Carcere Biella: esclusa tortura ma auspicate pene più severe

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Utilizzare mezzi eccessivi e violenti, anche se non risulta tortura, si rivela inutile, anche se sono indirizzati al contenimento di detenuti in grave stato di alterazione, senza arrivare alla loro umiliazione.
Nonostante questo, i comportamenti dei pubblici ufficiali dovrebbero essere puniti in modo più severo.

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Indice

1. I fatti in questione


Ritornando un po’ indietro nel tempo con la finalità di riassumere la situazione, si deve ricordare che lo scorso mese di febbraio, nel carcere di Biella, si dovette procedere a contenere tre detenuti stranieri in grave stato di alterazione utilizzando mezzi impropri giudicati eccessivi e inutilmente violenti.
Nonostante questo, non si è trattato di tortura.
Il reato in questione, introdotto nel nostro Paese in tempi abbastanza recenti, precisamente nel 2017, scatta, prendendo il nome di tortura di stato,  quando i comportamenti vengano attuati dai pubblici ufficiali in modo gratuito e con la finalità di umiliare la persona, trattandola come un oggetto  e recando ingiustificata offesa alla dignità della stessa.
Sono state queste le motivazioni del Tribunale del Riesame di Torino, che ha provveduto all’annullamento delle misure cautelari rivolte a determinati agenti della polizia penitenziaria di Biella, disposte in esecuzione di un’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) in relazione al sopra menzionato reato di tortura di stato.
Il GIP, dietro esplicita richiesta del Pubblico Ministero, aveva ordinato, come riporta il quotidiano Il Sole 24 Ore, di applicare la misura cautelare della detenzione domiciliare a carico del vicecomandante pro tempore, riservandosi, dopo l’esito degli interrogatori, di applicare le richieste di misure di interdizione nei confronti di altri ventisette agenti coinvolti. 


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2. L’eccessività dei mezzi


Era finito nella lente della procura il trattamento riservato a tre detenuti arrivati nel carcere di Biella, uno dei quali fu immobilizzato utilizzando le manette e il nastro adesivo, privandolo dei pantaloni e picchiandolo.
Queste misure non hanno ottenuto il favore dei medici, chiamati dagli stessi agenti penitenziari, che le hanno giudicate eccessive.
Secondo i giudici torinesi, autori dell’ordinanza, verrebbero a interagire i trattamenti non umani e degradanti puniti dal reato di tortura, se fossero stati attuati in un contesto “oggettivamente e soggettivamente teso a  umiliare la persona offesa a deriderla per una situazione che obiettivamente la mortifica ad un livello di res”.
Nel caso specifico, il detenuto era in uno stato di grave alterazione psicofisica, causata anche da una crisi di astinenza, che lo aveva indotto all’assunzione di un comportamento aggressivo e autolesionista, battendo più volte la testa sul muro.

3. L’auspicio di pene più severe


Una volta abbandonata l’ipotesi del reato di tortura, lo stesso Tribunale del Riesame del capoluogo piemontese,non ha escluso i reati di lesioni e abuso di autorità.
Si porta anche più avanti, sottolineando l’importanza culturale e di efficacia preventiva della norma che ha introdotto il reato di tortura.
A questo proposito, rispettando la ratio della legge, dovrebbe essere più opportuno che comportamenti simili alla tortura di stato e rivolte a punire abusivi e non ammissibili comportamenti caratterizzati da violenza da parte dei pubblici ufficiali, come l’abuso di autorità, debbano essere puniti in modo più severo di quello che adesso avviene, in modo da consentire nei confronti dei responsabili, la possibilità di irrogare non esclusivamente sanzioni disciplinari, ma anche l’applicazione di misure cautelari, tra le quali, quelle di interdizione.
I giudici concludono sottolineando che in carcere si va perché si è puniti e non per essere puniti.

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Il volume si configura come luogo di confronto tra studiosi e operatori che, muovendo da diversi orientamenti disciplinari e da molteplici percorsi professionali, dedicano attenzione critica al carcere e alle dinamiche penitenziarie.  Attraverso il prisma delle scienze sociali, si suggeriscono percorsi teorici e indicazioni operative finalizzate a osservare, interpretare l’universo penitenziario e a ipotizzare strade per introdurre in tale mondo una nuova cultura della pena. I saperi sociali, infatti, si rivelano particolarmente preziosi nel munire i lettori di lenti in grado di aumentare il livello di consapevolezza pubblica delle profonde contraddizioni del carcere, e consentono di vedere il penitenziario sia come specchio della società, sia come anticipatore di processi che rischiano di investirla successivamente. Se vi è una nota comune alle voci che compongono il testo, è proprio il tentativo di fare del penitenziario un oggetto di ricerca sociale, in una prospettiva che si colloca sul limine tra il dentro e il fuori, e che si rivela l’unica possibile per reintegrare e legittimare l’oggetto carcere all’interno del contesto sociale, in un’epoca storica orientata invece a rimuovere ed escludere.   Andrea BorghiniDocente di Sociologia generale e di Sociologia del controllo sociale e della devianza presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. I suoi principali interessi di ricerca riguardano le trasformazioni del potere dello Stato nell’era globale, la sociologia di Pierre Bourdieu e i mutamenti del controllo sociale. È stato Direttore del Master Universitario in Criminologia sociale e, dal 2007, è Delegato del Rettore per le attività universitarie rivolte ai detenuti. Tra i suoi ultimi lavori ricordiamo: The Role of the Nation-State in the Global Age, Brill (2015); The Relationship between Globality and Stateness: Some Sociological Reflections, Palgrave (2017); Carcere e disuguaglianze socio-economiche: una ricostruzione del dibattito sociologico, Pisa University Press (2018).Gerardo PastoreDocente di Sociologia della globalizzazione e Sociologia del controllo sociale e della devianza presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa. Le sue ricerche dedicano attenzione alla sociologia critica e dell’emancipazione; allo studio delle disuguaglianze sociali e dei processi di inclusione nella società della conoscenza; alle dinamiche sociali tra inclusione ed esclusione nelle istituzioni totali. Tra le sue recenti pubblicazioni sul tema oggetto del presente volume si segnalano: Carceral society, in Bryan S. Turner (editor), Encyclopedia of Social Theory, Wiley-Blackwell (2018); Inclusion and social ex-clusion issues in university education in prison: considerations based on the Italian and Spanish experiences, in International Journal of Inclusive Education (2018); Pratiche di conoscenza in carcere. Uno studio sui Poli Universitari Penitenziari, in The Lab’s Quarterly (2017).

Andrea Borghini, Gerardo Pastore | Maggioli Editore 2020

Dott.ssa Concas Alessandra

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