Alcune brevi riflessioni sulla correzione dei conti pubblici

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         Quanto sta accadendo ultimamente in relazione alla correzione dei conti pubblici e alle accuse mosse all’Italia di scarsa trasparenza ed eccessiva complessità del bilancio, dovuto anche ai numerosi documenti che utilizzano aggregati diversi e metodi contabili altrettanto diversi, rende opportuna una riflessione sugli organi che dovrebbero vigilare e l’adeguatezza delle procedure attuate.
         Si è accusato il bilancio di essere impostato a legislazione invariata e non a politiche invariate, con la conseguenza di non permettere la traslazione immediata delle operazioni nei termini previsti dal sistema contabile europeo ESA 95, che il DPEF indica gli obiettivi per deficit e debito ma non quantifica i target per le varie componenti di spesa né il carico fiscale, che la frammentazione in un migliaio di unità revisionali di base, sintomo di un’amministrazione frammentata, non riunisce l’intera pubblica amministrazione, ma solo quanto di pertinenza dello Stato. A cui si aggiungono un’interpretazione elastica dell’art. 81 Cost., trimestrali di cassa nonché i dati finanziari regionali e comunali trasmessi in ritardo.
         Se queste sono alcune delle lamentele prospettate nell’ambito dell’U.E., sono state avanzate ultimamente, vedasi l’articolo “Ma l’antidoto è in Parlamento” del 14/06/06, p. 12, il Sole 24ore, alcune proposte organizzative che vanno dalla commissione di esperti, alla maggiore indipendenza della Ragioneria, fino al rafforzamento dei servizi di bilancio del Parlamento, secondo il modello del congresso USA, puntando nel rapporto Governo – opinione pubblica.
         Tuttavia, emerge chiaramente da quanto finora detto il fallimento operativo degli attuali organi deputati al controllo contabile, di cui ci si dovrebbe chiedere i motivi.
Senz’altro vi rientrano aspetti culturali in rapporto alla vicinanza del potere politico al governo, fonte di vincoli ma anche di prebende.
Se non le capacità, l’autonomia di giudizio risulta fortemente compressa, né il potere politico ritiene opportuno aumentarne l’autonomia, considerando le problematicità che emergerebbero, ma forse tale autonomia non è di per sé desiderabile dagli stessi interessati se dovesse comportare scontri professionali e perdite di incarichi, anziché trattative.
Ma anche gli obiettivi non hanno una chiara definizione, essendo posti alle esigenze politiche del momento anche per una debolezza culturale del sistema in cui prevalgono procedure contabili di garanzia del tutto formali, basti pensare alle ripetitive parificazioni di bilancio con relativo apparato. Ecco evidenziarsi chiaramente l’importanza di organi sovra-nazionali che nel confronto obblighino ad un riscontro effettivo senza essere eccessivamente sensibili alle esigenze interne o con legami troppo stretti e difficilmente districabili.    

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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