Ascolto diretto del minore, la Corte di Cassazione precisa le condizioni

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 Con ordinanza emessa in data 14 marzo 2019 n. 12018 la Cassazione respinge le doglianze del ricorrente, il quale denunciava la nullità della pronuncia della Corte d’appello che, nel procedimento avente ad oggetto il reclamo da lui proposto, non aveva provveduto all’ascolto diretto del figlio minore.

La vicenda

Di recente la Cassazione è intervenuta nella vexata quaestio del ruolo dei minori nei giudizi di divorzio ed in particolare nei procedimenti che concernono il loro affidamento ai genitori. Nella vicenda in commento uno dei coniugi proponeva reclamo avverso la decisione del Tribunale di primo grado, che in sede di modifica delle condizioni di divorzio concernenti il collocamento del figlio, aveva confermato la sistemazione del minore presso la madre.

Tale decisione veniva assunta sebbene nel giudizio di prime cure il minore, ascoltato dal CTU, aveva manifestato la volontà di trasferirsi presso la casa paterna.

Ad analoga conclusione giungeva la Corte d’appello, senza però disporre una nuova audizione del minore, come richiesto in sede di reclamo.

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Il ricorso in Cassazione

Dolendosi di ciò, il padre ricorreva in Cassazione, lamentando in particolare la violazione degli artt. 336 bis e 337 octies c.c. che disciplinano le condizioni e le modalità di ascolto del minore, dell’art. 12 della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo che garantisce, in particolare, al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne e, infine, dell’art. 3 della Convenzione di Strasburgo che tutela il medesimo diritto.

La Corte di Cassazione chiarisce innanzitutto il ruolo primario che l’ascolto del minore riveste nei procedimenti che lo riguardano ed in particolare in quelli relativi al suo affidamento.

Viene ribadita l’importanza della sua volontà, in quanto, essendo portatore d’interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore in sede di affidamento e diritto di visita, il minore è qualificabile come parte in senso sostanziale del procedimento.

 

Quadro normativo

Viene chiarito in sede di pronuncia il carattere di adempimento necessario che l’ascolto del minore riveste sul versante normativo, sia a livello sovranazionale, come testimonia l’art. 12 della Convenzione di New York del 1989, ratificata con L. n. 176/1991 e dell’art. 3 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con L. n. 77/2003, sia a livello nazionale. L’ascolto dei soggetti almeno dodicenni, infatti, è stato posto espressamente quale principio generale dell’ordinamento italiano con la L. n. 219/2012 di riforma della filiazione.

L’art. 315 bis c.c. pone infatti il dovere dell’ascolto del minore ultradodicenne, o comunque capace di discernimento, come regola generale.

Quadro giurisprudenziale

Ciò posto, i Giudici di legittimità nel provvedimento in commento ribadiscono come la regola dell’ascolto sia stata acquisita anche a livello giurisprudenziale. In diverse pronunce, infatti, la Cassazione ha evidenziato che l’audizione del soggetto almeno dodicenne, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse[1].

Tale obbligo può non essere adempiuto dal giudice solo laddove egli ritenga, con specifica e circostanziata motivazione, l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore.

Obbligo di motivazione

Per garantire piena attuazione al diritto del minore di essere ascoltato, secondo l’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità, il giudice deve motivare le ragioni per cui ritiene il soggetto infra-dodicenne incapace di discernimento, se decide di non disporne l’ascolto, così come deve motivare perché ritiene l’ascolto effettuato nel corso delle indagini peritali idoneo a sostituire un’audizione diretta ovvero un ascolto demandato a un esperto al di fuori del contesto relativo allo svolgimento di un incarico peritale. Tale motivazione appare, in generale, tanto più necessaria quanto più l’età del minore si approssima a quella dei dodici anni, oltre la quale subentra l’obbligo legale dell’ascolto[2].

Dall’analisi dell’orientamento assunto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione emerge dunque l’intenzione di garantire piena attuazione e tutela al principio dell’ascolto della volontà del minore.

Viene altresì ribadito che il giudice, assolto l’obbligo dell’ascolto, non è tenuto a recepire, nei suoi provvedimenti, le dichiarazioni di volontà che emergono, così come non è tenuto a recepire le conclusioni dell’indagine peritale.

Tuttavia qualora il giudice intenda disattendere tali dichiarazioni e tali conclusioni ha l’obbligo di motivare la sua decisione con particolare rigore e pertinenza.

Decisione in commento

La Suprema Corte con l’ordinanza in commento esprime il convincimento dell’adeguatezza della motivazione addotta dalla Corte d’Appello in ordine alla mancata considerazione della volontà espressa dal minore in sede di CTU nel giudizio di primo grado.

Segnatamente, viene condivisa la decisione di non valorizzare le dichiarazioni del minore, poiché il suo desiderio di trasferirsi presso la casa paterna rappresentava una conseguenza del comportamento tenuto dal padre in opposizione alla madre, coinvolgendolo in un ruolo ed in scelte e decisioni che competono agli adulti. Pertanto, il clima di conflittualità genitoriale impedisce al minore di manifestare una volontà libera e non condizionata.

Orientamenti difformi

Tuttavia, in altre occasioni la Suprema Corte, in merito alla valutazione delle dichiarazioni rese dal minore, ha ribadito come la conflittualità delle parti in causa non può costituire, di per sé, una giustificazione idonea a far ritenere prevalente l’interesse del minore al mantenimento dello status quo. Al contrario, si impone in questi casi una più rigorosa verifica dell’interesse effettivo del minore e la predisposizione di un contesto in cui il soggetto, scevro da condizionamenti, possa manifestare liberamente la sua volontà. È dunque espressamente escluso dalla Cassazione che l’ascolto possa essere ritenuto inutile nel caso in cui il conflitto di lealtà genitoriale possa interferire nelle decisioni di vita del minore.

D’altronde, l’obbligo dell’ascolto e di una rigorosa motivazione nel caso di mancata valorizzazione delle dichiarazioni rese dal minore si inseriscono in un trend normativo e giurisprudenziale che già a partire dagli anni Novanta del secolo scorso riconosce il minore come soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione.

Tale valorizzazione della persona del minore si impone non solo a livello normativo, ma soprattutto a livello processuale, dove la necessità di ascoltare il minore e di valutarne le dichiarazioni era considerata un obbligo già prima del consolidamento delle riforme menzionate.

Note

[1] Tra le tante Cass., Sezione I, sentenza 26 marzo 2015, n. 6129; Cass., Sezione I, sentenza 29 settembre 2015, n. 19327; Cass. S.U., sentenza 21 ottobre 2009, n. 22238.

[2] Cass., sezione I, ordinanza 24 maggio 2018 n. 12957.

 

Maria Rosaria Amelio

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