Bancarotta fraudolenta per dissipazione: natura della fattispecie e rischi per l’imprenditore

Fra le ipotesi di bancarotta fraudolenta, quella “per dissipazione” è forse la fattispecie di reato più insidiosa cui l’imprenditore può andare incontro.

Allegati

Fra le ipotesi di bancarotta fraudolenta contemplate dall’ordinamento quella “per dissipazione” è forse la fattispecie di reato più insidiosa cui l’imprenditore può andare incontro. E lo è anche secondo i parametri della S.C. che definisce quella dissipativa una condotta di non facile definizione, atteso che in taluni casi essa impatta sulla “delicata questione delle scelte imprenditoriali nella valutazione dei mezzi occorrenti per l’adeguato svolgimento dell’attività esercitata, che ovviamente l’imprenditore è libero di adottare nel rispetto delle regole di conduzione delle aziende” (Cass. Pen., Sez. V, sentenza n. 45682 del 01/12/2022). Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon

Corte di Cassazione -sez. V pen.- sentenza n. 45682 del 01-12-2022

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Indice

1. Bancarotta fraudolenta


Ma procediamo con ordine. Innanzitutto, l’art. 322 CCII (in precedenza art. 216 L.F.) fissa nella reclusione da tre a dieci anni la pena per l’imprenditore, dichiarato in liquidazione giudiziale, che “ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti”.
Tralasciando di considerare l’ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla lettera b), comma 1, dell’art. 322 CCII, balza all’occhio che la bancarotta fraudolenta chiama in causa una molteplicità di condotte che l’imprenditore in liquidazione giudiziale può avere alternativamente o contemporaneamente posto in essere (prima o dopo la dichiarazione di liquidazione giudiziale).
Intanto, si osserva che il reato di bancarotta fraudolenta, per come delineato dall’articolo citato, è un reato proprio, nel senso che esso può essere commesso non da chiunque, ma solo dall’imprenditore. Esiste, tuttavia, anche l’ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria (o societaria), giacché l’art. 329 CCII stabilisce che “agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società in liquidazione giudiziale” che abbiano commesso taluno dei fatti preveduti dall’art. 322 CCII si applicano le pene in esso previste.
Tornando alle condotte penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 322 CCII, esse vanno dalla distruzione totale o parziale dei beni, con conseguente massimo, irrimediabile e reale danno per i creditori, al loro occultamento o dissimulazione al fine di ridurre fittiziamente l’effettiva consistenza del patrimonio dell’imprenditore.  Allo stesso modo, come nel caso della distruzione, anche la distrazione e la dissipazione provocano il reale depauperamento del patrimonio dell’imprenditore e dunque lo svilimento della generale garanzia posta a presidio degli interessi dei creditori.
Ma qual è la differenza tra distrazione e dissipazione?
In termini generali, è distrattiva la condotta di destinazione dei beni aziendali a finalità diverse da quelle dall’impresa. Più precisamente, secondo la S.C., “la condotta di distrazione si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data una destinazione diversa da quella di garanzia per i creditori” (Cass. Pen., Sez. V, sentenza n. 36856 del 03/10/2024). Mentre, sempre secondo la S.C., la condotta di dissipazione consiste nell’impiego di beni in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia per i creditori. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon

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2. Bancarotta fraudolenta per dissipazione


Dunque, come poc’anzi anticipato, il reato di bancarotta fraudolenta dissipativa ricorre laddove l’impiego dei beni aziendali appaia, ictu oculi, in clamoroso e aperto contrasto con l’interesse dell’impresa sotto il profilo oggettivo e contemporaneamente, sotto il profilo soggettivo, nella consapevolezza, intesa come coscienza e volontà, in capo all’agente di operare per scopi e finalità del tutto estranee all’azienda. In questo senso, l’impiego dei beni aziendali deve apparire dunque fortemente eccentrico e distorto rispetto alla funzione di garanzia patrimoniale da essi rivestita, alla luce di scelte operate dall’agente con l’intento pienamente consapevole di diminuire il patrimonio aziendale in modo manifestamente azzardato, senza alcuna ragionevolezza e senza alcuna coerenza rispetto alle necessità ed esigenze dell’impresa.
Ma quando l’impiego dei beni distorto ed eccentrico apre effettivamente le porte alla condotta dissipativa per manifesta incongruità rispetto alle esigenze dell’impresa? Ebbene sul punto viene in aiuto la S.C., secondo la quale “la finalità della condotta dissipativa, perché estranea all’interesse dell’impresa, non va valutata sulla scorta dell’oggetto sociale ex art. 2328 c.c. (…), bensì delle iniziative imprenditoriali concretamente intraprese o da intraprendersi, dovendo ritenersi, come osservato in dottrina, che la dissipazione si sostanzia nel dissolvere, sperperare, disperdere i beni per scopi incoerenti con le esigenze dell’impresa e non con il suo oggetto sociale inteso in astratto” (Cass. Pen., Sez. V, sentenza n. 13299 del 13/02/2025). E quanto precede, sostiene ancora la S.C., tenuto conto della “concreta attività svolta, che può riguardare solo parte dell’oggetto sociale, avendo riguardo alle dimensioni e complessità dell’azienda, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti” (ancora Cass. Pen., sentenza n. 13299 del 13/02/2025).   

3. Bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice

 
Vi è ora da chiedersi qual è la differenza fra il reato di bancarotta fraudolenta per dissipazione e il reato di bancarotta semplice ex art. 323, comma 1, lettera b) CCII e cioè il reato dell’imprenditore in liquidazione giudiziale che “ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti”.
La prima macroscopica differenza tra bancarotta fraudolenta dissipativa e bancarotta semplice è da ravvisare nell’elemento soggettivo che caratterizza l’operato dell’agente, giacché mentre nella prima fattispecie di reato esso ha sempre carattere doloso (dolo generico), nella seconda fattispecie esso ha per lo più carattere colposo, sebbene anche per la bancarotta semplice non possa escludersi a priori la sussistenza del dolo. Sotto il profilo oggettivo, invece, integrano il reato di bancarotta fraudolenta dissipativo le operazioni che comportano un notevole impegno del patrimonio, realizzate per scopi del tutto futili e senza che ne derivi alcun vantaggio per l’impresa, mentre integrano la meno grave fattispecie di reato della bancarotta semplice, le operazioni che pur avendo natura inconfutabilmente imprudente, in linea con quanto previsto dall’art. 323 CCII, appaiano comunque inerenti l’attività di impresa, sebbene esse siano viziate da errori di valutazione o dall’assunzione di livelli di rischio sproporzionati rispetto alle correlate, effettive possibilità di vantaggio/successo.

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4. I rischi per l’imprenditore


Il quadro delineato, come in ultimo riaffermato dalla Cassazione con la citata sentenza n. 13299 del 13/02/2025, traccia il perimetro di ragionevolezza entro cui l’operato dell’imprenditore (e degli amministratori) deve dipanarsi. L’estensione, talvolta ipertrofica, dell’oggetto sociale, come si è visto, non è sufficiente ad offrire automatica garanzia di liceità a qualsivoglia operazione di impiego dei beni aziendali. Affinché, infatti, tale impiego possa concretamente connotarsi come non eccentrico e incongruo non basta che esso rientri astrattamente sotto il cappello delle attività consentite dall’oggetto sociale. Ciò perché, secondo la S.C., l’oggetto sociale altro non è che un programma, a maggior ragione quando esso copre una pluralità di attività, “cosicché non basta che l’attività sia prevista in oggetto perché le condotte di dissipazione del patrimonio siano automaticamente ritenute non dissipative” (ancora Cass. Pen., sentenza n. 13299 cit.).
Al contrario, la verifica di congruità delle operazioni di impiego del patrimonio dovrà essere effettuata con riferimento alle attività concretamente svolte dall’impresa o almeno prossime ad essere svolte. Solo così potrà esserne accertata, nel caso concreto, la coerenza non rispetto all’oggetto sociale astrattamente definito, ma rispetto all’effettivo interesse dell’impresa, per escluderne compiutamente la natura dissipativa.

Dott. Carmine Di Palo

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