Brevi note sulla riforma della riforma della custodia nel procedimento di espropriazione forzata immobiliare

Redazione 07/11/19
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di Beatrice Ficcarelli

Sommario

1. Profili evolutivi

2. La recente nuova modifica dell’art. 560 c.p.c.

1. Profili evolutivi

Negli ultimi venti anni l’esecuzione forzata civile è stata, come noto, oggetto di riforme nel tentativo di avvicinare il sistema italiano ai modelli esteri per tempi ed efficacia di procedimenti.

Si tratta di una profonda ed incessante trasformazione del processo esecutivo che ha riguardato anche l’istituto della custodia del bene pignorato nell’espropriazione immobiliare, tanto da trattarsene in termini di una vera e propria metamorfosi.

In particolare, il modello originario del processo esecutivo, già profondamente mutato nella sua fisionomia dalle leggi nn. 80/2005 e 263/2005, nel corso dell’ultimo decennio è stato al centro di plurimi interventi normativi per effetto della legge n. 132 del 6 agosto 2015 nella quale è stato convertito il d.l. 27 giugno 2015 n. 83, a cui si è aggiunto, più di recente, il decreto legge n. 135 del 14 dicembre 2018, convertito in legge 11 febbraio 2019, n. 12 che ha apportato ulteriori modifiche. Quest’ ultima riforma, -che ha investito l’art. 495 cod. proc. civ., relativamente alla conversione del pignoramento e l’art. 569 circa il provvedimento di autorizzazione alla vendita- è nuovamente intervenuta anche sull’art. 560 c.p.c., norma dedicata al modo della custodia nell’espropriazione immobiliare che ne ha visto completamente riscritta e ridisegnata la disciplina.

Difatti nel disegno originario del codice di procedura civile del 1942, la custodia in ambito espropriativo non era affidata ad un terzo imparziale, ma attribuita ope legis allo stesso debitore esecutato; pertanto ad un soggetto, naturalmente poco, o punto interessato, alle sorti di un bene ormai destinato ad essere sottratto alla sua disponibilità.

Tale aspetto, che al più consentiva una cautela contro possibili alterazioni o distruzioni fisiche del bene, poneva in completa ombra l’aspetto amministrativo e gestionale, invece di assoluta rilevanza. E l’inefficienza di quel sistema si palesava proprio in pendenza dei rapporti che si prestano a valorizzare il profilo gestorio, come nel caso di locazione dell’immobile esecutato. Così come strutturata, in altre parole, la custodia non consentiva di compiere appieno tutte quelle attività utili a rendere concrete le potenzialità sottese ai rapporti gestionali.

Del resto, nel quadro ora descritto, la disciplina della custodia si inseriva all’interno di un disegno che ambiva ad un processo esecutivo destinato ad esaurirsi in tempi brevi, e dunque poco sensibile a farsi carico di problematiche di ordine gestionale, prese invece in considerazione in situazioni in cui si era messo in conto il possibile procrastinarsi dei tempi processuali, come nel caso dell’amministrazione giudiziaria, per la quale si era elaborato, sin dall’inizio, un modello di custodia in netta antitesi con quello delineato per le espropriazioni immobiliari.

Attraverso la riforma del 2005 (l. n. 80/2005 e 263/2005) si é approdati ad una nuova concezione della custodia in ambito espropriativo, tendente a favorire con maggiore ampiezza la sostituzione del custode e la formazione di nuove regole funzionali alla liberazione dell’immobile e alla sua più fruttuosa liquidazione.

Tale riforma, e, a seguire, quella del 2016, ha dunque scardinato la impostazione tradizionale del’istituto e, sul presupposto che il debitore è il soggetto che fisiologicamente offre minori garanzie circa la conservazione e la cura del bene, oltre a non prestare attività collaborativa di sorta, la custodia viene ora ad essere, di regola, e d’ufficio, affidata a soggetti diversi dal debitore ai sensi dell’art. 559 cod. proc. civ., acquistando la funzione di “accompagnare” il bene nella sua collocazione sul mercato.

Il custode diviene infatti colui che costituisce il primo referente per gli interessati all’acquisto, fornendo loro le informazioni opportune e li accompagna nella visita dell’immobile. Il custode è anche colui che eventualmente è legittimato a porre in essere tutte le azioni necessarie a garantire all’aggiudicatario la effettiva disponibilità del bene.

2. La recente nuova modifica dell’art. 560 c.p.c.

L’ultima riforma del processo esecutivo intervenuta per l’effetto del d.l. 14 dicembre 2018 n. 135 convertito in legge 11/2/2019 n. 12, ha riscritto per intero l’art 560 cod. proc. civ. avente ad oggetto il modo della custodia, lasciando invece inalterato il precedente art. 559 dedicato alla custodia in generale.

La modifica legislativa, con il preciso intento di salvaguardare l’abitazione dell’esecutato dalla liberazione “anticipata” dell’immobile, ha individuato un cd. doppio binario: uno per i cespiti destinati ad abitazione dell’esecutato e dei suoi familiari conviventi; l’altro per tutti gli immobili non abitati dal debitore e dal suo nucleo familiare.

Per questi ultimi il giudice ordina infatti la liberazione anticipata dell’immobile pignorato e il custode è persona diversa dell’esecutato.

Al contrario, per gli immobili abitati dal debitore e dai suoi familiari conviventi, la liberazione è collegata all’emissione del decreto di trasferimento.

In altri termini, il debitore esecutato, specie se l’oggetto dell’esecuzione sia costituito dall’abitazione principale ove viva con la famiglia ed esplichi la propria personalità, ha la garanzia di potervi permanere fino alla vendita.

Pertanto oggi la liberazione anticipata dell’immobile costituisce una mera eventualità, ridotta ai casi di cui al comma sesto dell’articolo citato ovvero qualora “sia ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti, quando l’immobile non sia adeguatamente tutelato e mantenuto in uno stato di buona conservazione per colpa o dolo del debitore e dei membri del suo nucleo familiare, quando il debitore viola gli altri obblighi che la legge pone a suo carico, o quando l’immobile non è abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare“.

La norma, così rinovellata, comprime dunque la discrezionalità del giudice dell’esecuzione sull’emissione dell’ordine di liberazione, collegando il provvedimento a circostanze o fasi processuali predeterminate.

Quanto al custode, questo perde(rebbe) il compito di conservare gli immobili adibiti ad uso abitazione dell’esecutato, spettandogli piuttosto il dovere di vigilanza sul debitore affinché lo stesso provveda alla manutenzione e a conservare l’integrità del bene.

Quale diretta conseguenza della prosecuzione dell’occupazione dell’immobile da parte del debitore verrebbe poi meno anche il dovere amministrazione dei predetti beni.

In ogni caso, qualora occorra provvedere all’amministrazione (si pensi alla raccolta o vendita dei frutti naturali) il potere-dovere del custode di amministrare pare derivare, nel silenzio dell’art. 560, dall’art. 65 cod. proc. civ. che così recita “La conservazione e l’amministrazione dei beni pignorati o sequestrati sono affidate a un custode, qualora la legge non dispone altrimenti“.

Ciò che stupisce è anche che il legislatore del 2019 abbia eliminato dall’art. 560 cod. proc. civ. ogni riferimento al portale delle vendite pubbliche. Tuttavia, un’ampia discrezionalità è riconosciuta dalla norma al giudice dell’esecuzione, dato che le modalità del diritto di visita sono contemplate e stabilite nell’ordinanza di cui all’art. 569.

Il vero nodo da risolvere resta allora quello relativo alle modalità di concretizzazione dell’ordine di liberazione una volta che questo sia emesso dal giudice, atteso che l’attuale testo normativo è privo di qualsivoglia indicazione utile all’interprete circa la natura del provvedimento e le modalità di attuazione.

Lo stesso dicasi per i beni mobili relitti nell’immobile.

Spetterà pertanto all’inteprete farsi carico di una lacuna legislativa che rischia di compromettere l’efficienza di un sistema che le recenti riforme si erano invece ripromesse di conseguire come obiettivo primario.

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