Ancora sull’art. 236, comma 5 del Decreto “Rilancio” con riferimento ai dottorandi non borsisti dipendenti pubblici e al congedo straordinario ex art. 2 L. 13 agosto 1984, n. 476: proposta per una lettura costituzionalmente orientata

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SOMMARIO 1. L’art. 236, comma 5 del Decreto Rilancio (D.L. 19 maggio 2020, n. 34) e le criticità riscontrate in ordine alle attività formative, didattiche e di ricerca 2. La previsione normativa e l’esigenza di una interpretazione estensiva 3. Sul diritto di accedere alla proroga bimestrale anche per i dottorandi non borsisti 4. La ratio della norma nella prospettiva costituzionale 5. Premesse sul diritto al prolungamento del periodo di congedo straordinario per i dottorandi non borsisti dipendenti pubblici 6. Le indicazioni interpretative della giurisprudenza 7. Le questioni interpretative sottese alla norma 8. La proroga come adeguamento del termine finale del corso di dottorato 9. L’interpretazione costituzionalmente orientata 10. Sul diritto alla proroga per i dottorandi che non concludano il proprio corso di studi nell’anno accademico corrente 11. Conclusioni 12. Bibliografia utile

In un precedente approfondimento per questa rivista[1] è stata esaminata la normativa emergenziale da COVID-19 in materia di dottorati di ricerca.

In particolare, è stato analizzato l’art. 236, comma 5 del Decreto Rilancio (D.L. 19 maggio 2020, n. 34), unico referente normativo in ordine alla sorte dei dottorandi di ricerca nella cornice della difficile emergenza sanitaria in corso. In attesa dell’auspicata conversione del Decreto Rilancio, tale norma è stata oggetto di un interessante dibattito, all’esito del quale si impongono nuove e più approfondite riflessioni ermeneutiche, con particolare riguardo alla prospettiva costituzionale.

In questa sede, si avrà dunque riguardo, in particolare, per la costruzione teorica di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 236, comma quinto, che tenga in adeguata considerazione i principi di cui agli articoli 3 e 34 della Costituzione.

Volume consigliato

  1. L’art. 236, comma 5 del Decreto Rilancio (D.L. 19 maggio 2020, n. 34) e le criticità riscontrate in ordine alle attività formative, didattiche e di ricerca

La norma in rubrica[2], che sarà nei prossimi giorni vagliata dal parlamento nazionale nell’ambito della conversione in legge del Decreto Rilancio, ha inteso recepire le preoccupazioni degli studenti di dottorato, le cui attività (didattiche, formative e di ricerca) sono state sensibilmente razionalizzate a causa dell’emergenza sanitaria.

Per quanto concerne le attività didattiche, formative, seminariali e convegnistiche è infatti di palmare evidenza come il divieto di assembramenti abbia imposto agli Atenei una profonda rimeditazione organizzativa[3], con la dislocazione logistica dei sinedri dalle aule universitarie alle piattaforme digitali.

Sebbene il massiccio impiego della tecnologia abbia consentito, nella maggior parte dei casi, di assicurare una qualche continuità nello svolgimento dei programmi didattici, è indubbio come la pressoché totale soppressione delle attività in presenza abbia profondamente inciso sulla piena realizzazione dei percorsi formativi individuali.

Una tale incidenza è stata particolarmente avvertita per alcuni specifici ambiti disciplinari in cui lo svolgimento di attività in presenza e di attività in team work rivestono un ruolo chiave nella formazione individuale.

Ancora, la grave crisi pandemica ha influenzato la funzionalità dei centri di ricerca, dei laboratori di ricerca, dei centri studi e delle biblioteche pubbliche e private. Laddove le attività non siano state soppresse o razionalizzate, si è comunque imposta una rimodulazione profonda che ha certamente inciso negativamente sulla piena accessibilità.

Con particolare riferimento alle biblioteche, le stesse sono state chiuse su tutto il territorio nazionale già dalla prima decade di marzo 2020 ai sensi dell’art. 2 lettera d[4] del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020[5].

Una tale circostanza, in particolare per i dottorandi che si apprestano a concludere il proprio percorso formativo e che pertanto si avviano alla finalizzazione del lavoro di tesi, è certamente impattante sulle tempistiche di lavoro, comportando di fatto l’inaccessibilità del patrimonio librario scientifico.

Ancora, un terzo profilo particolarmente interessato dall’emergenza pandemica concerne le attività di ricerca da condursi sul campo, che rappresentano un segmento indefettibile del lavoro individuale, specialmente in alcuni dottorati (a titolo solo esemplificativo, ai corsi in materia sociologica). Si tratta, a titolo meramente esemplificativo, delle attività di raccolta dati in concreto e delle interviste, che anzi non infrequentemente rappresentano la vera chiave scientifica della sperimentalità nei lavori di ricerca.

Le pervasive misure di limitazione agli spostamenti e alla libera circolazione, nonché il sostanziale divieto di assembramenti, ha reso assai difficoltosa la realizzazione di queste ultime attività[6].

 

  1. La previsione normativa e l’esigenza di una interpretazione estensiva

Nella consapevolezza di queste criticità, l’art. 236, comma 5 del Decreto Rilancio (D.L. 19 maggio 2020, n. 34) ha previsto la possibilità, per i dottorandi borsisti che concludano il proprio percorso di ricerca nell’anno accademico 2019/2020, di ottenere una proroga bimestrale del termine ultimo del corso.

La ratio della previsione è – in linea generale – ampiamente condivisibile, obbedendo all’esigenza di garantire un congruo supplemento temporale ai dottorandi per la prosecuzione dei propri studi e delle proprie attività, individuali e collettive.

Vanno pretermesse in questa sede alcune legittime perplessità sull’effettiva congruità di un bimestre di proroga al fine di garantire una concreta compensazione per i disagi organizzativi patiti nella cornice dell’emergenza sanitaria. A tal proposito basti ricordare che l’emergenza prosegue ininterrottamente già dalla prima decade di marzo e che, con ogni probabilità, le misure di contenimento dal contagio dovranno essere assicurate ancora per un congruo periodo nel futuro, pur in maniera sino ad oggi meno invasiva rispetto al passato.

In disparte questa necessaria premessa, la norma apparirebbe condivisibile nella sua sostanza giuridica, ove fossero accolte alcune precisazioni sulla sua interpretazione che, allo stato dei fatti (e degli atti), non sono state organicamente considerate.

Va precisato che, pur auspicandosi un intervento normativo chiarificatore in sede di conversione del Decreto Rilancio, le precisazioni qui sollecitate sono già riconducibili all’alveo interpretativo della norma e non richiederebbero dunque interventi riformatori.

In particolare, e giunge qui in discussione il tema oggetto del presente lavoro, la norma presenta alcuni potenziali profili di frizione costituzionale che possono essere agevolmente rimossi in via interpretativa, promuovendone una lettura ad ampio spettro che prevenga eventuali effetti discriminatori.

  1. Sul diritto di accedere alla proroga bimestrale anche per i dottorandi non borsisti

In effetti, la norma menziona espressamente i dottorandi titolari di borsa di studio.

Va ricordato però che, ai sensi del Decreto Ministeriale 8 febbraio 2013 n. 45 e della disciplina in materia di ordinamento accademico, l’ammissione ai corsi di dottorato di ricerca può avvenire anche senza borsa di studio e che, in questa eventualità, il dottorando non percepisce alcuna misura di sostentamento economico.

Se si eccettua quest’ultimo profilo, non sussistono però di regola differenziazioni di alcun tipo tra dottorandi borsisti e non borsisti. Questi ultimi sono infatti tenuti al medesimo carico di lavoro dei primi e sono sempre equiparati in ogni altra attività e incombenza.

È quindi evidente che anche i dottorandi non borsisti siano stati interessati dalla crisi pandemica esattamente allo stesso modo dei borsisti, sicché alcuna ragione vi sarebbe per precludere ai primi l’accesso alla proroga bimestrale che la norma riconosce espressamente, pur menzionando esclusivamente i secondi.

Al fine di prevenire ingiustificabili disparità di trattamento, parrebbe dunque necessario che il diritto alla proroga bimestrale, a richiesta, sia riconosciuto a tutti i dottorandi anche non borsisti, superando eventuali interpretazioni formalistiche della norma che non ne considerino la ratio e che non guardino al sistema universitario nel suo complesso.

 

  1. La ratio della norma nella prospettiva costituzionale

Come già si è avuto occasione di precisare, la norma in commento si riferisce testualmente ai dottorandi non borsisti esclusivamente per una deformazione naturale, in quanto collocata in seno a una legge di natura economico-finanziaria finalizzata essenzialmente allo stanziamento di fondi e all’allocazione di risorse pubbliche[7].

Con specifico riguardo ai dottorandi titolari di borsa, atteso che alla proroga del termine finale del corso di dottorato corrisponde automaticamente e ope legis il prolungamento del diritto a fruire della borsa, appariva imprescindibile un espresso riferimento normativo che desse ragione delle risorse economiche così impiegate.

La formulazione della norma non vale però ad escludere che la stessa debba essere applicata, estensivamente o al più analogicamente, anche ai dottorandi non borsisti.

Diversamente parrebber fondate le censure di incostituzionalità in ordine alla violazione dell’art. 3 Cost., in quanto la norma finirebbe per differenziare i dottorandi in relazione al diritto alla proroga in base a un parametro (la fruizione della borsa) che in nulla ha a che vedere con l’effettività del percorso normativo, il carico di lavoro e il tenore delle attività intraprese e sostenute.

Anzi, postulando un’interpretazione restrittiva della norma, i dottorandi non borsisti, già in una condizione fisiologicamente deteriore rispetto ai colleghi borsisti in quanto non fruitori del sostegno economico riconosciuto dall’ordinamento accademico, si troverebbero anche nella necessità di concludere il loro percorso formativo in tempi contingentati senza alcuna ragione logica che precluda la distensione del termine ultimo di conclusione del corso.

Ciò corroborerebbe anche una violazione dell’art. 34 Cost., che cristallizza nel tessuto costituzionale il diritto allo studio.

 

  1. Premesse sul diritto al prolungamento del periodo di congedo straordinario per i dottorandi non borsisti dipendenti pubblici

Si è detto che, ai corsi di dottorato di ricerca, si può essere ammessi anche senza borsa di studio, ovvero fisiologicamente privi di un sostentamento economico durante gli studi.

La normativa nazionale, in particolare in epoca recente, si è progressivamente orientata allo scopo di incentivare la partecipazione dei dipendenti pubblici ai dottorati di ricerca per garantire un innalzamento del livello formativo del comparto pubblico.

La legge 28 dicembre 2001 n. 448, allo scopo di valorizzare la partecipazione dei dipendenti pubblici ai corsi di dottorato, ha riformato l’articolo 2 della Legge 13 agosto 1984 che, in un primo momento, prevedeva per i dipendenti pubblici ammessi a corsi di dottorato esclusivamente il diritto a fruire di congedi straordinari senza assegni.

L’art. 2, per come novellato, prevede oggi che il pubblico dipendente ammesso al corso di dottorato senza borsa conservi il diritto al trattamento economico, previdenziale e di quiescenza già in godimento presso l’Amministrazione di appartenenza.

Va sin d’ora osservato che il periodo di congedo così disciplinato è parametrato, dalla stessa legge, alla conclusione del corso di dottorato.

Inoltre, a far data dall’entrata in vigore della legge 30 dicembre 2010, n. 240 – che ha ulteriormente novellato il predetto art. 2 – è previsto che il riconoscimento del congedo straordinario non rappresenti un diritto soggettivo pieno per il lavoratore ma sia condizionato a una valutazione dell’Amministrazione, che vaglia le proprie esigenze organizzative e può negare la concessione del beneficio ove riscontri l’impossibilità obiettiva di sostenere la riduzione d’organico.

  1. Le indicazioni interpretative della giurisprudenza

La giurisprudenza a margine dell’art. 2 della L. 13 agosto 1984, n. 476[8], ha evidenziato come la fruizione del trattamento economico di congedo straordinario debba essere correlata, in parallelo, avendo a parametro la fruizione della borsa di studio da parte dei dottorandi borsisti.

Appare dunque evidente, che con l’art. 2 in parola, il legislatore abbia inteso prevedere una misura di sostegno economico che duplicasse, limitatamente al pubblico dipendente, ratio e principi della borsa di studio. Il congedo retribuito assolve infatti alla medesima funzione, ovvero garantire i mezzi necessari a sostenere il percorso dottorale.

Ciò nell’evidente consapevolezza che, in difetto, sarebbe assai difficile per il dipendente pubblico immaginare la frequenza a un corso dottorale.

Atteso che la borsa di studio è riservata, per espressa previsione normativa, a soggetti titolari di un reddito complessivo annuo inferiore a una soglia (in sé molto contenuta), predeterminata dalla legge, per il pubblico dipendente la possibilità concreta di ammissione si concretizza elettivamente nella formula del non borsista.

Ove il dipendente non fruisse del congedo straordinario, dovrebbe sostenere il percorso dottorale senza alcun ausilio economico supplementare, continuando a prestare servizio alle dipendenze dell’Amministrazione. Il dottorato si trasformerebbe così in un’opzione antieconomica.

 

  1. Le questioni interpretative sottese alla norma

In relazione alla sorte dei dottorandi non borsisti dipendenti pubblici fruitori del congedo straordinario ai sensi dell’art. 2, legge 28 dicembre 2001 n. 448, emergono ulteriori profili di approfondimento in relazione all’art. 236, comma 5 del Decreto Rilancio.

Assumendo che la norma debba essere interpretata estensivamente, sì da riconoscere il diritto alla proroga bimestrale anche ai dottorandi non borsisti, quid iuris per il periodo di congedo straordinario ove già riconosciuto dall’Amministrazione di appartenenza.

Una lettura sinottica delle norme vigenti in materia anche nel prisma del dettato costituzionale parrebbe corroborare l’interpretazione della norma che già si era sommessamente suggerita nel nostro primo scritto[9] sull’argomento.

Tale interpretazione passa da un triplice approdo:

  1. premesso che la proroga del corso di dottorato debba essere riconosciuta su richiesta anche ai dottorandi non borsisti, per i dipendenti pubblici in congedo straordinario ai sensi dell’art. 2 cit. si imporrebbe, a livello sistematico,
  2. il diritto al prolungamento del periodo di congedo, così da adeguarlo alla nuova e diversa durata del corso incrementata del bimestre di proroga nonché
  3. il diritto a fruire del prolungamento del congedo a semplice richiesta[10], senza che l’Amministrazione sia tenuta a una nuova valutazione della sussistenza di esigenze di servizio.

Sulla questione sub a) si è già ampiamento dedotto in questa sede come nelle antecedenti riflessioni sul tema, sicché residuano dunque da esaminare le conclusioni sub b) e c) che per la contiguità di materia e sostanza giuridica sono suscettive di trattazione unitaria.

Si è già premesso che la giurisprudenza correla la fruizione del congedo straordinario, in parallelo, al godimento della borsa per i borsisti. Si tratta di una correlazione non occasionale, ma di matrice sistematica, in quanto entrambe rappresentano misure di sostegno informate alla medesima ratio, di carattere sostanzialmente analogo e mirate alla soddisfazione di eguali esigenze concrete.

Nella specie, è significativo che il legislatore dell’emergenza abbia inteso intervenire in materia non soltanto prevedendo il diritto alla proroga bimestrale, ma specificando espressamente che alla medesima per i borsisti dovesse corrispondere la fruizione del sostegno economico. Sussistono dunque le medesime ragioni sufficienti a riconoscere anche il prolungamento del congedo.

  1. La proroga come adeguamento del termine finale del corso di dottorato

Vi è poi un argomento nodale che consente, in uno, di superare le possibili perplessità ipotizzabili in ordine alle questioni di cui alle lettere b) e c).

La proroga in discorso non rappresenta un evento individuale, correlato alle particolari vicende del singolo percorso dottorale, bensì una misura compensativa prevista a livello generale, nazionale e universale, con riferimento a ogni dottorato, in qualsiasi settore e ad ogni Ateneo nazionale, pubblico e privato.

Si tratta, evidentemente, non di una vicenda particolare che interessa il singolo, ma di una generale misura di adeguamento del termine finale del corso.

Proprio questo rilievo consente di prevenire ogni possibile obiezione e, ove sollevata, l’assorbe.

La proroga in discorso non istituisce un bimestre supplementare di corso autonomo o indipendente rispetto al triennio di durata naturale, bensì si limita ad adeguare il termine finale. Si tratta quindi di una ricalibrazione del termine finale del corso.

Si è già anticipato che l’art. 2, legge 28 dicembre 2001 n. 448 prevede la concessione del congedo rapportandolo non a un periodo di tempo standardizzato[11] bensì alla durata del corso. Sicché, ove la durata del corso sia semplicemente ricalibrata o rideterminata, alcuna ragione vi sarebbe per negare il corrispondente prolungamento del congedo[12].

Da queste premesse deriva anche che l’Amministrazione non è tenuta a svolgere una nuova valutazione della persistenza delle esigenze di servizio che hanno garantito la concessione del congedo in principio, ciò in quanto nel caso di proroga strutturale del termine finale naturale del corso di dottorato non si rende affatto necessaria una nuova e diversa concessione di congedo, bensì un mero adeguamento di quello esistente[13].

Una tale conclusione è corroborata dal rilievo per cui il bimestre di proroga non ha autonomia ontologica né sostanziale rispetto alla durata ordinaria del corso di dottorato.

 

  1. L’interpretazione costituzionalmente orientata

L’interpretazione pocanzi suggerita, e già sommessamente proposta, consente di preservare intatti i valori costituzionali sottesi alla norma in esame, anche con riferimento alla delicata situazione dei dottorandi non borsisti fruitori di congedo straordinario.

In particolare, ove si volesse invece propendere per una interpretazione ingiustificatamente restrittiva, si indurrebbero in sofferenza i principi di cui agli artt. 3 e 34 della Costituzione.

Quanto all’art. 3, l’effettiva parità di trattamento ed eguaglianza sostanziale pare realizzabile solo attraverso il riconoscimento del prolungamento del congedo straordinario in favore dei dipendenti pubblici.

Diversamente opinando, la norma disporrebbe nei confronti dei dottorandi non borsisti dipendenti pubblici in congedo in termini ingiustificatamente deteriori rispetto ai colleghi borsisti, cui sono state invece espressamente riconosciute misure di sostegno economico, nonostante la sostanziale analogia delle posizioni dedotte.

Ancora, è l’art. 34 che, nel codificare il diritto costituzionale allo studio, premettendo che la scuola è “aperta a tutti” precisa: “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”

Si è già detto che per il dipendente pubblico ammesso al corso di dottorato senza borsa e senza concessione di congedo retribuito, la possibilità di frequentare e concludere il percorso dottorale rappresenta una scelta impegnativa e gravosa sia sotto il profilo formativo che economico.

Anzi, per il triennio di frequenza, il dottorato ha per il dipendente pubblico una risultanza economica negativa, essendo anche preclusa l’opzione per l’accesso alla borsa di studio.

Si proietterebbe così anche un’ombra sull’art. 34, nella parte in cui assicura ai capaci il diritto di accedere ai “gradi più alti degli studi” e in cui onera – appunto – la Repubblica di fornire appositi mezzi a tali fini. Un tale onere parrebbe dunque insoddisfatto.

Ne soffrirebbe anche il principio, già desumibile dalla normativa primaria citata nelle premesse del presente lavoro, di incentivare i pubblici dipendenti a innalzare il proprio livello di formazione individuale a beneficio dell’Amministrazione.

Il che si riverbera, infine e da ultimo, anche sull’art. 97 della Costituzione che protegge il funzionamento dell’Amministrazione pubblica.

 

  1. Sul diritto alla proroga per i dottorandi che non concludano il proprio corso di studi nell’anno accademico corrente

Sino ad ora sono state esaminate soltanto alcune delle questioni problematiche connesse all’applicazione dell’art. 236, comma 5, con particolare riguardo alla potenziale platea dei beneficiari della proroga.

Resta da considerare un aspetto nodale, sinora soltanto adombrato ma mai organicamente esaminato: il testo della norma, nell’attuale versione, pare riservare il diritto alla proroga ai dottorandi che, nell’anno accademico in corso, si apprestino a concludere il proprio percorso formativo. Propendendo per un’interpretazione restrittiva, potrebbe ipotizzarsi che i dottorandi in corso al primo o al secondo anno non siano espressamente contemplati nel diritto di richiedere la proroga.

Anche tale limitazione, che evidentemente radicherebbe la propria ragione profonda in esigenze di contenimento della spesa e di razionalizzazione delle risorse pubbliche, parrebbe però sfornita di pregio sistematico e dovrebbe essere superata.

Al di là delle mere esigenze di cassa, che pure potrebbero in qualche misura essere oggetto di favorevole comprensione, una tale limitazione non appare suffragata da alcuna concreta motivazione, se non forse da una (invero nemmeno convincente) constatazione per la particolare delicatezza della fase conclusiva del percorso dottorale.

Se è vero che il segmento terminale del cammino dottorale ne rappresenta in assoluto la componente più sensibile sia ai fini del lavoro di tesi che della maturazione curriculare, altrettanto vero è che il corso di dottorato si sviluppa a pieno nell’arco dell’intero triennio.

La profonda limitazione alle attività didattiche, formative e di ricerca ha compromesso la continuità del procedimento formativo non soltanto per i dottorandi “in scadenza”, ma per tutti.

Ciò a maggior ragione in considerazione dell’ampiezza del periodo di compromissione delle attività, la cui consistenza ha certamente intaccato l’evoluzione del percorso formativo anche in relazione a quei dottorandi ancora “distanti” dalla conclusione del percorso. Non può infatti confidarsi, come pare intimamente fare la norma, che tale distanza “ammortizzi” la lacuna formativa così incolpevolmente prodottasi.

Ancora una volta, l’esclusione dei dottorandi che non concludano il corso di dottorato nell’anno accademico corrente dalla platea dei potenziali beneficiari della proroga di cui all’art. 236, comma 5, parrebbe produrre un’ingiustificabile disparità di trattamento che potrebbe e dovrebbe essere rimossa a livello ermeneutico, attraverso un’interpretazione estensiva (o al più analogica).

Si imporrebbe, su tale fronte, una rimeditazione della norma, pur avendo considerazione per i limiti di cassa.

 

  1. Conclusioni

Nei termini suesposti sono dunque le principali questioni ermeneutiche connesse all’applicazione dell’art. 236, comma 5 del Decreto Rilancio (D.L. 19 maggio 2020, n. 34), unico addentellato normativo in materia di dottorati di ricerca – e più specificamente di dottorandi – emerso nella complessa e articolata normativa emergenziale dell’era COVID-19.

Fondamentalmente, si tratta di perplessità che non imporrebbero una riedizione testuale della norma ma che ben potrebbero essere rifinite mediante l’attività ermeneutica, pur comunque auspicandosi che il legislatore dell’emergenza intervenga a chiarire autenticamente i dubbi.

In termini generali, può dirsi che al fine di superare eventuali impasse, le soluzioni logico-giuridiche più efficaci appaiono quelle che si proiettano verso un’interpretazione estensivo-analogica, finalizzata a superare ogni possibile disparità di trattamento.

Volume consigliato

  1. Bibliografia utile

Si ripropone la bibliografia, in parte già in calce alle precedenti riflessioni in argomento.

Capalbo, Il rapporto di lavoro pubblico. Disciplina e formulario, Sant’Arcangelo di Romagna, Maggioli, 2019;

Gambetta, Dubbi e soluzioni a margine dell’art. 236, comma 5 del Decreto “Rilancio”: la sorte dei dottorandi non borsisti dipendenti pubblici e del congedo straordinario ex art. 2 L. 13 agosto 1984, n. 476 s.m.i. ai tempi del COVID-19, in questa rivista, 25 maggio 2020.

Lombardinilo, Building university: In una società aperta e competitiva, Roma, Armando, 2014;

Longhi, Il dottorato di ricerca per il dipendente pubblico dopo la riforma ”Gelmini”, in Altalex, 24 gennaio 2012;

Montanari, La proroga del congedo straordinario del dipendente pubblico impegnato nel dottorato di ricerca (nota a Corte di Cassazione, 10 gennaio 2019, n. 432), in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2019, n. 2;

Narducci, R. Narducci, Guida normativa per l’amministrazione locale, Sant’Arcangelo di Romagna, Maggioli, 2015;

Neri, Il dottorato di ricerca nella pubblica amministrazione. Genesi ed evoluzione, in Il diritto amministrativo, consultato il 24 maggio 2020;

Paone, Le nuove fattispecie di aspettativa, in A. Perulli, R. Fiorillo, Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche: Volume primo, Torino, Giappichelli, 2015.

 

Note

[1] D. Gambetta, Dubbi e soluzioni a margine dell’art. 236, comma 5 del Decreto “Rilancio”: la sorte dei dottorandi non borsisti dipendenti pubblici e del congedo straordinario ex art. 2 L. 13 agosto 1984, n. 476 s.m.i. ai tempi del COVID-19, in questa rivista, 25 maggio 2020.

[2] «I dottorandi titolari di borse di studio ai sensi  del  decreto del Ministro dell’istruzione,  dell’Università  e  della  ricerca  8 febbraio 2013 n. 45, e dell’articolo 4 della legge 3 luglio 1998, n.210, che terminano il  percorso  di  dottorato  nell’anno accademico 2019/2020, possono presentare richiesta di proroga, non  superiore  a due mesi, del termine finale del corso,  con  conseguente  erogazione della borsa di studio  per  il  periodo  corrispondente.».

[3] Attuata a livello decentralizzato dai singoli Atenei e per loro dalle competenti istituzioni accademiche.

[4]  È sospesa l’apertura dei  musei  e  degli  altri  istituti  e luoghi della cultura di cui all’articolo  101  del  codice  dei  beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo  22  gennaio 2004, n. 42.

[5] “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.”

[6] In parte rimeditate solo in tempi recentissimi come ha documentato il redazionale Autodichiarazione per gli spostamenti motivati: novità da lunedì 18 maggio del 14 maggio 2020.

[7] Il Decreto Rilancio, la cui denominazione completa ufficiale è “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19″.

[8] Da ultimo Cass., sez. lav., 10 gennaio 2019, n. 432.

[9] D. Gambetta, Dubbi e soluzioni a margine dell’art. 236, comma 5 del Decreto “Rilancio”: la sorte dei dottorandi non borsisti dipendenti pubblici e del congedo straordinario ex art. 2 L. 13 agosto 1984, n. 476 s.m.i. ai tempi del COVID-19, in questa rivista, 25 maggio 2020.

[10] Come del resto avviene per il diritto al prolungamento della borsa di studio nel diverso, ma – per le già dette ragioni – analogo caso dei dottorandi borsisti.

[11] Non vi si fa infatti alcuna menzione a un periodo statico, né al triennio che è la durata regolamentare del corso di dottorato.

[12] Che viene, appunto, semplicemente “adeguato” alla nuova durata.

[13] Attraverso un atto che, prendendo atto della mera rideterminazione del termine del corso, ha dunque contenuto sostanziale meramente ricognitivo.

Avv. Gambetta Davide

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