Accesso agli atti della PA: rapporto pubblicistico del privato con funzione pubblica

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A conclusione di più vicende portate all’attenzione del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, la VI sezione ha riunificato i procedimenti “fotocopia” su cui si è espressa con un unico provvedimento, n. 5502, il 9 ottobre 2023. Intervenendo nella vicenda che vedeva attrice l’ASL di Caserta e convenuta BNL spa, la VI sezione ha sentenziato – a favore del convenuto in maniera piena e totale – con un meccanismo provvedimentale che ricapitola puntualmente non solo il rapporto pubblicistico del soggetto privato che si trova a svolgere una funzione pubblica, ma anche i principi sottesi all’articolo 22 della legge 241/90 in relazione stretta e dando applicazione concreta ai principi del procedimento amministrativo, censurando anche il contegno della strategia che viene definito come “una complessiva condotta del ricorrente di natura emulativa, inverante un abuso del processo. E, invero, la violazione dei principi di buona fede e correttezza che devono sempre e comunque informare i rapporti intersoggettivi”. Ma è per il complessivo valore di ricapitolazione e collegamento puntuale di ogni aspetto con i principi generali sottesi che la sentenza merita un più puntuale commento e rilettura.
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TAR Campania -sez. VI- sentenza n.5502 del 9-10-2023

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Indice

1. Il rapporto tra la forma privatistica e la funzione pubblicistica


L’articolo 22 della legge 241/90 stabilisce il diritto di accesso agli atti detenuti dalla pubblica amministrazione.
Il TAR Campania, sez. VI, il 9 ottobre 2023, è intervenuto sulla materia con una sentenza [n. 5502] che approfondisce il tema in maniera dirimente in un caso particolare, ovvero l’istanza posta da un ente pubblico (nello specifico l’ASL di Caserta) nei confronti di una azienda privata (BNL Spa), chiarendo in modo preciso e puntuale che
“…gli atti e i documenti de quibus si inscrivono nell’espletamento del “servizio di tesoreria e cassa per l’azienda sanitaria locale di Caserta”, siccome aggiudicato alla banca resistente, nel rispetto delle prescrizioni di cui al “Capitolato speciale di gara per l’Affidamento del Servizio di Tesoreria e Cassa per l’ASL Caserta”, funzionali a garantire tutti gli adempimenti previsti in accordo con la disciplina contenuta nella legge 29 ottobre 1984, n. 720, riguardante l’istituzione del sistema di tesoreria unica per enti e organismi pubblici: trattasi, indi, di atti e documenti che quodammodo afferiscono al modus di gestione delle risorse pubbliche della ASL; si è in presenza, indi:
a) a latere oggettivo, di “documenti amministrativi”, trattandosi di atti per certo “concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale” (art. 22, comma 1, lett. d), l. 241/90);
b) a latere soggettivo, di una “pubblica amministrazione” a’ sensi della disciplina in tema di accesso, tale definizione inglobando anche “i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse”; di qui la applicabilità della disciplina in tema di accesso ex lege 241/90 e, di conseguenza, la plena cognitio in subiecta materia di questo TAR.”
Il punto – affrontato in via preliminare – è di notevole rilevanza perché conferma e ribadisce un principio di simmetria secondo cui il rilievo è dato dalla concreta funzione di “servizio pubblico” espletato, e non dalla formale soggettività.
Così come la PA può agire per il tramite di società di diritto privato, e le stesse restano vincolate al rispetto della legge 241/90, così anche i privati che agiscono e compiono “attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale” ne sono soggetti.
In estrema sintesi, ciò che rileva è l’attività sostanziale e il pubblico interesse perseguito (o da perseguire), più che la natura pubblicistica o privatistica del soggetto.

2. Il soddisfacimento dell’accesso agli atti, anche se “in negativo”


Nel merito della vicenda (riscostruita in fatto nella sentenza cui si rinvia ampiamente) in cui la BNL comunicava, sostanzialmente e in sintesi che: a. la documentazione sarebbe stata disponibile in ogni caso tramite il servizio di accesso home banking e che b. trattandosi di documentazione risalente al 2007 non era più disponibile “in fascicolo” (non potendosi prevedere una conservazione immotivatamente sine die) il Tar riaffermava che
“…allorquando l’Amministrazione dichiara di non detenere i documenti richiesti assumendosi la responsabilità della veridicità della sua affermazione, è evidente che l’interesse del ricorrente è, comunque, stato soddisfatto, anche se in “forma negativa” (TAR Campania, VI, 8 aprile 2021, n. 2319); “al cospetto di una dichiarazione espressa dell’Amministrazione di inesistenza di un determinato atto, non vi sono margini per ordinare l’accesso, rischiandosi altrimenti una statuizione impossibile da eseguire per mancanza del suo oggetto, che si profilerebbe, dunque, come inutiliter data” (CdS, IV, 27 marzo 2020, n. 2142) … la attestazione, pure e inter alia, contenuta nella nota della banca …è fatto idoneo a:
– realizzare il soddisfacimento, sia pure per così dire “in negativo”, dell’interesse ostensivo di cui era titolare la ricorrente, con il correlato conseguimento della bene della vita cui essa ricorrente aspirava, id est la acquisizione di dati ed informazioni, ovvero, la giuridica certezza della loro inesistenza, presso la Amministrazione all’uopo compulsata, mercé la formale attestazione da questa rilasciata;
– deprivare di interesse, in nuce e ab initio, qualsivoglia ulteriore iniziativa volta alla ostensione dei predetti atti e documenti.”
Sentenziando a favore della banca e avverso l’Asl il Tar afferma che
“I ricorsi sono inammissibili per un duplice –autonomo, ancorché concorrente- ordine di ragioni:
– comechè deprivati ab initio del loro indefettibile sostrato, avendo l’interesse conoscitivo che pretenderebbe sorreggerli trovato già soddisfacimento, sia pure “in negativo”, in data ben antecedente la proposizione di essi ricorsi e delle stesse prodromiche istanze di accesso;
– in ogni caso, anche a cagione della mancata impugnazione della primigenia nota del 24 novembre 2022, ove interpretata nel senso, per vero inesistente, di diniego anche solo parziale formatosi sulla precedente, analoga, domanda di accesso pure formulata in allora dalla ricorrente”.


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3. Il principio di valore del diritto di accesso


Ma la stessa sentenza chiarisce e ribadisce un altro aspetto del diritto di accesso agli atti su cui vale la pena soffermarsi:
“Il giudizio in materia di accesso, pur atteggiandosi come impugnatorio – essendo rivolto avverso il provvedimento di diniego o avverso il silenzio rigetto formatosi sulla relativa istanza – ha pur sempre ad oggetto l’accertamento della spettanza o meno del diritto medesimo, piuttosto che la verifica della sussistenza di vizi di legittimità dell’eventuale diniego opposto dall’Amministrazione (TAR Campania, VI, 16 settembre 2022, n. 5771; TAR Campania, VI, 15 giugno 2020, n. 2382; Id., id., 7 maggio 2020, n. 1672; TAR Lombardia, I, 510/2020; Id., id. 27 agosto 2018, nn. 2023 e 2024); è tale spettanza che va valutata in concreto, anche alla luce delle allegazioni delle parti e delle emergenze documentali del giudizio.
Il punto è essenziale: l’accesso agli atti ha una funzione specifica, non di mera conoscenza, ma di “quella conoscenza” che consente la tutela in concreto di un diritto, e a detto diritto è collegato.
E l’accertamento della spettanza o meno del diritto medesimo va valutata in concreto, anche alla luce delle allegazioni delle parti e delle emergenze documentali del giudizio, e non in teoria o apriori.

4. L’abuso di processo


Nel concreto caso in esame del tribunale amministrativo campano vi era un caso particolare, anche questo degno di nota.
L’ASL proponeva ben venti ricorsi “fotocopia”.
Sul punto interviene l’estensore della sentenza con un’indicazione preziosa, perché direttamente collegata al rispetto dei principi della legge sul procedimento amministrativo, censurando anche la scelta tecnica dell’agire della ASL casertana.
Afferma il TAR:
“I ricorsi sono inammissibili, ancora, anche sotto altro e diverso profilo, comechè inveranti l’ultimo segmento –processuale- di una complessiva condotta del ricorrente di natura emulativa, inverante un abuso del processo.
E, invero, la violazione dei principi di buona fede e correttezza che devono sempre e comunque informare i rapporti intersoggettivia latere privatistico, non meno che a latere pubblicistico– emerge all’esito di una piana disamina:
– della inusitata scansione che risulta avere connotato l’agere processuale della ricorrente;
dell’intrinseco contenuto delle richieste di accesso del marzo 2023, reiterative di quelle già dapprincipio soddisfatte.
La valutazione globale ed omnicomprensiva, non già parcellizzata o atomistica, della congerie di domande avanzate dalla ricorrente nei confronti della banca resistente sia in sede procedimentale che processuale, vale a vieppiù lumeggiare la inammissibilità della actio processuale quivi concretatasi ad opera della ASL.
La eccezionale scansione temporale che ha connotato la presentazione di una tale mole di domande ed istanze di accesso – per esigenze e interessi conoscitivi in relazione ai quali la banca aveva già fornito un riscontro adeguato- generiche, esplorative, ingiustificatamente frazionate e parcellizzate e, indi, nel complesso inequivocabilmente sintomatiche di un agere emulativo ed abusivo già in sede sostanziale e procedimentale, si è specularmente riverberata sulle iniziative giurisdizionali assunte dalla ricorrente che ha poscia reputato di “frazionare” in innumerevoli segmenti giurisdizionali il suo, per vero impervio e ardito, sentiero già percorso in sede procedimentale.
Orbene, è ictu oculi evidente che il frazionamento della pretesa ostensiva della ricorrente in una congerie di rivoli processuali costituiti dalla pletora di giudizi coevamente instaurati avanti questo TAR, vale ad inverare una fattispecie paradigmatica di abuso della tutela giurisdizionale.
In questa ottica, l’agere processuale della ricorrente si appalesa contrastante con il canone della buona fede e della correttezza, che rileva non solo sul piano sostanziale e/o procedimentale, ma anche su quello processuale, allorquando la iniziativa processuale sia parcellizzata in una pluralità di giudizi, senza una oggettiva e ragionevole giustificazione.
E ciò anche nella vicenda de qua agitur, ove una tale parcellizzazione non trova oggettive giustificazioni –né, all’uopo, è stata ragionevolmente giustificata in giudizio- in violazione dei principi generali di lealtà e solidarietà nei rapporti -cui massimamente dovrebbe improntarsi, peraltro, il comportamento di una Amministrazione pubblica- e del noto canone metodologico, per cui entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem.”

5. I principi dell’articolo 1 della legge 241/90 in concreto


In questa censura vi è un aspetto essenziale che nella ricapitolazione dei principi li unifica in unico ragionamento, estendendo el garanzie dei principi del articolo 1 della legge 241/90 non solo a qualsiasi soggetto (di diritto pubblico o privato) nel loro agire al servizio e nell’interesse pubblico, ma anche all’intero procedimento, anche quando lo stesso si estenda “oltre i limiti” procedimentali e sfoci nella tutela giurisdizionale.
Come a dire – e  sancire – che anche il ricorso al giudice amministrativo è soggetto alle stesse regole e ispirato agli stessi principi dell’attività amministrativa nel suo complesso, all’attività procedimentale, ed a quella – giurisdizionale – pur sempre amministrativa di tutela del diritto e del rimedio di ultima istanza.
Nelle parole del TAR:
“Gli obblighi di buona fede e correttezza che devono sempre e comunque informare la condotta dei soggetti avvinti da un rapporto giuridico, si dispiegano con continuità anche nella (eventuale) successiva fase giurisdizionale, costituente il segmento finale del rapporto e del contatto inter partes.
Di talché, le iniziative processuali, la meritevolezza e l’ammissibilità dell’interesse che le sostiene, vanno scrutinate anche in forza dell’apprezzamento degli antecedenti comportamenti e/o manifestazioni di volontà posti in essere dalle parti.
La giurisprudenza (CdS, V, 27/3/2015, n. 1605; CdS, V, 27 aprile 2015, n. 2064; Cass., 7 maggio 2013, n. 10568; TAR Lombardia, I, 19 novembre 2018, n. 2603; TAR Campania, III, 10 gennaio 2018, n. 154) da tempo riconosce la vigenza, nel sistema giuridico, di un principio generale di divieto di abuso del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale rientra ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela, poiché esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge.
Il dovere di buona fede e correttezza, di cui agli artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 del c.c., alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall’art. 2 della Costituzione e dalla Carta di Nizza, si pone non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell’ambito dei rapporti obbligatori e/o procedimentali, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, anche sul piano della loro tutela processuale (TAR Lombardia, I, 24 marzo 2020, n. 546; Id.id., 28 agosto 2019, n. 1929; Id. id., 14 giugno 2019, n. 1376; Id., id. 2810/18).
Espressione dell’abusivo esercizio di un potere, anche processuale, è anche quello funzionale ad artificiosamente –id est, senza una obiettiva, valida, giustificazione, meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico- frazionare la propria pretesa, pel tramite:
– di una irragionevole proliferazione di istanze in sede amministrativa, spesso avvinte da vincoli di connessione oggettivi e soggettivi, ovvero in ogni caso agevolmente suscettibili di trattazione unitaria;
– di una consequenziale moltiplicazione dei giudizi, meccanicamente avviati con riferimento alle singole istanze di accesso e, indi, anche in presenza di una già avvenuta mutazione e/o evoluzione della situazione procedimentale.
E ciò arrecando un oggettivo vulnus:
– al buon andamento della azione amministrativa, determinando altresì aggravi procedimentali e finanziari, legati anche alle necessità defensionali della parte resistente;
– al principio del rispetto della non illimitata risorsa-giustizia, funzionale ad evitare un indebito frazionamento della tutela giudiziale (Cass., SS.UU., 26242/14 e 26243/14);
– al principio di lealtà e probità processuale, valore cui andrebbe costantemente improntata la condotta delle parti nel processo;
– al principio di effettività della tutela e di concentrazione delle decisioni;
– al principio di economia (anche extra) processuale, declinazione del giusto processo inteso (anche) come esigenza di evitare la eventualità di moltiplicazione seriale dei processi.”
Una ricapitolazione di principi che trova la sua naturale fonte nell’articolo 1 della legge sul procedimento amministrativo e i cui obblighi non possono essere intesi come mere norme di comportamento o di “aspirazione ideale”, ma come capisaldi dell’agire in concreto che “si dispiegano con continuità anche nella (eventuale) successiva fase giurisdizionale, costituente il segmento finale del rapporto e del contatto inter partes”

6. In conclusione


Conclude il Tar “le considerazioni suesposte inducono a formulare un giudizio di inammissibilità della complessiva condotta di esplicazione del potere di azione in sede giudiziale votando a declaratoria di inammissibilità le domande quivi esperite dalla ricorrente… Infine, non si rinvengono ragioni per deflettere dalla regola generale in forza della quale le spese seguono la soccombenza, nella misura indicata in dispositivo.
Sul punto tuttavia resta la questione più volte sollevata, e che anche alla luce di una così forte, pervasiva, complessiva censura, merita un chiarimento di maggiore portata.
Intanto il danno erariale: appare evidente un accanimento in questo caso, che ha generato costi considerevoli alla PA, costi – e l’atteggiamento generale – sostenuti in virtù del fatto che il decisore della strategia di agire nel così censurato modo non deve sostenere tale strategia processuale-procedimentale a proprie spese.
Ben diversa, ne siamo certi, sarebbe stata la condotta del soggetto privato, che deve disporre e determinare la strategia con “fondi propri”.
Simmetricamente il decisore non deve sopportare l danno e il costo della sua determinazione.
Anche questa una posizione asimmetrica rispetto al comune cittadino ed al soggetto privato (in questo caso chiaramente vessato dalla determinazione della PA ricorrente).

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Finiscono, pertanto, per coesistere variegate forme di tutela del diritto di accesso agli atti, le quali prevedono l’applicazione di regole ed il ricorrere di presupposti legittimanti spesso assai differenti e che richiedono, da parte degli uffici pubblici preposti, particolari attenzioni.

Michele Di Salvo

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