Applicabilità del diritto all’oblio: no per casi gravi

Il diritto di oblio non può essere esercitato quando le accuse riguardano fatti estremamente gravi nei confronti di minori e le condotte sono connesse al ruolo professionale ancora ricoperto dall’interessato.

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Indice

1. Diritto all’oblio: la richiesta del reclamante

Il Garante per la protezione dei dati personali riceveva reclamo nei confronti di Google da parte di un interessato, il quale chiedeva la rimozione dei risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nome e cognome che rinviavano ad articoli di stampa diffusi nel 2012 relativi al procedimento disciplinare svoltosi nel regno unito nei suoi confronti.
In particolare, il reclamante sosteneva di essere stato un cardiologo di fama internazionale e di aver rivestito ruoli di prestigio sia a livello professionale, quale primario di ospedale, sia a livello accademico, quale professore universitario, nonché di avere svolto una attività di sponsorizzazione a favore di studenti particolarmente meritevoli, a favore dei quali provvedeva al pagamento delle spese per gli studi superiori e universitari. Aggiungeva, inoltre, il reclamante che nel 2008 uno degli studenti sponsorizzati lo aveva accusato di abusi sessuali nei suoi confronti e nei confronti di altri studenti che erano stati sponsorizzati, quando detti studenti erano ancora minorenni. Tuttavia, nonostante le suddette accuse, la polizia che aveva svolto le relative indagini non aveva trovato alcun elemento probatorio a suo carico e pertanto non era stato avviato alcun procedimento penale nei suoi confronti.
Le suddette accuse, però, portavano ad una segnalazione disciplinare dinanzi all’organo rappresentativo della sua categoria professionale, che si concludeva con la cancellazione della reclamante dall’albo dei medici britannici.
La vicenda suddetta aveva avuto dal 2008 e il 2012 ampia diffusione mediatica, da parte della stampa inglese, ma anche attraverso il Web, in considerazione della notorietà internazionale del cardiologo, ma gli articoli giornalistici relativi a detta vicenda sono ancora oggi rinvenibili semplicemente inserendo nel motore di ricerca di Google il nome e il cognome del reclamante.
Tale reperibilità, secondo il reclamante, arreca al medesimo un grave danno, ormai ingiustificato stante il decorso del tempo e in considerazione del fatto che egli, dal punto di vista professionale, ha ormai altri interessi, quali la liuteria e la musica in tutto il mondo, ed ha cessato da tempo di sponsorizzare gli studenti meritevoli nel loro ciclo di studi.
In considerazione di quanto sopra, quindi, il reclamante chiedeva la rimozione di 24 URL, quali risultati restituiti dal motore di ricerca Google in associazione al proprio nome cognome, non soltanto all’interno del territorio italiano (dove oggi egli risiede) e da quello degli altri paesi dell’unione europea, bensì a livello globale (incluse quindi l’emozione del motore di ricerca extraeuropee).
Il garante formulava una richiesta a Google, quale titolare del trattamento, di fornire elementi in ordine alla richiesta della reclamante e di far conoscere se egli avesse intenzione di adeguarsi a detta richiesta.
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I ricorsi al Garante della privacy

Giunto alla seconda edizione, il volume affronta la disciplina relativa alla tutela dei diritti del titolare dei dati personali, alla luce delle recenti pronunce del Garante della privacy, nonché delle esigenze che nel tempo sono maturate e continuano a maturare, specialmente in ragione dell’utilizzo sempre maggiore della rete. L’opera si completa con una parte di formulario, disponibile online, contenente gli schemi degli atti da redigere per approntare la tutela dei diritti dinanzi all’Autorità competente. Un approfondimento è dedicato alle sanzioni del Garante, che stanno trovando in queste settimane le prime applicazioni, a seguito dell’entrata in vigore della nuova normativa. Michele Iaselli Avvocato, funzionario del Ministero della Difesa, docente a contratto di informatica giuridica all’Università di Cassino e collaboratore della cattedra di informatica giuridica alla LUISS ed alla Federico II, nonché Presidente dell’Associazione Nazionale per la Difesa della Privacy (ANDIP). Relatore in numerosi convegni, ha pubblicato diverse monografie e contribuito ad opere collettanee in materia di privacy, informatica giuridica e diritto dell’informatica con le principali case editrici.

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2. La difesa di Google

A fronte della richiesta di indicizzazione dei siti Web formulata dalla reclamante, Google – per quanto qui di interesse – dichiarava di non poter aderire alla suddetta richiesta in considerazione del fatto che le condotte poste in essere dalla reclamante nell’esercizio della sua professione erano state molto gravi (tant’è che egli era stato accusato di aver sfruttato a sfondo sessuale dei minori a lui legati da una posizione di fiducia). Secondo il motore di ricerca americano, le suddette condotte di cui il reclamante era accusato, sono connesse al ruolo professionale attualmente ricoperto dal medesimo con riferimento alle attività filantropiche e di beneficenza che egli ancora conduce in molti paesi nel mondo.
Infatti, per Google, tali attività comportano un’interazione costante con il pubblico e conseguentemente, in considerazione delle condotte imputate alla reclamante e al particolare allarme sociale che creano dette condotte, sussiste la necessità per qualsiasi persona che entri in contatto con i reclamanti di poter accedere alle informazioni contenute all’interno degli URL di cui si è chiesta la deindicizzazione (affinché le persone possono venire a conoscenza di possibili comportamenti inappropriati del reclamante).
Infine, Google sosteneva che la richiesta di rimozione globale degli URL in questione fosse inammissibile, in quanto non sussiste, in capo al gestore del motore di ricerca, un generale obbligo di disporre una deindicizzazione su tutte le versioni del motore di ricerca, bensì soltanto una rimozione limitata alle versioni del motore di ricerca all’interno degli stati membri dell’unione europea.

3. La replica del reclamante

Il reclamante replicava alle difese di Google, precisando che gli accertamenti compiuti nell’ambito di un procedimento disciplinare, come quello ch’egli aveva subito, non possono essere paragonati agli accertamenti compiuti nell’ambito di un procedimento penale. Nel caso di specie, egli non era stato sottoposto ad alcun procedimento penale e pertanto gli accertamenti compiuti nel procedimento disciplinare non potevano essere ritenuti idonei a giustificare il permanere delle notizie on-line.
In secondo luogo, il reclamante precisava che, anche qualora le notizie sulle sue condotte fossero state accertate come vere, i fatti in questione erano avvenuti nel 2008 e pertanto, a 15 anni di distanza, la reperibilità delle notizie che lo riguardavano è in contrasto con il suo diritto all’oblio (e quindi ad ottenere la cancellazione di quelle notizie risalenti che forniscono una rappresentazione non più attuale della sua persona, con pregiudizio alla reputazione e alla riservatezza).
Infine, il reclamante, precisava di non svolgere più alcuna attività medica e che le attività filantropiche ancora dal medesimo coltivate non sostanze non alcuna forma di supporto agli studenti meritevoli.

4. Diritto all’oblio e casi gravi: la decisione del Garante

Il Garante per la protezione dei dati personali ha ritenuto che, per poter valutare la sussistenza dei presupposti per accogliere l’esercizio del diritto all’oblio da parte di un interessato, non è sufficiente esclusivamente l’esistenza di un lasso di tempo trascorso dal momento in cui i fatti sono stati commessi, necessario tenere conto anche degli altri criteri individuati nelle linee guida del garante medesimo.
In particolare, considerato che nel caso di specie reclamante stato accusato di condotta estremamente gravi nei confronti di minori esercitate mediante abuso del proprio ruolo e che gli URL in questione, sebbene rinviino ad articoli di stampa del 2012, riportano la notizia di un procedimento disciplinare avviato nei confronti del reclamante conclusosi con la sua radiazione dall’albo dei medici inglesi, il garante ha ritenuto che tali condotte risultano essere connesse al ruolo professionale ricoperto da reclamante nell’ambito di attività filantropiche e di beneficenza tuttora dal medesimo svolte in diversi paesi del mondo.
In considerazione di ciò, il garante ha ritenuto che le notizie riportate all’interno delle pagine oggetto di reclamo risultano tuttora rispondenti all’interesse della collettività di conoscere fatti riconducibili a gravi condotte di particolare rilievo e preoccupazione sociale, a prescindere dalla rilevanza penale o meno dei fatti ivi riportati, poiché nelle notizie di stampa alle quali rinviano gli URL in esame viene acclarato che il reclamante è stato radiato dall’albo dei medici all’esito di provvedimento disciplinare per i suddetti motivi.
Conseguentemente, il Garante ha ritenuto infondato il reclamo infondato in ordine alla richiesta di rimozione degli Url in questione.

Avv. Muia’ Pier Paolo

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