Art. 576 c.p.p.: impugnazione della parte civile

Redazione 15/04/99
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di Elena Pesenti

Ai sensi dell’art. 576 c.p.p. la parte civile può proporre impugnazione contro la sen­tenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio di primo grado ai soli ef­­fet­ti della responsabilità civile. Tale impugnativa risulta circoscritta al mede­simo oggetto e presenta gli stessi limiti dell’azione civile che la predetta parte pri­­­­vata è abilitata ad esercitare nel processo penale e conseguentemente può in­ve­stire le sole disposizioni della sentenza che concernono i suoi interessi civili.

Fermo il principio che la valutazione dell’ammissibilità della costituzione di parte civile – sia nel giudizio di primo grado sia negli stati e gradi ulteriori – non può prescindere dal “criterio di interesse”, deve ritenersi che la parte civile ha interesse anche all’affermazione della responsabilità penale dell’im­pu­ta­to, in quanto la decisione relativa si pone come presupposto del riconoscimento o della negazione dei propri diritti risarcitori.

Secondo il sistema processuale, infatti, sussiste l’interesse della parte civile a impugnare le sentenze penali di assoluzione o di proscioglimento in tutti i casi nei quali la sentenza penale irrevocabile ha autorità di cosa giudicata anche nel giudizio civile o amministrativo relativo alla sua pretesa risarcitoria: appunto per­ché anche la pretesa risarcitoria sarebbe pregiudicata dalla decisione penale, deve riconoscersi alla parte civile un concreto interesse a rimuovere la decisione penale e il suo effetto preclusivo. Inversamente, nessun interesse processuale ha la parte civile a impugnare la decisione penale quando questa manca di efficacia preclusiva e quindi lascia libera la stessa parte civile di proseguire la sua pretesa risarcitoria nelle sedi proprie.[1]

In particolare il danneggiato subisce direttamente gli effetti dell’asso­lu­zio­ne dell’imputato, poiché – ai sensi dell’art. 652 c.p.p. – “la sentenza penale irre­vo­ca­bile di assoluzione pro­nunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giu­di­ca­to, quanto all’ac­cer­ta­mento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha com­messo o che il fat­to è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nel­l’e­ser­cizio di una fa­col­tà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per la re­sti­tu­zione del danno pro­mosso dal danneggiato che si sia costituito o sia stato posto in con­dizione di costituirsi parte civile nel processo penale”. (Lo scopo di questa di­­sciplina è quello di impedire al danneggiato di affrancarsi dai possibili effetti del giudicato penale solo dopo aver verificato che l’esito del giudizio penale po­treb­be essere a lui sfavorevole).

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La parte civile è legittimata a proporre appello anche avverso la sentenza di pro­scio­gli­mento “perché il fatto non sussiste”. Ed infatti il termine “proscio­gli­men­to” di cui all’art. 576 c.p.p. deve essere interpretato non già in senso restrit­ti­va­mente te­cnico, vale a dire limitato ai casi di improcedibilità dell’azione penale o di estin­zio­ne del reato, ma – per il principio del favor impugnationis – in senso estensivo, così da comprendere tutte le ipotesi di assoluzione che compromet­ta­no l’interesse della parte civile al risarcimento del danno. [2]

La formula di assoluzione “perché il fatto non sussiste” è ampiamente li­be­­ratoria perché presuppone che nessuno degli elementi integrativi della fat­ti­spe­cie criminosa contestata risulti provato;[3] infatti viene pronunciata allorquando manchi uno degli elementi oggettivi del reato (azione, evento, nesso di causalità) ed è resa superflua ogni valutazione della condotta del­l’im­putato.[4]

Proprio perché prevede l’esclusione del fatto-reato, quindi, la sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” compromette l’interesse della parte civile al risarcimento del danno, tenuto conto dell’effetto preclusivo della sen­ten­za dibattimentale irrevocabile di assoluzione nel giudizio civile di danno.[5]        Nella suddetta ipotesi di proscioglimento la parte civile può chiedere solo una diversa valutazione in ordine alla sussistenza dei fatti ed al­la responsabilità dell’imputato soltanto al fine del proprio esercizio dell’azione ri­sarcitoria e con l’assoluto rispetto dell’intangibilità del giudicato penale.[6] Per ot­te­­nere la condanna generica al risarcimento dei danni deve in ogni caso essere accertata l’esi­sten­za di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose.

Quando invece sia pacifica la condotta penalmente illecita dell’imputato, ma difetti l’elemento soggettivo del reato (imputabilità, dolo, colpa, condizioni obiet­­tive di punibilità, ecc.) la formula deve essere quella del fatto non co­sti­tuen­te reato.

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La parte civile, se omette di proporre impugnazione avverso la decisione del Giudice di primo grado di assoluzione dell’imputato, è da considerarsi acquie­scen­te alla decisione pregiudizievole al suo interesse circa il risarcimento del danno, con conseguente formazione del giudicato tra le parti in ordine al rapporto civilistico.

A nulla rileva che il P.M. abbia proposto tempestivo appello, perché l’im­pu­gnazione della Procuratore della Repubblica – essendo funzionalmente limitata al­la pretesa punitiva – non può sortire effetti estensibili a quella risarcitoria. Ciò si­gnifica che alla par­te civile costituita non può riconoscersi il risarcimento del dan­no se, assolto l’imputato nel giudizio di primo grado, vi sia condanna dello stes­so su appello del solo P.M.

Ulteriormente è ritenuto inammissibile il ricorso per Cassazione proposto dalla parte civile avverso la sentenza di appello, quando la stessa non abbia im­pu­gnato la decisione di primo grado, per lei sfavorevole. [7]

Per contro, l’eventuale inammissibilità dell’impugnazione del P.M. avverso una sentenza di proscioglimento non è di ostacolo all’esame da parte del Giudice delle contestazioni mosse nell’impugnazione della parte civile, sia pure solo ai fini di ravvisare se vi sia stata responsabilità civile degli imputati.[8]

[1] Cfr. Cass. pen 20/10/94 n° 10792.

[2]Cfr. Cass. pen. 16/5/96 n° 4950.

[3] Cfr. Cass. pen. 28/4/92 n°191335.

[4] Cfr. Cass. pen. 5/6/92 n°193033.

[5] Cfr. Cass. pen. 31/1/96 n°2493.

[6] Cfr. Cass. pen. 3/6/96 n°2491.

[7] Cfr. Cass. pen. 10/6/98 n°6911

[8] Cfr. Cass. pen. 20/12/96 n°10990.

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