Autonomia e responsabilità nell’evoluzione dell’ordinamento universitario. Prime considerazioni su alcune tendenze emergenti nella legislazione e nella giurisprudenza contabile.

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Il difficile tema dell’autonomia universitaria, in tempi di ristrettezze e di crisi, torna a essere oggetto di riflessioni, confronti e decisioni che aprono scenari ai quali non eravamo più abituati.

A far data dalla legge istitutiva del Ministero dell’Università era cessato il controllo preventivo di legittimità su importanti categorie di atti delle università. La “registrazione” dei provvedimenti da parte della Corte dei Conti era venuta meno, insieme alla gestione centralizzata di molti procedimenti. Allo stesso tempo, le competenze di spesa all’interno di ciascuna istituzione universitaria si erano articolate, declinando spesso dalla titolarità degli organi accademici d’ateneo a quella dei singoli centri di spesa (dipartimenti, centri di ricerca, di servizi, ecc.).

La fluidità della spesa universitaria è stata garantita da un controllo successivo di legittimità esercitato dalla Corte dei conti e da controlli interni esercitati da specifici servizi.

In amministrazioni complesse e articolate come quelle accademiche poteva accadere che le funzioni di controllo venissero affidate a personale impegnato in più centri di spesa e, probabilmente, chiamato a misurarsi con problemi di particolare difficoltà, connessi a situazioni nuove, emergenti solo occasionalmente.

Senza formulare giudizi di opportunità politica, si deve riconoscere che la contemporanea decentralizzazione della dirigenza amministrativa delle università, la perdita dell’indipendenza della stessa dalle autorità accademiche e la rottura dei rapporti di amministrazione unitaria sottraevano le università a quel minimo di indirizzo omogeneo che poteva essere costituito dalla funzione dirigenziale.

È vero che l’autonomia regolamentare riconosciuta a ciascun ateneo, anche, sul piano contabile e organizzativo ha reso difficile la costruzione di qualunque standard unificante per l’intero sistema. È altrettanto vero che sono state particolarmente rare le occasioni istituzionali di confronto e di reciproca validazione dei sistemi contabili e amministrativi. È vero, infine, che l’autonomia ha avuto una attuazione “atomistica” anche sul piano dell’esercizio delle funzioni di vigilanza e controllo da parte dei collegi dei revisori. Da un sistema fondato sul controllo preventivo, retto da criteri unitari e nazionali, quanto meno per la struttura del procedimento e per la titolarità della funzione, si è passati ad un sistema estremamente decentralizzato e significativamente correlato alle singole realtà accademiche (a partire dai poteri di nomina).

Alla diminuzione delle tradizionali funzioni di controllo centralizzate il sistema non ha neppure reagito con lo sviluppo di sistemi di autocontrollo e di procedimentalizzazione standardizzati.

I processi di organizzazione elettronica della contabilità e dei procedimenti amministrativi hanno sicuramente dato grandi contributi all’ampliamento delle possibilità di controllo di gestione. Tuttavia, il grado di diffusione dei sistemi di contabilità automatizzata e l’affidabilità degli stessi sul piano della rispondenza ai principi legali e all’esigenza di immediato aggiornamento alle continue innovazioni legislative non sempre si sono dimostrati all’altezza della missione di garanzia della integrale regolarità dei procedimenti.

L’incontrollabilità della spesa universitaria, che ha condotto a situazioni deficitarie antiche e prestigiose università, dipende certamente, anche e in larga misura, dalla distonia tra modelli di controllo contabile e da una insufficiente cultura dell’autonomia e della responsabilità della comunità accademica. Se si potesse procedere alla verifica di quanti atenei hanno bandito valutazioni comparative senza disporre dell’intero finanziamento necessario, forse si potrebbero valutare i limiti dei sistemi di controllo.

Il quadro delle difficoltà del sistema universitario è oggetto di cronaca quotidiana e non necessita, quindi, di ulteriori dati. È più interessante, invece, prendere in considerazione le tendenze legislative e giurisprudenziali che cominciano a manifestarsi come reazione e come tentativi di correzione ai problemi segnalati.

Sul piano dell’elaborazione normativa non può sfuggire la significativa convergenza di più progetti di legge, di varia promanazione, verso modelli di controllo che possono urtare con la tradizione autonomistica, anche quella dei periodi più restrittivi.

Esempi interessanti possono essere rappresentati dalla vicenda del Decreto ANVUR e dal dibattito in corso al Senato sul disegno di legge di riforma del sistema universitario (AS 1387, AS 1579, AS 1905).

Ancor prima e più significativamente che sul piano dell’evoluzione normativa, tuttavia, è sul piano dell’interpretazione delle disposizioni vigenti e del riconoscimento della struttura dell’autonomia universitaria che si manifestano tendenze fortemente limitative.

Un esempio particolarmente significativo è costituito dalla recente Deliberazione n. 24 della Corte dei conti Sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governoe delle Amministrazioni dello Stato nell’adunanza del 10 dicembre 2009.

— Nei progetti di legge di riforma del sistema universitario in corso di discussione al Senato è possibile riscontrare un atteggiamento restrittivo nei confronti dell’autonomia universitaria.

Al di là di una serie di proposte che tendono a ricondurre al controllo centrale specifici segmenti di attività, specie per quanto attiene ai procedimenti di reclutamento, emerge la novità della proposta dell’istituto del commissariamento per le istituzioni universitarie in dissesto. Fermo restando che la previsione di meccanismi di controllo e responsabilizzazione dovrebbe essere un corollario necessario dell’attribuzione dei poteri di autonomia, l’introduzione di un meccanismo di commissariamento esige la definizione di particolari cautele in ordine ai poteri attribuibili ad una autorità esterna.

In ogni caso, le proposte in discussione si segnalano per un tendenziale spostamento dei poteri di governo dalla comunità accademica ad organi a composizione prevalentemente non accademica. Si realizza, in tal modo, un modello di autonomia dell’istituzione universitaria che non coincide con l’autonomia della comunità universitaria. A parte ogni valutazione di opportunità sulla soluzione che si propone, risulta di immediata evidenza una sostanziale modifica della concezione dell’autonomia che si è consolidata negli ultimi trent’anni.

— Nella nuova edizione del decreto regolativo dell’ANVUR, dopo la mancata attuazione del primo decreto del 2008, si riscontrano passaggi che suscitano qualche perplessità, specie nelle disposizioni che definiscono la composizione degli organi e le procedure di individuazione della ‘rosa’ di candidati al cui interno si esercita la scelta del Ministro.

I criteri composizione e selezione dei componenti rinviano al potere combinato del Ministro e di una serie di ‘poteri sociali’, al cui interno sono significativamente presenti le rappresentanze studentesche.

Si tratta, ovviamente, di uno dei possibili modi di interpretare e realizzare un principio di ‘controllo sociale’ sul sistema universitario. Ovviamente, potrebbe essere prudente valutare gli effetti di una valutazione ‘esterna’ su un sistema che si caratterizza sempre più per l’attribuzione di poteri di amministrazione delle istituzioni universitarie a organi a composizione altrettanto ‘esterna’.

Sarebbe altrettanto opportuno provare a immaginare gli effetti possibili di un simile sistema sull’autonomia individuale dei singoli docenti negli ambiti didattici e di ricerca.

— La deliberazione n. 24 della Sezione del controllo affronta il problema dell’estensione dell’applicabilità “soggettiva” della disposizione dell’art. 17, comma 30 e succ. del d.l. 78/2009, convertito in l. 102/2009, alle università. Il problema era stato posto con la deliberazione n. 20/2009 della stessa Sezione. In quella occasione, era stato affermato che “una interpretazione “costituzionalmente orientata” della norma (conforme, del resto, a quanto prospettato dagli stessi rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri) porta a ritenere che la stessa non è applicabile alle Regioni ed altri enti locali territoriali, ivi comprese le relative articolazioni; e poiché le Aziende Sanitarie Locali (ASL) sono un’articolazione infraregionale (ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni)”, mentre “Per quanto riguarda, invece, le Università e gli Enti di ricerca, la Sezione ritiene che la questione non sia matura per una decisione, anche perché sulla stessa non risulta attivato un contraddittorio con le amministrazioni (anche centrali) interessate; la questione, pertanto, potrà essere affrontata in via pregiudiziale ed in modo esaustivo allorché, eventualmente, verrà deferito all’esame collegiale un atto emanato da uno dei predetti soggetti”.

Proprio nella interpretazione “costituzionalmente corretta” della norma va individuato il problema posto con la deliberazione n. 24. In quest’ultimo provvedimento la Sezione, invero con motivazione molto sintetica rispetto a quella che aveva portato all’esclusione dell’applicabilità della disciplina del controllo preventivo a Regioni e Enti locali per effetto della ripartizione di competenze disposta dagli artt. 117, 118, 119, ha ritenuto che “le Università e gli enti di ricerca scientifica e tecnologica di cui alla legge 9 maggio 1989, n. 168 – anch’ esse fornite di autonomia finanziaria e contabile recate dal titolo II della predetta legge, quindi da fonte legislativa e non costituzionale – siano da considerare rientranti nella previsione normativa di cui si discute, in quanto introdotta con strumento di pari gerarchia ed in grado quindi di apportare modifiche alla precedente regolamentazione, in virtù del principio della successione delle leggi nel tempo”.

La motivazione della Sezione suscita qualche perplessità sia per la facilità con la quale viene risolto il problema della rilevanza costituzionale dell’autonomia universitaria, sia per l’eccessiva semplificazione di un problema complesso come quello del regime del controllo sull’attività delle università.

Si potrebbe ritenere che la Sezione abbia sottovalutato, almeno in parte, il riferimento costituzionale dell’autonomia finanziaria e contabile delle università nonché la conseguente caratterizzazione di specialità della norma di legge ordinaria che la sostiene.

Il ragionamento proposto, infatti, può far correre il rischio di un appiattimento generale del regime dell’autonomia, anche per aspetti diversi da quello contabile, come quelli didattici e di ricerca.

Anche per l’aspetto dell’autonomia contabile, d’altra parte, il regime introdotto dalla l. 168 del 9 maggio 1989, presenta aspetti di specialità qualificata che non possono essere sottovalutati. La norma dell’art.7 comma 10 della l. 168/89, in effetti, introduce un modello di controllo, peraltro anticipatorio dei sistemi che sarebbero stati generalizzati negli anni successivi, che si giustifica proprio in ragione dell’autonomia costituzionalmente riconosciuta. Più in generale, la specialità dell’ordinamento universitario è fissata dalla disposizione dell’art.6 della stessa l. 168 del 1989:

1. Le università sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell’articolo 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti.

2. Nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall’articolo 33 della Costituzione e specificati dalla legge, le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento. E’ esclusa l’applicabilità di disposizioni emanate con circolare”.

Né sembra potere incidere sulla specifica norma di sistema la disposizione dell’art. 1, c.2° del D.lgs. 165 del 2001 “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunita’ montane. e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale”. Non solo la disposizione appare occasionale e deve essere contestualizzata rispetto al sistema generale dell’autonomia universitaria, ma contiene riferimenti alle stesse amministrazioni che con la Deliberazione n. 20 erano state sottratte all’applicazione del sistema di controllo introdotto con l’art. 17, c. 30 del d.l. 78/2009.

Si potrebbe ritenere che la Sezione avrebbe dovuto avere sufficienti ragioni di perplessità per una interpretazione “costituzionalmente corretta” della disposizione al suo esame (come aveva già sottolineato nella deliberazione n. 20) per sollevare una questione incidentale di costituzionalità, per la quale sarebbe stata certamente legittimata (Corte Cost., sent. 226 del 1976).

 

Prof. Giuseppe Vecchio

 

Delibera n. 24/2009

Deliberazione n. 24/2009/P

REPUBBLICA ITALIANA

la

Corte dei conti

Sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governo

e delle Amministrazioni dello Stato

nell’adunanza del 10 dicembre 2009


* * * *

Visto il testo unico delle leggi sull’ordinamento della Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214;

vista la legge 21 marzo 1953, n. 161 contenente modificazioni al predetto testo unico;

visto l’art. 3, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20;

visto l’art. 27 della legge 24 novembre 2000, n. 340;

visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;

visto il Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di con­trollo della Corte dei conti, approvato con delibera delle Sezioni Riunite 16 giugno 2000, modificato ed integrato, da ultimo, con delibera n. 229/CP/2008 del 19 giugno 2008;

visto l’art. 17, commi 30 e 30 bis del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009, n. 102;

visto il decreto del Direttore del Dipartimento di Scienze Storiche dell’Università degli studi di Perugia in data 28 ottobre 2009, n. 19/2009, concernente l’approvazione degli atti del concorso per l’attribuzione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento del progetto “Elaborazione dati per un archivio topo­nomastico e critico-bibliografico sulla Cappadocia ellenistica” presso il Dipartimento di Scienze Storiche – Sezione Scienze storiche dell’Antichità, fondi della Fondazione Cassa Risparmio di Perugia dal ti­tolo: “Centri e periferie nella storia e nella geografia dell’Asia Minore dall’età achemenide all’età ellenistica: Caria e Cappadocia”;

vista la nota prot. n. 566 del 1° dicembre 2009 con la quale il Consigliere delegato dell’Ufficio di controllo di legittimità sugli atti dei Ministeri dei servizi alla persona e dei Beni culturali ha chiesto il deferi­mento alla sede collegiale dell’atto sopra citato;

vista l’ordinanza in data 4 dicembre 2009, con la quale il Presi­dente della Sezione ha convocato per il giorno 10 dicembre 2009 il Col­legio della Sezione centrale di controllo di legittimità per l’esame della questione proposta;

vista la nota n. 330/P del 4 dicembre 2009 della Segreteria della Sezione, con cui la predetta ordinanza è stata comunicata alla Presi­denza del Consiglio dei Ministri, al Ministero dell’istruzione, dell’Università e della ricerca, all’Università degli studi di Perugia e al Mi­nistero dell’economia e delle finanze;

udito il relatore Consigliere dott. Vittorio Giuseppone;

intervenuti i rappresentanti del Ministero dell’istruzione, dell’Università e della ricerca, dott. Marco Tomasi e avv. Tito Varrone.

Ritenuto in

F A T T O

In data 13 novembre 2009 é stato trasmesso dall’Università degli studi di Perugia – per essere sottoposto a controllo preventivo di legitti­mità ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. f-bis) della legge 14 gennaio 1994, n. 20 – il Decreto Direttoriale di approvazione degli atti del con­corso per l’attribuzione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento del progetto “Elaborazione dati per un archivio toponomastico e critico-bibliografico sulla Cappadocia elleni­stica” presso il Dipartimento di Scienze Storiche – Sezione Scienze stori­che dell’Antichità – finanziato dalla Fondazione Cassa Risparmio di Peru­gia, dal titolo: “Centri e periferie nella storia e nella geografia dell’Asia Minore dall’età achemenide all’età ellenistica: Caria e Cappadocia”.

Dal contratto di collaborazione, stipulato dal Direttore pro-tem­pore del Dipartimento di Scienze Storiche dell’Università degli studi di Perugia e la vincitrice del concorso, si evince che il corrispettivo della prestazione – pari ad € 5.500,00, ritenute di legge a carico della contra­ente incluse ed onnicomprensivo di qualsiasi spesa che la medesima do­vesse sostenere in ordine alla esecuzione dell’incarico – graverà su un progetto finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia.

Si evince, altresì, che, trattandosi di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co), la prestazione non dà diritto a trattamento di fine rapporto, ma è soggetta a trattamento previdenziale INPS – di cui all’art. 2, commi 26 e ss. della legge n. 335 dell’8 agosto 1995 – rien­trando in tal modo nel campo di applicazione delle ritenute assicurative INAIL di cui all’art. 5 del d.lvo 38/2000, in quanto l’attività è soggetta a tutela assicurativa.

Dal tenore della richiamata normativa si ricava che i predetti oneri sono a carico della lavoratrice e comunque rientranti nel tetto massimo di € 5.500,00.

Tanto premesso, il Magistrato istruttore – rilevato che la ratio ispiratrice dell’art. 17, comma 30 del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, conver­tito nella legge 3 agosto 2009, n. 102, è essenzialmente finalizzata a raggiungere in tempi brevi il riequilibrio dei bilanci pubblici – ha ritenuto l’atto all’esame, in quanto finanziato con fondi privati, non rientrante tra quelli da sottoporre a controllo preventivo di legittimità.

Condividendo le suddette considerazioni, il Consigliere delegato, con nota 1° dicembre 2009, ha trasmesso gli atti al Presidente della Sezione centrale di controllo per il deferimento della questione all’organo colle­giale.

D I R I T T O

E’ all’esame della Sezione il provvedimento – come meglio preci­sato in narrativa – con il quale viene sottoposto a controllo preventivo di legittimità – ai sensi dell’art. 3, c. 1, lett. f-bis della legge 14 gennaio 1994, n. 20 – un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con il quale il Direttore del Dipartimento di Scienze storiche dell’Università degli studi di Perugia affida a soggetto esterno all’Ateneo, previa procedura concorsuale, l’incarico di “Elaborazione dati per un ar­chivio toponomastico e critico-bibliografico sulla Cappadocia ellenistica”, finanziato con fondi della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia.

In via preliminare, il Collegio rileva che – essendo l’atto in epi­grafe il primo che giunge al proprio esame dopo l’entrata in vigore del decreto-legge n. 78/2009, convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102, concernente la problematica dell’applicazione alle Università e agli enti di ricerca scientifica e tecnologica di cui alla legge 9 maggio 1989, n. 168, dell’art. 17, c. 30 e 30 bis, della predetta normativa – occorre valutare, in via pregiudiziale, se l’atto medesimo rientri o meno in una delle tipo­logie tassativamente previste dall’art. 3, – c. 1 – della legge n. 20/1994, come da ultimo integrato.

La Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi, con delibera n. 20 del 12 novembre 2009, sull’inapplicabilità agli enti locali territoriali e alle loro varie articolazioni delle suddette fattispecie di controllo, argomen­tando che una eventuale competenza statale su atti emessi in subiecta materia dai predetti enti sarebbe incompatibile con la vigente Costitu­zione, anche ove fosse invocata la potestà legislativa concorrente in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della fi­nanza pubblica e del sistema tributario – inserita nell’elencazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione – in quanto la norma in esame, ove intendesse sottoporre a controlli interdittivi singoli atti di Regioni o enti locali, esorbiterebbe dalla competenza dello Stato, il quale appare legittimato a porre soltanto principi fondamentali, rimanendo nella pote­stà degli enti locali territoriali l’eventuale previsione di nuovi strumenti di verifica e controllo, in ossequio all’autonomia amministrativa e finanzia­ria ad essi riconosciuta dagli articoli 118 e 119 della Costituzione.

Pertanto, tenuto conto del precedente deliberato e ad integra­zione dello stesso per la parte che qui rileva, ritiene la Sezione che le Università e gli enti di ricerca scientifica e tecnologica di cui alla legge 9 maggio 1989, n. 168 – anch’ esse fornite di autonomia finanziaria e contabile recate dal titolo II della predetta legge, quindi da fonte legisla­tiva e non costituzionale – siano da considerare rientranti nella previ­sione normativa di cui si discute, in quanto introdotta con strumento di pari gerarchia ed in grado quindi di apportare modifiche alla precedente regolamentazione, in virtù del principio della successione delle leggi nel tempo.

Risolta in senso affermativo la questione della sottoponibilità a controllo preventivo delle fattispecie di atti di cui all’art. 17, c. 30 e 30 bis, del decreto-legge n. 78/2009, convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102, emessi dalle Università e dagli enti di ricerca, il Collegio passa all’esame del provvedimento nella prospettazione fornita dall’Ufficio, tendente a ritenere sottratti al controllo preventivo di cui si discute tutti i provvedimenti che – pur emessi dalle Università e dagli enti di ricerca – vengono finanziati con fondi di provenienza privata.

L’assunto non può essere condiviso.

Infatti i predetti fondi, una volta conferiti alla struttura pubblica, vengono inglobati nel relativo bilancio in un apposito capitolo dell’entrata, e successivamente gestiti e rendicontati con le uniche re­gole di cui l’ente dispone, ovvero quelle “pubbliche”.

La loro utilizzazione è regolamentata al pari degli altri fondi dell’ente e le modalità di gestione e di spendita sono quelle tipiche della struttura pubblica destinataria dell’intervento.

A ciò aggiungasi che per la loro utilizzazione l’ente affronta costi, sia in termini reali che di personale, che vanno ad incidere su altri capi­toli del bilancio pubblico.

Ma v’è di più.

Dall’affidamento dei fondi da parte dell’ente privato a quello pub­blico può inferirsi una sorta di mandato del conferente affinché gli stessi vengano gestiti con modalità pubbliche, al fine di assicurare trasparenza e garanzie che una gestione privata potrebbe non essere in grado di for­nire.

Tale percorso argomentativo appare confermato dalla delibera­zione n. 1 del 13 gennaio 2005 di questa Sezione, laddove si afferma che “tutte le somme stanziate nel bilancio dello Stato (e quindi degli enti pubblici) sono di pertinenza pubblica, a nulla rilevando la loro prove­nienza.”

P. Q. M.

premessa l’assoggettabilità a controllo preventivo di legittimità dei prov­vedimenti di conferimento di incarichi di consulenza e ricerca emessi dalle Università e dagli enti di ricerca, e considerato che il provvedi­mento all’esame non presenta vizi di legittimità, lo ammette al visto e alla conseguente registrazione.

 

                                                            L’Estensore                Il Presidente

                                                    (Vittorio Giuseppone)         (Fabrizio Topi)

 

Depositata in Segreteria il 28 dicembre 2009

 

Il Dirigente

Dott.ssa Paola Lo Giudice

Vecchio Giuseppe

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