Acquisizione delle chat via screenshot: l’inutilizzabilità senza sequestro

La Corte di Cassazione affronta il delicato tema dell’acquisizione delle chat di messaggistica istantanea nei dispositivi elettronici dell’indagato.

Redazione 22/04/25
Allegati

Con la sentenza n. 1269/2025, la Corte di Cassazione affronta il delicato tema dell’acquisizione delle chat di messaggistica istantanea contenuta nei dispositivi elettronici dell’indagato, ribadendo il primato delle garanzie costituzionali e processuali. Non basta il consenso: servono precise cautele e un provvedimento dell’autorità giudiziaria. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione.

Corte di Cassazione -sez. VI pen.- sentenza n. 1269 del 13-01-2025

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Indice

1. Il caso e il ricorso: la perquisizione e l’estrapolazione delle chat tramite screenshot


La vicenda trae origine da una perquisizione personale condotta dalla polizia giudiziaria, nel corso della quale veniva rinvenuta della sostanza stupefacente occultata dall’indagato. A seguito di tale scoperta, l’uomo forniva volontariamente agli agenti la password per accedere ai contenuti del proprio smartphone, dal quale venivano estrapolati – tramite screenshot – messaggi di messaggistica istantanea ritenuti rilevanti ai fini probatori. Tali attività, tuttavia, si svolgevano senza l’adozione di un formale provvedimento autorizzativo da parte del pubblico ministero e senza l’assistenza legale dell’indagato.
Condannato in primo grado dal GIP del Tribunale di Taranto, l’imputato otteneva una riduzione della pena in appello (un anno e sei mesi di reclusione più 1.800 euro di multa), ma proponeva ricorso in Cassazione contestando, tra l’altro, l’inutilizzabilità delle chat estrapolate dal cellulare. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione.

FORMATO CARTACEO

Formulario annotato del processo penale 2025

Il presente formulario è stato concepito per fornire all’avvocato penalista uno strumento di agile consultazione.Attraverso gli schemi degli atti difensivi, sono esaminati i vari istituti processuali alla luce delle novità intervenute nell’ultimo anno, con l’evidenziazione della normativa di riferimento e delle più rilevanti linee interpretative della giurisprudenza di legittimità. La selezione delle formule, accompagnate da suggerimenti per una migliore redazione di un atto, tiene conto degli atti che un avvocato è chiamato a predisporre come difensore dell’imputato, ma anche come difensore delle parti private (parte civile, persona offesa, responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria).  Il volume contiene sia gli atti che vanno proposti in forma scritta, sia quelli che, pur potendo essere proposti oralmente nel corso di un’udienza, sono di più frequente utilizzo.Un approfondimento particolare è dedicato al fascicolo informatico e al processo penale telematico, alla luce del D.M. 27 dicembre 2024, n. 206, che ha introdotto rilevanti novità in materia di tempi e modi del deposito telematico.Completa il volume una sezione online in cui sono disponibili le formule anche in formato editabile e stampabile. Valerio de GioiaConsigliere della Corte di Appello di Roma.Paolo Emilio De SimoneMagistrato presso il Tribunale di Roma.  

 

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2. Il principio: irrilevanza del consenso e centralità delle garanzie difensive


La VI Sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 1269/2025 (ud. 20 novembre 2024, dep. 13 gennaio 2025), ha fornito un’interpretazione netta: anche quando vi sia il consenso esplicito dell’indagato, questo non può sanare l’assenza di un provvedimento dell’autorità giudiziaria.
Secondo la Corte, l’accesso al contenuto di uno smartphone, a seguito del rinvenimento di droga, è attività investigativa assimilabile all’apertura della corrispondenza, ai sensi dell’art. 353 c.p.p. Di conseguenza, tale operazione richiede specifiche garanzie: l’informativa dei diritti difensivi previsti dagli artt. 356 c.p.p. e 114 disp. att. c.p.p., il diritto all’assistenza del difensore e, soprattutto, un provvedimento motivato da parte del pubblico ministero. L’eventuale acquisizione diretta da parte della polizia giudiziaria è dunque illegittima.
La Corte richiama anche la sentenza della Corte costituzionale n. 170/2023, secondo cui le comunicazioni archiviate su dispositivi elettronici sono tutelate dall’art. 15 Cost., il che impone un rafforzamento delle garanzie procedurali.

3. La “prova di resistenza” e il giudizio di legittimità


Pur riconoscendo l’illegittimità dell’acquisizione delle chat e la loro conseguente inutilizzabilità, la Suprema Corte ha ritenuto che tale vizio non abbia inciso in modo determinante sulla condanna. Ha infatti fatto applicazione del principio della “prova di resistenza”, secondo cui l’eliminazione di una prova illegittima deve essere valutata nel contesto complessivo del materiale probatorio.
Nel caso in esame, anche senza tener conto degli screenshot delle chat, sussistevano sufficienti elementi per confermare la responsabilità penale dell’imputato. Tra questi, la mancata giustificazione del possesso della sostanza stupefacente, le modalità del nascondimento, la quantità detenuta e le incongruenze tra i redditi dichiarati e la disponibilità economica accertata.

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4. Il limite alla prova atipica: il rispetto del principio di legalità


Infine, la Cassazione ha chiarito che l’attività della polizia giudiziaria non può essere ricondotta nel novero delle cosiddette “prove atipiche”. In un sistema ispirato al principio di legalità, è vietato alle autorità investigative compiere atti che, seppur diversi da quelli tipici previsti dalla legge, producano risultati probatori simili eludendo le tutele costituzionali. In altri termini, non è ammesso che l’acquisizione di screenshot delle chat si sostituisca a un sequestro regolarmente autorizzato, anche se avvenuta con il consenso del titolare del dispositivo.
La sentenza ribadisce così un principio fondamentale: le garanzie dell’indagato non possono essere aggirate in nome dell’efficienza investigativa. L’acquisizione della messaggistica istantanea dev’essere sottoposta a un rigoroso vaglio giurisdizionale, a tutela del diritto alla difesa e della segretezza delle comunicazioni.

5. Conclusioni


La Cassazione, con questa pronuncia, offre una lettura rigorosa e costituzionalmente orientata delle regole di acquisizione della prova digitale. Il consenso dell’indagato non basta a legittimare l’accesso ai dati personali custoditi nello smartphone: occorrono un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria e il rispetto delle garanzie difensive. Una decisione che rappresenta un importante presidio contro i rischi di arbitrarietà nell’uso delle tecnologie digitali nei procedimenti penali.

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