Attività professionale e pubblicità: confini, limiti ed ambito di operatività

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Nota a sentenza Consiglio Nazionale Forense n. 75/2021

I. Caso di specie

La questione origina da una segnalazione anonima inviata ad un Consiglio dell’Ordine degli Avvocati con la quale viene indicata la presenza di un sito su internet con il quale un legale pubblicizzava la propria attività professionale indicandovi tariffe definite e di entità bassa; altresì, nella segnalazione viene ad essere sottolineata l’indicazione – da parte del professionista – di una gratuità degli appuntamenti iniziali con riscossione dei compensi ad ultimazione delle questioni.

Il COA competente in via territoriale segnala il caso al Consiglio Distrettuale di Disciplina comunicando, inoltre, al professionista interessato la possibilità di presentare le proprie conclusioni/deduzioni al Consiglio medesimo.

Tuttavia, quest’ultimo, a seguito di seduta, dispone l’archiviazione dell’illecito disciplinare ancorando la propria posizione a specifici motivi. Ovvero: “impossibilità di identificare il soggetto segnalante” nonché alle circostanze per cui “le notizie oggetto di pubblicazione sul sito fossero prive di finalità ingannevole” e, altresì, che “i prezzi indicati fossero di entità irrisoria” (cfr. sentenza in commento[1]).

Segue ricorso da parte del COA avverso la pronuncia del Consiglio Distrettuale di Disciplina. Con esso viene richiesto l’annullamento del dispositivo di archiviazione e, di guisa, la restituzione degli atti al Consiglio. Ciò al fine precipuo di procedere ad una revisione della pregressa decisione con conseguente definizione ed accertamento dell’illecito.

Al riguardo, le doglianze evidenziate dal COA sono rapportabili ad un duplice ordine di motivazioni.

In primo luogo, viene sottolineato come l’anonimato del segnalante/esponente non funga da motivo ostativo all’accertamento della responsabilità deontologica del professionista; in seconda battuta, poi, si precisa che il comportamento tenuto dall’esercente l’attività legale sia non rispettoso dei doveri di matrice deontologica, operanti in tema di pubblicità. Venendo a rilevare, sul punto, una condotta violativa dell’articolo 10 della Legge n. 247/2012 e dell’art. 35 del Codice Deontologico Forense.

Il professionista coinvolto nella vicenda interviene, a sua volta, con memoria di difesa, invocando il rigetto del ricorso per mancata violazione delle fonti normative di rilievo deontologico.

Di seguito le motivazioni poste dal COA a sostegno del ricorso e, a seguire, la decisione del CNF intervenuta a risoluzione della quaestio, con uno sguardo rivolto alle fonti normative e alle giurisprudenziali poste a supporto dell’iter logico-argomentativo.

II. Motivi posti a fondamento del ricorso

Preliminarmente all’analisi della soluzione fornita dal CNF, meritano di essere attenzionate le eccezioni sollevate dal COA (rectius: ricorrente).

Partiamo dal primo motivo oggetto di ricorso.

In proposito – a fronte dell’atipicità dell’impugnazione avverso la delibera di archiviazione sollevata dal legale/professionista resistente – parte ricorrente (COA) richiama l’articolo 61, primo comma, della Legge n. 247/2012 propriamente intitolato “Impugnazioni”. Quest’ultimo recita testualmente quanto segue: “Avverso le decisioni del consiglio distrettuale di disciplina è ammesso ricorso, entro trenta giorni dal deposito della sentenza, avanti ad apposita sezione disciplinare del CNF da parte dell’incolpato, nel caso di affermazione di responsabilità, e, per ogni decisione, da parte del consiglio dell’ordine presso cui l’incolpato è iscritto, del procuratore della Repubblica e de procuratore generale del distretto della corte d’appello ove ha sede il consiglio distrettuale di disciplina che ha emesso la decisione”.

Di qui, nella sentenza in commento, il COA precisa come il decreto con il quale il Consiglio distrettuale di disciplina ha disposto l’archiviazione possa considerarsi passibile di ricorso stante la suesposta copertura normativa nonché orientamenti giurisprudenziali concordi sul punto[2].

Passando alla seconda doglianza, qual è l’anonimato della segnalazione proposta al Consiglio dell’Ordine, il CNF rileva come sia del tutto irrilevante ai fini della decisione.

Ciò in quanto, come precisato nella pronuncia in oggetto, l’anonimato per potersi qualificare in termini di condizione ostativa alla definizione dell’illecito e, come tale, condurre ad una legittima archiviazione dell’esposto deve “ostacolare la possibilità di ottenere chiarimenti nonché l’approfondimento istruttorio d’ufficio[3].

Ancor più, come si legge in sentenza, il decreto di archiviazione risulta essere privo di sufficiente corredo motivazionale laddove traspare come il Consiglio Distrettuale di Disciplina abbia vagliato la condotta del professionista non tenendo debitamente conto dei precedenti di matrice giurisprudenziale intervenuti in tema di informazione e pubblicità dell’attività professionale.[4]

III. Soluzione offerta dal Consiglio Nazionale Forense

Entrambe le motivazioni poste a fondamento del ricorso vengono ritenute meritevoli di accoglimento, con conseguente adesione alle argomentazioni addotte dal COA.

In particolare, il CNF precisa come l’informazione e/o pubblicità dell’attività professionale debba essere in linea con: “la dignità e il decoro professionale” e “di tipo semplicemente conoscitivo”.

Di qui, ne consegue: “il divieto di forme di pubblicità comparativa ed autocelebrativa[5] nonché “di offerta di prestazioni con compensi irrisori o a forfait[6]”.

Pertanto, la pubblicità dell’attività professionale non potrà qualificarsi come decorosa e dignitosa allorquando posta in essere mediante il ricorso a metodi suggestivi ed allettanti, come la gratuità o l’indicazione di compensi bassi. Ciò in quanto si profila una conflittualità con i dettami deontologici di derivazione normativa.

Il che, come precisato dal CNF, legittima anche una rimessione degli atti in capo al giudice disciplinare (Consiglio Distrettuale di Disciplina) affinchè quest’ultimo possa valutare in maniera adeguata la condotta del professionista e poter fornire un valido corredo motivazionale alla decisione.

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Note

[1]Il Consiglio di Disciplina Distrettuale ritiene che la pubblicità delle notizie non sia ingannevole e, come tale, aderente ai dettami normativi. Nel dettaglio, all’articolo 10 Legge 247/2012 propriamente intitolato “Informazioni sull’esercizio della professione”. Tale dato normativo funge da referente importante laddove statuisce espressamente che: “è consentita all’avvocato la pubblicità informativa sulla propria attività professionale, organizzazione e struttura dello studio e sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti”. Viene, al comma secondo, precisato ulteriormente come la pubblicità e tutte le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono rispondere positivamente ai canoni della trasparenza, correttezza e veridicità ed, altresì, “non devono essere comparative con altri professionisti, equivoche, ingannevoli, denigratorie o suggestive

[2] Al riguardo, nella sentenza oggetto di disamina il CNF riporta importanti insegnamenti, riferibili anche alla giurisprudenza di legittimità. Precisamente: C.N.F. sentenza n. 114/2020; SS.UU. Cass. n. 16993/2017.

[3] In merito, nella statuizione in oggetto, il Consiglio nazionale Forense riprende ulteriormente, quale precedente, la sentenza n. 114/2020.

[4] Sul punto, vengono riportati in pronuncia gli articoli 17 e 35 del Codice Deontologico Forense, rubricati rispettivamente “Informazioni sull’attività professionale” e “Dovere di corretta informazione”.

[5] Su modalità e forma delle informazioni riguardanti l’attività professionale, l’articolo 17 del Codice Deontologico Forense precisa che “vanno rispettate la dignità e il decoro della professione” precisando che le stesse “non devono assumere i caratteri della pubblicità ingannevole, elogiativa, comparativa”. Altresì, a ulteriore supporto delle linee argomentative, nella pronuncia si riporta insegnamento precedente di carattere giurisprudenziale, ovvero la sentenza del C.N.F. n. 23/2019.

[6] In proposito, in sentenza è riportato il precedente del C.N.F. n. 243/2018.

Eleonora Stefanelli

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