La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20488 del 23 maggio 2024, ha chiarito che il momento di consumazione del reato di appropriazione indebita commesso dall’amministratore di condominio coincide con la fine della gestione.
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Indice
1. I fatti
La decisione della Corte di Cassazione scaturisce dal ricorso proposto dall’imputato, amministratore di un condominio, avverso la sentenza della Corte di appello di Milano che ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecco, in relazione a più delitti di appropriazione indebita aggravata.
Il ricorrente deduce diversi motivi di impugnazione: 1) vizi di motivazione, anche per travisamento della prova, in ordine ai fatti di appropriazione per i quali è stata riconosciuta la penale responsabilità. Nello specifico, ad avviso della difesa, non si è dimostrato nel processo che l’imputato si è appropriato delle somme versate dai condomini allo scopo di adempiere le obbligazioni condominiali nei confronti dei fornitori di servizi ed energie; 2) violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte confermato il giudizio di bilanciamento in equivalenza tra circostanze di segno diverso già effettuato dal giudice di primo grado, senza tener conto della effettiva gravità delle condotte, del corretto comportamento processuale e delle condizioni di disagio sofferte dall’imputato che era stato sottoposto ad una campagna denigratoria conseguente alle doglianze dei condomini querelanti; erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione con riferimetno alla non rilevata estinzione dei reati di appropriazione indebita per intervenuta prescrizione.
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2. Momento consumativo del reato di Appropriazione indebita dell’amministratore di condominio: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, osserva che la difesa deduce un deficit probatorio nella dimostrazione della effettiva appropriazione di somme destinate alle spese condominiali. Ebbene, a tal riguardo, la Cassazione afferma che la Corte di appello ha motivato a fondo su ciascuno dei presupposti della riconosciuta colpevolezza, così come ha fatto in tema di riconoscimento nella condotta dell’agente dei tratti essenziali della volontà di appropriarsi del denaro altrui, che deteneva nella qualità di amministratore.
Quanto alla individuazione della data di consumazione del reato istantaneo di appropriazione indebita (che in questa sede rileva), la Suprema Corte premette che la pena base calcolata per il più grave degli episodi appropriativi, ritenuto dal giudice di primo grado, è stata indicata in riferimento ad un unico episodio appropriativo istantaneo e non già dilatato nel tempo, in quanto la ritenuta continuazione ha riunito le condotte appropriative consumate, distinte per ogni singola gestione delle risorse condominiali, per ogni singolo condominio, non già per ogni singolo esercizio finanziario di bilancio.
Viene ripreso un consolidato principio che “ritiene consumato il reato di appropriazione indebita, commesso dall’amministratore di condominio che distragga le risorse finanziarie delle quali dispone in ragione del suo incarico, solo alla data del rendiconto finale della gestione, non potendosi altrimenti individuare e distinguere le risorse destinate alle esigenze del condominio da quelle distratte in favore del proprio illecito arricchimento, atteso anche che il momento in cui i delitti istantanei di appropriazione indebita si consumano coincidono solitamente con il rifiuto di restituzione o di rendere il conto degli ammanchi“.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione osserva che, “in caso di detenzione del bene giustificata ab origine dalla qualità di amministratore della res comune, l’appropriazione indebita non si realizza neppure in concomitanza con la risoluzione del rapporto di prestazione d’opera, ma si perfeziona nel momento in cui il detentore manifesta la volontà di detenere il bene uti dominus, non restituendo, senza alcuna giustificazione, il bene o il denaro che gli viene richiesto“.
Nel caso di specie, in coerenza con tali principi ed a prescindere dalla formulazione della imputazione, che ha indicato l’intero periodo di gestione condominiale in luogo dell’istante di consumazione della condotta, ad avviso della Corte, il dies a quo della prescrizione non può che individuarsi nella data in cui l’imputato rifiutava la consegna del denaro e della contabilità detenuta, principiando quindi, da quella data, a detenere il denaro, che fino ad allora teneva presso di sé quale amministratore di risorse altrui.
Per questi motivi, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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