolutiva del principio di intollerabilità della convivenza, quale stabilito dall’art. 151 cc, nel senso, cioè, di ritenere che la pronuncia di separazione personale prescinda tanto dalla violazione consapevole degli obblighi derivanti dal matrimonio, quanto dalla volontà di uno dei coniugi, dovendo piuttosto- e per contro- essere ricercata nella intollerabilità della convivenza e/o, in presenza di figli, nel grave pregiudizio che deriverebbe a questi ultimi dalla prosecuzione della stessa. Con l’ulteriore conseguenza, altresì, che la dichiarazione di addebito prevista dall’art. 151, comma 2 cc si configura quale mera pronuncia accessoria ed eventuale rispetto a quella di separazione.

I precedenti giurisprudenziali

Ed anzi, in relazione a tale ultimo aspetto, si ricorda quanto in precedenza stabilito dalla Corte di Cassazione (n. 2274/2012), la quale, anch’essa nel solco di una interpretazione evolutiva ed elastica del principio della intollerabilità della convivenza, ha ravvisato tale presupposto nella circostanza dell’abbandono, da parte di un coniuge, del domicilio coniugale con instaurazione di una stabile convivenza more uxorio. Ed infatti, in quella occasione gli Ermellini hanno, in particolare, ritenuto “immune da censure il convincimento della Corte di Appello secondo il quale la disponibilità unilaterale della moglie a sopportare tale situazione non può valere ad impedire la sussistenza della intollerabilità della convivenza tra i coniugi, che costituisce il presupposto della pronuncia di separazione giudiziale, intollerabilità strettamente collegata all’esistenza di una nuova famiglia”, in quanto “l’esistenza di una nuova famiglia costituiva sicuro indice della disaffezione alla convivenza matrimoniale”.

Sotto altro profilo, la valutazione circa la intollerabilità della convivenza richiede una analisi complessiva dei comportamenti reciprocamente tenuti dai coniugi, anche quali emergenti dalla condotta processuale. Aspetto, questo, valorizzato nella sentenza in commento, la quale, infatti, ha pronunciato la separazione ponendo l’attenzione, oltre che sui motivi dedotti dalla moglie a sostegno delle proprie domande- quali, tra gli altri, “i comportamenti adottati dal marito nei confronti della moglie… l’abbandono della casa familiare da parte del marito”-, sulla “assenza del medesimo nel procedimento”, in quanto ulteriore conferma del fatto che “le parti non hanno più intenzione di considerarsi marito e moglie, per effetto di un rapporto di coniugio disgregato dai fatti intervenuti nel tempo”.

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Elementi, tutti, che hanno indotto il Tribunale di Milano a dichiarare la separazione senza necessità di “espletare una specifica istruttoria allo scopo di verificare se la convivenza sia divenuta realmente intollerabile”, in quanto, osservano i giudici, “dagli atti è emerso il venir meno della comunione materiale e spirituale fra i coniugi in questione, essendosi verificate circostanze tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza fra gli stessi, ovvero da recare pregiudizio alla prole”.

In altri termini e come detto, una pronuncia, quella in commento, espressione della cd tesi “soggettivistica”, recepita in questi ultimi anni dalla Corte di Cassazione, laddove è stato, a più riprese, precisato che non è richiesta la sussistenza di una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco spirituale di una delle parti, “tale da rendere per lei intollerabile la convivenza e verificabile in base ai fatti obiettivi emersi, compreso il comportamento processuale, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione” (si vedano, tra le tante,  Cass. n. 12383 del 2005, Cass. n. 3356 e 21099 del 2007; n. 7125 del 2011).

 

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