Adozione e cognome della madre non biologica in coppia omosessuale

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Il Tribunale per i minorenni di Bologna ha concesso adozione e doppio cognome alla madre non biologica di una coppia omosessuale

Il Tribunale per i minorenni di Bologna ha messo la parola fine alla vicenda con una sentenza che riconosce la stepchild adoption e attribuisce il doppio cognome alla figlia di una coppia di donne di Parma.

La sentenza è arrivata dopo una lunga battaglia, in una vicenda che ha come protagonista una bambina di tre anni e mezzo, nata con procreazione eterologa da donatore.

I giudici, nella motivazione spiegano che “il cognome è una parte essenziale e irrinunciabile della personalità”.

     Indice  

  1. In che cosa consiste la stepchild adoption
  2. Gli effetti della stepchild adoption
  3. La stepchild adoption in Italia
  4. La vicenda delle due donne
  5. Il riconoscimento del vincolo giuridico

1. In che cosa consiste la stepchild adoption

La traduzione è mutuata dalla lingua inglese, dove “stepchild” significa figliastro o figliastra e “adoption” significa adozione.

L’adozione del del figliastro è l’adozione di un eventuale figlio del proprio coniuge o del proprio compagno unito civilmente.

L’adozione del figliastro viene generalmente utilizzata quando due adulti formano una famiglia e uno di loro, o entrambi, portano un figlio avuto da una precedente relazione.

Di solito queste famiglie, cosiddette famiglie ricostituite, sono la conseguenza di divorzi, separazioni, famiglie mononucleari o della morte di un coniuge, oppure famiglie omogenitoriali dove il figlio nasce nella coppia omosessuale attraverso la maternità surrogata o l’inseminazione eterologa.

L’istituto è finalizzato da un lato, a consolidare i legami familiari in una famiglia ricostituita,  dall’altro, a tutelare l’interesse del minore a vedere garantita l’instaurazione di un rapporto giuridico genitoriale con un soggetto al quale non è legato in senso biologico, ma determinato all’assunzione nei suoi confronti di un ruolo genitoriale e per fare continuare il legame affettivo verso entrambi i genitori.

L’adozione del figliastro è consentita in Germania in forme simili alla versione italiana, mentre l’adozione piena e legittimante, aperta sia a coppie eterosessuali sia omosessuali, è prevista nel Regno Unito, Francia, Spagna e Grecia.

In Italia è stata istituita dal 1983 per le uniche coppie eterosessuali sposate e, dal 2007, anche conviventi.

2. Gli effetti della stepchild adoption

Per effetto dell’adozione del figliastro, l’adottante assume nei confronti dell’adottato i tipici doveri del genitore, e in particolare il dovere di provvedere all’assistenza morale e materiale dell’adottato, al pari del genitore biologico.

Il minorenne, per effetto dell’adozione diventa erede dell’adottante, verso il quale può anche vantare il diritto agli alimenti se si dovesse ritrovare nel corso della sua vita ad essere in stato di bisogno.


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3. La stepchild adoption in Italia

In Italia l’adozione del figliastro è disciplinata all’articolo 44, comma 1, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184 “Diritto del minore a una famiglia” al Titolo IV “Dell’adozione in casi particolari” e permette l’adozione del figlio del coniuge, purché ci sia il consenso da parte del genitore biologico e a condizione che l’adozione corrisponda all’interesse del figlio.

È previsto anche il consenso del figlio se lo stesso ha compiuto i 14 anni.

Nel caso sia tra i 12 e i 14 anni di età il giudice è tenuto all’ascolto della sua opinione e a tenere conto della stessa.

Il procedimento di adozione non è automatico e si propone davanti al Tribunale per i minorenni che effettua un’indagine sull’idoneità affettiva, la capacità educativa, la situazione personale ed economica, la salute e l’ambiente familiare dell’adottante.

Sino al 2007, era ammessa esclusivamente per le persone coniugate, successivamente il Tribunale per i minorenni di Milano prima e quello di Firenze poi, hanno esteso questa facoltà anche ai conviventi eterosessuali, ritenendo in questo caso che fosse interesse del minore che al rapporto affettivo fattuale corrispondesse anche un rapporto giuridico, consistente in diritti ma, soprattutto, doveri.

L’adozione in casi particolari per le coppie dello stesso sesso

Il testo originale della Legge Cirinnà, dal nome della senatrice e prima firmataria Monica Cirinnà (L.20/05/2016 n. 76) prevedeva, insieme a una serie di diritti e doveri simili a quelli previsti per il matrimonio, anche la possibilità di adozione del figlio naturale del partner, poi stralciata in seguito alle numerose polemiche e allo stallo che si era venuto a creare.

Il testo approvato non prevede che si applichino alle parti dell’unione civile le disposizioni delle quali alla legge 4 maggio 1983, n. 184 in materia di adozioni.

La legge Cirinnà prevede espressamente che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”, non impedendo in questo modo l’evoluzione giurisprudenziale che consente la possibilità da parte dei Tribunali di applicare le norme sull’adozione in casi particolari che dal 2007 è ammessa anche in coppie non legate da vincolo matrimoniale e di conseguenza anche a coppie omosessuali.

Il primo riconoscimento di fatto di un’adozione omosessuale avvenne nel 2014, quando il Tribunale per i minorenni di Roma, permise a una donna di adottare la figlia naturale della compagna.

Le donne si erano sposate in Spagna e sempre all’estero erano ricorse alla procreazione eterologa assistita per avere un figlio.

Il Tribunale si è basato sull’articolo 44 della legge sull’adozione del 4 maggio 1983 n. 184, che la contempla in alcuni casi anche per le coppie non sposate.

In particolare, “nel superiore e preminente interesse del minore a mantenere anche formalmente con l’adulto, in questo caso genitore sociale, quel rapporto affettivo e di convivenza già positivamente consolidatosi nel tempo”.

La Corte non ha creato un altro diritto ma ha offerto copertura giuridica a una situazione esistente, nell’interesse del minorenne.

Poche settimane dopo l’entrata in vigore della legge Cirinnà, la prima sezione civile della Suprema Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del procuratore e ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Roma, con la quale era stata confermata la sopra menzionata domanda di adozione al Tribunale per i minorenni di Roma della minorenne proposta dalla partner della madre, con lei convivente in modo stabile.

Con la sentenza 22/06/ 2016 n.12962/16, i giudici della Suprema Corte hanno definitivamente confermato questa adozione, affermando che “non determina in astratto un conflitto di interessi tra il genitore biologico e il minore adottando, ma richiede che l’eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice”.

Secondo la Cassazione, questa adozione “non dipende da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempre che, alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore”.

In precedenza, nel 2011 la stessa Suprema Corte di Cassazione aveva confermato l’affidamento di un bambino alla madre che viveva con la sua compagna, stabilendo nella sentenza che è un “semplice pregiudizio” sostenere che sia dannoso per i bambini crescere in una famiglia omosessuale.

4. La vicenda delle due donne

Le due donne sono insieme da undici anni e nel 2018 si sono unite civilmente.

Tre anni e mezzo fa, hanno deciso allargare la famiglia.

All’epoca la bambina era molto piccola e non si poteva rendere conto di quello che stava accadendo attorno a lei.

In seguito, con il supporto di due avvocati, è iniziata una lunga trafila sul suo cognome.

Per arrivare alla restituzione dei due cognomi, il Tribunale per i minorenni di Bologna ha permesso la stepchild adoption, vale a dire, come scritto in precedenza, la possibilità che il genitore non biologico adotti il figlio del partner, che sia naturale o adottivo.

Come riportato dal Corriere di Bologna, i giudici hanno affermato che “la relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso che si riconoscano come parti di uno stesso progetto di vita costituisce una famiglia, luogo nel quale è possibile la crescita di un minore, senza che il semplice fattore omoaffettività possa costituire un ostacolo formale”.

5. Il riconoscimento del vincolo giuridico

Sempre il Corriere di Bologna riporta che i giudici hanno provveduto a riconoscere il vincolo giuridico tra la partner della madre biologica e la bambina.

La motivazione afferma che l’adozione da parte della compagna “risponde pienamente al superiore interesse della minore, consentendole di godere della continuità affettiva, educativa ed emotiva di una famiglia solida e stabile, nella quale la stessa ha potuto costruire la propria identità”.

Con l’emanazione di questa sentenza, si mette fine a un annoso percorso di adozione e di attribuzione del doppio cognome.

La bambina potrà adesso potrà vedere riconosciuta in modo completo la sua identità.

Sempre i giudici del Tribunale per i minorenni di Bologna hanno scritto nella motivazione, come si accenna nella premessa all’articolo, che “il cognome è una parte essenziale e irrinunciabile della personalità”.

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