Aspetti aziendalistici nelle partecipate pubbliche

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(Prima parte)

Premessa

Il principio di economicità

 

Leggi la seconda parte del contributo a questo link.

 

            Vi è una analogia tra l’organizzazione riferita alle imprese e quella adeguata agli istituti della pubblica amministrazione, tuttavia non possono perdersi di vista i punti chiave che differenziano i due livelli, in particolare l’azione che per il pubblico è indirizzata verso “obiettivi da realizzare” mentre le aziende private si indirizzano essenzialmente alla disponibilità dei mezzi monetari; la rete di relazioni organizzativo-istituzionali che definisce il pubblico comporta la coesistenza di indirizzi “politici” e “amministrativi” tesa alla salvaguardia dell’ipotetico bene pubblico rispetto all’innovazione e ai risultati, ne consegue l’importanza della regolamentazione diretta alla salvaguardia del bene pubblico, circostanza che in una “competenza delle spese” propria dell’amministrazione diretta conduce alla responsabilità dell’emissione dell’atto che si viene a sovrapporre alla responsabilità di risultato.

            Mentre nel contesto imprenditoriale la logica è di tipo economico e si estende a tutti i livelli, negli istituti pubblici la visione politica dei vertici si dovrebbe venire ad integrare con la visione prevalentemente economica dei livelli operativi, tuttavia la necessità o “sfiducia” nella capacità e correttezza di giudizio dell’operato negli istituti pubblici richiama la necessità di regolamentazioni, che inducono a privilegiare forme di controllo amministrativo accanto a quelle di controllo direzionale, a sua volta normative particolarmente complesse, specialistiche ed analitiche, possono dare luogo a fonti improprie di potere, come l’ambiguità del decentramento che nel rendere la gestione più vicina ai cittadini con un possibile rafforzamento del loro controllo sulla gestione può al contempo dare un potere prevaricatorio a pochi soggetti su limitate realtà locali con possibili diseconomie di scala.

            Nelle aziende pubbliche tradizionalmente il sistema informativo tendeva a rendere conto della gestione sotto il solo aspetto finanziario a scapito del raggiunto grado di economicità, ossia della possibilità di esprimere un giudizio sull’equilibrio economico-finanziario-patrimoniale, il sistema informativo integrato ha quindi la funzione sia di permettere una programmazione logica di medio-lungo termine, che di valutare lo svolgimento della gestione, oltre che un efficace e sintetico controllo direzionale sui costi ed indici di produttività dei servizi, si ha pertanto una visione più ampia rispetto al semplice controllo economico avente carattere consuntivo mediante feed-back, il controllo integrato, come il sistema informativo, permette un controllo orientato al futuro da esercitarsi durante il processo (feed-forward) mediante la pianificazione.

            Se nell’impresa privata la valutazione avviene in termini di profitti, nelle attività pubbliche la valutazione è il benessere generale, il che rimanda la cittadinanza quale popolazione costituente la Nazione che utilizza i servizi, tuttavia essendo ogni cittadino il frutto di una serie di fattori differenti fra loro vi è naturalmente una differenza valutativa fra gruppi diversi, che è alimentata da un deficit di conoscenza del valore effettivo delle transazioni con il pubblico in cui ciascuno è coinvolto, tolto naturalmente il conflitto tra i vari gruppi per puro interesse, il servizio acquista quindi un concetto di uso multiplo in cui vi è la necessità di una analisi costi-benefici in una delle sue possibili varianti quali l’analisi costi-efficacia.

            Nel pubblico molte volte manca una seria analisi spesso per motivi clientelari, altre volte la descrizione dei benefici e dei costi può determinare un mutamento dell’azione, tuttavia necessita la determinazione di un valore di mercato in termini monetari, nel quale considerare ai fini dei benefici economici e dei costi futuri un tasso di interesse che rifletta correttamente il valore nel tempo del denaro impiegato, questo al fine di potere comparare il settore pubblico con l’ipotesi del suo investimento alternativo nel settore privato, in altre parole i benefici apportati dovrebbero poter essere comparabili ai benefici che si sarebbero potuti ottenere impiegando le stesse somme privatamente.

            Il calcolo del rapporto costi – benefici riflette l’equivalente in denaro del beneficio dell’utente in rapporto all’equivalente in denaro del costo del promotore [BC(i) = benefici per il pubblico/costi per il governo], in cui il beneficio è uguale a tutti i benefici meno tutti gli svantaggi per l’utente, mentre il costo comprende tutti i costi meno tutti i risparmi che il promotore deve sostenere, si deve notare che i risparmi non sono riferiti come guadagno per l’utente bensì come diminuzione dei  costi per la P.A., il rapporto costi – benefici viene pertanto definito anche come un rapporto tra benefici equivalenti e costi equivalenti, dove i benefici sono tutti i vantaggi meno gli svantaggi per l’utente ed i costi tutte le spese meno i risparmi del promotore:

   Benefici = (+) vantaggi, entrate, risparmi

                        (-) svantaggi, spese, perdite

   Costi      =  (+) spese, perdite

                       (-) risparmi, entrate

i costi equivalenti sono costituiti dal capitale equivalente investito inizialmente dal promotore (I) e costi operativi e di manutenzione equivalenti annui meno ogni entrata annua prodotta dal progetto che si traduce nei costi equivalenti netti annui per il promotore (c) , si avrà così: BC(i) = B/I+C

dove (B) sono i benefici equivalenti netti per l’utente.

            La condizione perché un progetto possa essere considerato è che il suo rapporto costi-benefici sia maggiore di 1, dove i benefici primari rappresentano il valore dei prodotti o servizi diretti realizzati dalle attività per le quali il progetto è stato realizzato, mentre i benefici secondari rappresentano il valore dei prodotti e servizi aggiuntivi realizzati grazie alle attività intraprese dal progetto o da esse stimolate.

 

–         L’intervento economico dello Stato nella globalizzazione –

 

La condizione di equilibrio del mercato è il punto in cui domanda ed offerta si incontrano, quanto il beneficio marginale (prezzo) del bene risulta uguale al suo costo marginale (prezzo)si ha un mercato efficiente, in questo il mercato fornisce la migliore allocazione possibile, tuttavia vi sono casi di inefficienza dati dalla limitata possibilità di ingresso per nuove imprese, circostanza che crea un potere di mercato per quelle imprese che già operano nel settore, anche i costi di trasporto possono costituire un limite come barriere all’ingresso possono venire da rendimenti di scala crescenti che possono condurre a fenomeni di monopolio naturale, altro caso di fallimento può derivare dalla mancanza di convenienza economica (beni pubblici puri), ma anche in presenza di una possibile forma di escludibilità può non esservi la convenienza sociale in quanto la quantità prodotta risulterebbe inferiore rispetto all’ottimo sociale (es. Istruzione), in tutte queste ipotesi si ha un mercato incompleto, ma l’intervento pubblico può essere anche favorito da necessità di equità sociale tale da favorire la coesione sociale stessa in termini democratici o anche dalla necessità di favorire il consumo dei cosiddetti  “beni meritori”, aventi un valore sociale come nell’ipotesi delle cinture di sicurezza che dovrebbero ridurre i costi sociali della sanità per incidenti stradali.

Dall’intervento pubblico per la creazione del welfare, a partire dalla grave crisi economica e sociale del ’29, alla crisi del modello alla fine del secolo, si è parlato del fallimento pubblico da contrapporre al possibile fallimento del mercato, i motivi di questo fallimento si possono riscontrare nell’incertezza dei risultati che consegue a ciascun intervento pubblico anche quale corollario allo scarso controllo dello stesso settore pubblico sui suoi programmi, infatti intervengono variabili incontrollabili quali i fattori demografici, il progresso tecnico, la conflittualità sociale, le pressioni internazionali, altri fattori sono i gruppi di interesse che agiscono sul processo politico, l’effettiva applicabilità dei programmi sottoposti ad una miriade di pressioni e interventi, l’elevata pressione fiscale quale conseguenza delle pressioni lobbistiche e delle decisioni sociali, nonché gli eccessi ed errori di regolamentazione che distorcono il mercato, anche a causa della cattura del regolante da parte del regolato, si è innestata pertanto la necessità di un profondo processo di regolamentazione che, affiancandosi alle nuove tecnologie e all’evoluzione politica post – 1989, ha condotto ad una forte globalizzazione economico-finanziaria, l’esplodere del debito pubblico per Welfare principalmente a causa della struttura della popolazione e dell’incremento del reddito sostenuto dalla spesa pubblica ha condotto quindi all’attuale crisi di ridimensionamento.

La teoria economica ha individuato i vantaggi di un commercio finanziario globale nella suddivisione del rischio, nella possibilità di acquisire fondi a prestito dall’estero sia per necessità impreviste che per finanziare investimenti o incentivare la crescita, nell’incanalare i fondi negli usi più produttivi, infine nella possibilità di disciplinare governi e banche centrali impedendo uno sfruttamento eccessivo dei capitali interni, tuttavia i vantaggi della globalizzazione come vantaggi derivanti da una concorrenza “perfetta” sono stati rivisti recentemente da nuove teorie del commercio internazionale (Krugman), nelle quali sono stati sottolineati i complessi rapporti tra commercio internazionale, finanza e distribuzione del reddito, dove emergono fattori quali il divario tecnologico fra i vari paesi, le forme di mercato differenti dalla concorrenza perfetta e dalla conseguente teoria dei rendimenti di scala crescenti, ne consegue che nonostante i forti legami commerciali ogni paese nello specializzarsi in beni diversi si caratterizza da tassi di crescita diversi.

La maggiore integrazione commerciale induce un aumento di credibilità ai fini finanziari anche grazie alla maggiore disciplina determinata dal vincolo estero, il rovescio della medaglia è che in presenza di una credibilità incerta i rischi di fallimento del sistema paese è molto elevato, ne deriva la predisposizione di meccanismi “di punizione” atti a legare le mani ai governi al fine di aumentare la credibilità internazionale, d’altronde i benefici della globalizzazione non si suddividono uniformemente tra i vari paesi né al loro interno, lo spostamento di attività in paesi con minori costi produttivi, in particolare sul costo del lavoro, viene ad incidere sui livelli occupazionali meno qualificati, i paesi più industrializzati si concentreranno sui manufatti ad alta tecnologia, inoltre l’eventuale instabilità su un mercato potrà contagiare rapidamente gli altri mercati data la velocità e dimensione dei flussi finanziari, il rischio diventa un rischio sistemico, questo conduce alla perdita di autonomia delle politiche economiche nazionali al fine di conciliare il libero scambio, piena mobilità dei capitali, cambi fissi, politiche macroeconomiche interne (Padoa Schioppa), infatti sia le politiche monetarie che fiscali dovranno tendere ad una convergenza per la loro sostenibilità ai fini di una potenziale crescita economica interna.

 

L’evoluzione aziendale

 

Obiettivo di ogni sistema di governance è dominare e dirigere il processo di creazione di valore attuato all’interno dell’azienda sì da rispondere alle aspettative dei diversi portatori di interesse, esso si riferisce tanto all’azione di governo che al sistema attraverso cui vi è la direzione e il controllo delle aziende.

Tuttavia recentemente ci si è concentrati, a seguito degli scandali quali Parmalat, Cirio, Enron, World Com, ecc., sul tema delle regole trascurando l’azione di governo e le modalità del suo esercizio. Peraltro sarebbe ingenuo ritenere che una sufficientemente corretta redazione dei bilanci sia il viatico per ottenere un “buon governo”, in realtà occorre considerare anche i processi interni alle singole aziende in modo da allineare norme interne ed esterne, scelte strategiche, sistemi organizzativi e gestionali interni, processi e comportamenti.

Tutti questi aspetti devono diventare un sistema di valori individuali e collettivi, entrando a far parte della cultura aziendale e questo può avvenire solo tramite una corretta gestione delle conoscenze.

La strategia e le politiche aziendali rappresentano, nell’ambito delle funzioni di governo, l’espressione più elevata in cui si manifesta il ruolo imprenditoriale e manageriale dell’alta direzione, il legame tra governance e strategia è essenziale al fine di soddisfare le aspettative degli stakeholder, di fondamentale importanza è la capacità di rinnovare il modello di business, definire nuove partnership, acquisire nuovi mercati, mantenere in definitiva una adeguata combinazione prodotto – mercato, tecnologia – modello di business, in sostanza mettere in discussione anche le situazioni più convincenti.

E’ possibile, pertanto, individuare distintamente tre dimensioni della governance aziendale da implementare in ottica integrata:

–         Compliance, aderenza a determinate regole interne ed esterne;

–         Performance, allineamento degli obiettivi individuali con gli obiettivi strategici, i singoli obiettivi assegnati e al rischio desiderato;

–         Knowledge, la competenza e la cultura interna.

 

Il controllo delle performance nonché della compliance non sono sufficienti ad assicurare il processo di creazione di valore, quest’ultimo è in realtà fortemente influenzato dalla knowledge ossia dalla cultura aziendale (principi, valori e convinzioni) e dalla capacità di condividere le conoscenze organizzative.

Il sistema di governance è pertanto lo strumento fondamentale per coordinare e integrare le varie conoscenze necessarie nell’organizzazione, in tal senso acquistano particolare importanza le modalità attraverso cui le conoscenze vengono condivise e di tali modalità se ne dovranno curare le strutture di governo. Il bisogno di integrare le conoscenze richiama l’esigenza di adottare una serie di linguaggi e strumenti atti a favorire la comunicazione e l’allineamento operativo, occorre tuttavia tenere presente che integrare non vuol dire necessariamente omogeneizzare, in quanto vi è la necessità di bilanciare le diversità locali, costituenti i punti di forza dell’azienda, con la convergenza mediante l’allineamento al fine di preservare le diversità locali quali presupposti per rapide risposte al variare dei bisogni sul territorio, senza per questo tuttavia compromettere l’unitarietà aziendale.

Si parla di una economia dominata dalla logica delle reti in cui tutto è dotato di una forza maggiore della semplice sommatoria delle parti, in questi scenari estremamente dinamici acquista importanza la capacità di innovazione e creatività.

Tali capacità sono in genere espressioni all’interno delle organizzazioni di individui creativi auto-organizzati in comunità collaborative, in grado di sviluppare nuove idee e progetti con un forte coinvolgimento emotivo, il ruolo delle reti è fondamentale per fare emergere la creatività individuale, occorre tuttavia evitare la creatività per forza al fine di non cadere nella banalizzazione, la creatività infatti si manifesta spesso all’improvviso all’interno di gruppi impegnati a dialogare per altri fini.

Anche l’innovazione può avere un duplice ruolo di cambiamento o come forza distruttiva, a seconda se in sintonia o meno con la strategia aziendale, il collante comunque per entrambi è la capacità di collaborare e confrontarsi con i membri del gruppo.

I benefici di una rete di tipo collaborativo risiedono nella agilità e rapidità ai cambiamenti, nella pervasività della conoscenza che crea innovazione, nonché nella capacità di creare sinergie riducendo costi e tempi, d’altronde la partecipazione a tali reti crea in ciascun membro un senso di riconoscimento e stima; il passaggio a tali comunità auto-organizzatesi da un’organizzazione strettamente gerarchica deve essere favorito con la cessione di parte del controllo e del potere da parte della struttura centrale, necessita pertanto sviluppare nuovi codici di comportamento organizzativo.

Gli individui che partecipano a tali comunità sono fortemente motivati in quanto lavorano per obiettivi comuni, condividendo idee e non a seguito di imposizioni gerarchiche si che viene a perdersi l’atmosfera pesante e repressiva che talvolta si instaura, dobbiamo considerare che il gruppo ben omogeneizzato ha una valenza ben superiore alla somma dei singoli, manifestando una creatività maggiore rispetto ai suoi comportamenti.

Fino ad oggi la gestione progettuale è stata focalizzata sulle technicality non lasciando molto peso:

–         Ai rapporti tecnico – sociali che vengono ad influire sul progetto;

–         Alla quantificazione del livello di criticità del progetto e ai suoi effetti sull’organizzazione;

–         Alla valorizzazione economica in termini laterali rispetto al progetto di ulteriore creazione e produzione.

Vi è di fatto una propagazione di effetti non solo sull’insieme dei progetti aziendali (portafoglio), ma sull’intera organizzazione con riferimento anche ai portatori di interessi esterni.

Abbiamo detto che l’azienda non è più un sistema monolitico da governare con metodi automatici di ispirazione ingegneristica, ma bensì un sistema dinamico dai rapporti interni ed esterni complessi, in un mondo dai confini non più chiaramente definiti ma bensì aperti.

Cambia pertanto la funzione dell’uomo all’interno dell’organizzazione che acquista sempre più una propria personalità, anche questo frutto della nuova struttura sociale affermatasi dagli anni ’70 in poi, fondata sul riconoscimento della diversità e del ruolo personale di ciascuno, in cui l’uomo è alla ricerca di una propria autoregolazione.

La complessità che si crea pone problemi concreti di auto-organizzazione periferica di ogni sistema aperto, per cui diventa sempre più difficile prevedere il futuro e allo stesso tempo governare l’instabilità lasciando aperte le varie opzioni, questo non porta a negare il modello tradizionale semplicemente se ne sottolinea l’insufficienza.

Il modello a rete che oggi predomina nei modelli aziendali dal punto di vista operativo presuppone ampie deleghe con una notevole capacità di identificare, collaborare e risolvere i problemi, avendo come focalizzazione il cliente e il capitale relazionale, questo in quanto il contesto economico attuale è caratterizzato da:

–         Velocità di cambiamento sempre più accelerata;

–         Interconnessione stretta tra elementi ritenuti fino a poco tempo fa distinti (es. clienti e venditore, concorrenti e partner);

–         Prevalere  degli aspetti immateriali costituiti da informazioni, relazioni e conoscenze su quelli fisici.

I principi a cui si rifà un’azienda adattiva sono:

–         L’auto-organizzazione;

–         La disorganizzazione creativa;

–         La condivisione;

–         La flessibilità strategica;

–         L’organizzazione a rete;

–         Circoli virtuosi;

–         La learning organiozation.

Le conseguenze di una tale strategia sono:

–         Sostituzione di procedure ripetitive (efficienza) con una capacità di adattamento (efficacia);

–         Flessibilità dell’organizzazione costituita da un insieme di capacità modulari in grado di rimodularsi in base ai bisogni di clienti interni ed esterni;

–         La revisione delle strategie non è più rigidamente pianificata, essendo temuta quale elemento dirompente in una organizzazione rigidamente strutturata;

–         Cresce la capacità di ascolto del cliente di strutturarsi sui suoi bisogni (feedback);

–         La comunicazione diventa centrale;

–         Vi è una maggiore attenzione agli indizi provenienti dal mercato e alle preferenze emergenti;

–         Il know how non è più incorporato solo nei prodotti ma sempre più nelle persone e pertanto diventa fonte di creatività e innovazione.

In tale struttura il capitale intellettuale è determinante per permettere l’adattamento dell’impresa all’ambiente esterno ed esso ricomprende non soltanto le capacità professionali ma anche emotive, motivazionali e sociali, ossia l’uomo nella sua intera personalità, e proprio per questi fattori è altamente volatile.

Questo pone il problema della valutazione della personalità umana e della sua scelta, essendo non più un automa dal comportamento programmato posto in una struttura tayloristica, ma un soggetto fornito di ampie deleghe che sviluppa la propria personalità all’interno dell’organizzazione aziendale. La libertà di manovra fornita al singolo comporta l’assunzione di responsabilità e di capacità positive relazionali e le potenzialità che ne derivano possono piegarsi sia in uno sviluppo creativo che, in caso di scelte errate, in dinamiche conflittuali distruttive e paralizzanti, riacquista centralità l’azione manageriale come scelta e coordinamento.

Secondo la teoria tradizionale del management questi vive l’organizzazione dall’esterno, come una realtà oggettiva da predeterminare, concentrato sugli aspetti funzionali dell’organizzazione, alla ricerca di nessi causali per prevedere il futuro, in questa visione vengono enfatizzati gli aspetti prevedibili dei sistemi organizzativi.

A questa visione accentrata e ingegneristica sempre più si precisa e contrappone una diversa prospettiva, in cui il punto di partenza sono gli esseri umani quali membri di una rete complessa di relazioni per cui è assurdo una pretesa oggettività da trasformarsi in modelli. I singoli interagiscono nella struttura continuamente in una ininterrotta creazione della realtà, nella quale molti elementi imprevedibili intervengono nel processo di auto-organizzazione.

Il manager deve evitare di assumere un carattere decisionista fondato esclusivamente sulle proprie  esperienze, ma deve piuttosto creare dei possibili scenari impensati tuttavia intuibili attraverso un dialogo creativo con gli altri. Viene a formarsi una probabilità di scenari impensabili che il rimescolamento delle dinamiche informative garantiscono, immaginare e governare quanti più scenari futuri possibili risulterà quindi il vero talento del manager.

In questa ricerca se non bastassero le proprie individuali capacità occorre costituire team con personalità diverse, in quanto le strategie “miste” risultano essere ottimali nella valutazione dei possibili scenari complessi.

Abbiamo detto che l’azienda è:

–         Un organismo costituito da mezzi di comunicazione uomini che possono essere lavoratori interni, collaboratori, interlocutori esterni, oltre alle parti fisse di supporto;

–         L’efficienza è determinata dalle relazioni;

–         L’insieme di tali relazioni hanno un naturale grado di “sensibilità” alle condizioni iniziali, per cui piccoli cambiamenti nella struttura relazionale hanno grosse influenze nella struttura operativa e funzionale;

–         L’impresa quale organismo complesso opera in un ambiente in continuo cambiamento, per cui tende ad auto-organizzarsi in termini adattivi;

–         Il futuro non è prevedibile ma resta imprevedibile e turbolento.

Da quanto finora detto ne consegue che:

–         Deve esservi una capacità dell’impresa di vivere sull’orlo del caos, rinnovandosi continuamente in termini creativi e non statici;

–         I processi decisionali sono fenomeni indeterminati che nascono da conflitti, dilemmi e caos;

–         Il capitale relazionale si estende ai fornitori, ai clienti, ai famigliari e alle istituzioni;

–         Le differenze interne e la conflittualità “regolata” costituiscono non un disvalore, ma un valore ulteriore per l’impresa.

Le patologie organizzative che possono riscontrarsi nelle aziende sono pertanto:

–         Lo scollamento tra organizzazione reale e formale;

–         L’inefficienza aziendale è spesso valutata in termini di pura riduzione dei costi e delle strutture e non sulla reale efficienza espressa dal personale e dall’organizzazione;

–         Le ristrutturazioni organizzative vengono spesso effettuate senza individuare le reali leadership e le comunità produttive interne auto-organizzatesi;

–         Sono trascurate le rilevanti interne risorse intangibili a favore di una semplicistica valutazione contabile;

–         I processi decisionali non prevedono il coinvolgimento orizzontale dell’impresa, al fine di completare e semplificare la complessità informativa nascente da qualsiasi decisione.

Vi è pertanto un fattore di novità dato dalla ridondanza delle informazioni, circostanza che se da una parte permette un miglioramento decisionale dall’altra senza scremare potrebbe confondere.

 

Bibliografia

–         R. Grant, L’analisi strategica nella gestione aziendale, Il Mulino 1994;

–         P. Milgrom – J. Roberts, Economia, organizzazione e management, Il Mulino 1992;

–         N. Parmentola, Programmazione e valutazione dei progetti pubblici, Il Mulino 1991;

–         E. Borgonovi, Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche, Egea 2005;

–         R. Dornbusch – S. Fischer – R. Satrz, Macroeconomia, Mc Graw – Hill, 1998;

–         D. Franco, L’espansione della spesa pubblica in Italia, Franco Angeli 1993.

 

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. Corso di formazione e aggiornamento professionale per Manager della Pubblica Amministrazione – For.Com.- Roma

. Master II livello in Diritto ed Economia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.

 

(Rielaborazione di un ciclo di seminari dell’autore su qualità, sicurezza e sviluppo organizzativo)

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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