Indice
1. La questione
Un imputato ricorreva avverso una sentenza con cui la Corte di Appello di Roma, in riforma di una sentenza adottata dal GIP del Tribunale capitolino, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e da lui impugnata, aveva revocato il sequestro del telefono cellulare e del computer in sequestro e la pena accessoria di cui all’art. 85, d.P.R. n. 309 del 1990, confermando nel resto la sua condanna alla pena di quattro anni di reclusione e 20.000,00 euro di multa per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, commesso in Roma il 13/09/2019.
In particolare, tra le doglianze prospettate in tale ricorso, per quello che rileva in questa sede, vi era una con cui il ricorrente deduceva, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 e il vizio di motivazione contraddittoria, nella parte in cui la Corte di appello gli aveva negato l’applicazione della circostanza attenuante della collaborazione benché dagli atti fosse emersa la piena attivazione del ricorrente al fine di individuare il correo, del tutto sconosciuto agli inquirenti e totalmente estraneo all’indagine, fornendo, altresì, le password di sblocco del telefono.
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Il testo è aggiornato a: D.Lgs. 75/2020 (lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione); D.L. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni); L. 113/2020 (Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni) e D.L. 130/2020 (c.d. decreto immigrazione). Fabio PiccioniAvvocato del Foro di Firenze, patrocinante in Cassazione; LL.B., presso University College of London; docente di diritto penale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali; coordinatore e docente di master universitari; autore di pubblicazioni e monografie in materia di diritto penale e amministrativo sanzionatorio; giornalista pubblicista.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte, in ordine al motivo summenzionato, procedeva alla sua reiezione sulla scorta della considerazione secondo la quale il diniego della circostanza attenuante della collaborazione attiva si basava su dati di fatto (l’irrilevanza della collaborazione e la falsità delle dichiarazioni dell’imputato) che a loro volta non potevano essere rimessi in discussione in sede di legittimità mediante le generiche deduzioni difensive che, sempre ad avviso dei giudici di piazza Cavour, non contestavano la corrispondenza a vero di quanto affermato dai Giudici di merito.
Oltre a ciò, gli Ermellini richiamavano quell’orientamento nomofilattico secondo il quale non costituiscono presupposto idoneo per il riconoscimento dell’attenuante della collaborazione prevista dal comma 7 dell’art. 73 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, ammissioni o comportamenti non conducenti all’interruzione del circuito di distribuzione degli stupefacenti, ma limitati al rafforzamento del quadro probatorio o al raggiungimento anticipato di positivi risultati di attività di indagine già in corso in quella direzione (Sez. U, n. 4 del 28/10/1998) fermo restando che la necessità che la collaborazione prestata porti alla sottrazione di risorse rilevanti ed eviti la commissione di ulteriori attività delittuose costituisce requisito indispensabile per la sussistenza della speciale circostanza attenuante in questione, come è stato più volte ribadito anche da pronunce successive che ne hanno ulteriormente declinato l’ambito applicativo (Sez. 6, n. 15977 del 24/03/2016, secondo cui ai fini della applicazione dell’attenuante del ravvedimento operoso di cui all’art. 73, comma settimo, d.P.R. n. 309 del 1990, è necessario che i dati forniti siano nuovi, oggettivamente utili e costituiscano tutte le conoscenze a disposizione del dichiarante; Sez. 6, n. 35995 del 23/07/2015, secondo cui occorre che dette informazioni siano in grado di consentire il perseguimento di un risultato utile di indagine che, senza la collaborazione stessa, non si sarebbe potuto perseguire; Sez. 6, n. 20799 del 02/03/2010, Sez. 4 n. 11555 del 28/01/2004, secondo la quale non basta la mera indicazione del nominativo di qualche complice, ma occorre che l’aiuto si concreti quantomeno in un risultato di utilità, nel senso che la collaborazione prestata, nei limiti della posizione del colpevole, porti alla sottrazione di risorse ed eviti la commissione di altri delitti; Sez. 4, n. 28548 del 03/05/2005, per la quale occorre che il contributo fornito dal collaborante risulti concretamente utile, cioè tale da determinare in maniera diretta un esito favorevole per le indagini e la cessazione dell’attività criminale ad esse relativa; Sez. 4, n. 10115 del 23/31/2007, e Sez. 4 n. 46435 del 18/11/2008, che hanno spiegato che collaborazione deve riferirsi all’intero arco della condotta illecita, e non soltanto ad alcuni segmenti di essa, ed avere rilevanza ai fini della neutralizzazione dell’attività criminosa).
Orbene, declinando siffatti criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, il Supremo Consesso reputava come il giudice sia tenuto a verificare caso per caso, con riferimento ai risultati conseguiti in dipendenza dell’attivazione dell’interessato, l’applicabilità dei principi sopra indicati ai comportamenti rilevanti ai fini del riconoscimento dell’attenuante in questione, non potendo questo essere tipizzato previamente.
Di conseguenza egli non può, per esempio, senza incorrere nel vizio di mancanza di motivazione, disconoscere tale circostanza sulla base dell’affermazione che l’imputato si è limitato ad indicare il suo fornitore di droga, sia pure mediante identificazione su base fotografica, dovendo spiegare la ragione per cui tale condotta non abbia permesso il conseguimento dei risultati previsti dal citato art.
73 per la concessione dell’attenuante (in particolare, se per verifica dell’inconsistenza o insufficienza ovvero non significatività dell’indicazione del prevenuto oppure per suo rifiuto di successive, necessarie collaborazioni, eventualmente richiestegli) (così Sez. 4, n. 3853 del 16/02/1996; cfr. altresì Sez. 6, n. 11775 del 15/11/1993, che ha annullato con rinvio la sentenza del giudice di merito che aveva escluso la sussistenza della circostanza attenuante a favore dell’imputato che, dopo l’arresto, aveva fornito all’autorità giudiziaria il numero telefonico, l’indirizzo e la precisa descrizione somatica della donna che gli aveva venduto l’eroina, nonché altri particolari – marca, tipo e colore dell’autovettura da lei utilizzata, descrizione della casa in cui abitava e del giardino antistante – che consentirono all’autorità giudiziaria di disporre, con esito positivo, la perquisizione della abitazione e la custodia cautelare della donna, poi condannata per il delitto di spaccio di droga).
Nella fattispecie in esame, quindi, per i giudici di legittimità ordinaria, la Corte territoriale aveva correttamente sostenuto come il risultato probatorio (l’individuazione del complice) sarebbe stato comunque conseguito dall’analisi del computer utilizzato dall’imputato per commettere il reato e ciò senza considerare la falsità delle dichiarazioni stesse dell’imputato circa la assoluta occasionalità della condotta (occasionalità smentita proprio dal correo).
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito integra la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti.
Difatti, si afferma in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che non costituiscono presupposto idoneo per il riconoscimento dell’attenuante della collaborazione prevista dal comma 7 dell’art. 73 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, ammissioni o comportamenti non conducenti all’interruzione del circuito di distribuzione degli stupefacenti, ma limitati al rafforzamento del quadro probatorio o al raggiungimento anticipato di positivi risultati di attività di indagine già in corso in quella direzione, essendo invece richiesto che la collaborazione prestata porti alla sottrazione di risorse rilevanti ed eviti la commissione di ulteriori attività delittuose dato che la collaborazione prestata in questi termini costituisce requisito indispensabile per la sussistenza della speciale circostanza attenuante in questione.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare la sussistenza (o meno) di questo elemento accidentale.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.
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