Accertamento della impossibilità della collaborazione (Tribunale di Sorveglianza di Sassari, ordinanza 18 ottobre 2007)

sentenza 15/11/07
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TRIBUNALE di SORVEGLIANZA
S A S S A R I
 
Il Tribunale di Sorveglianza, composto dai sigg:
 
– dott.             G.A. Cau                    Presidente;
– dott.ssa         M.P. Vezzi                 Magistrato di Sorveglianza
– dott.              L. Bosincu                  Esperto
– dott.ssa         R. Polo                       Esperto
 
in relazione al   R E C L A M O in data 8.5.2007, proposto, ai sensi dell’art. 30 bis, legge 26.7.1975 n. 354 e succ. modif., dal detenuto XXXXXXXXXX XXXXXXXXXX, nato a Dorgali (NU) il 26.10.1958, ristretto nella Casa Circondariale di Nuoro – in esecuzione della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Sassari in data 20.4.2000 (esecuzione n. 32/2001 R. Es. Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Sassari) – avverso il decreto n. 159/07 R.P. del 24.4.2007, con cui il Magistrato di Sorveglianza di Nuoro ha rigettato l’istanza di permesso premio, presentata dallo stesso, HA   EMESSO   in camera di consiglio il 18 ottobre 2007, la seguente
O R D I N A N Z A
            Esaminati gli atti del procedimento;
            verificata la tempestività del reclamo e la regolarità delle notificazioni e comunicazioni;
            considerate le risultanze dell’udienza in camera di consiglio di cui al separato verbale;
O S S E R V A
Con il provvedimento impugnato, il Magistrato di Sorveglianza dichiarava inammissibile l’istanza di permesso premio proposta dal XXXXXXXXXX alla luce della condanna in espiazione, relativa a delitto interamente ostativo, in relazione al quale non era stata accertata la collaborazione dello stesso, ovvero la ricorrenza di fattispecie alternative alla collaborazione.
Avverso tale provvedimento presentava reclamo il detenuto esponendo di aver già espiato 13 anni di reclusione (in considerazione della detenzione subita, della liberazione anticipata e del condono di pena ottenuto) e chiedendo l’accertamento dell’impossibilità di prestare un’utile collaborazione per essere stati integralmente accertati i fatti in giudizio.
A tal proposito occorre evidenziare che, a seguito di una serie di pronunce della Corte Costituzionale (nn. 306/1993, 357/1994, 68/1995), è stata intepretativamente equiparata la collaborazione irrilevante (in considerazione del ruolo marginale del condannato nell’ambito del fatto criminoso) alla collaborazione impossibile (a causa dell’integrale accertamento dei fatti) ed è stata, quindi, riconosciuta, in astratto, la possibilità di ottenere i benefici previsti dall’ordinamento penitenziario anche nel caso in cui vi sia una impossibilità a fornire una valido contributo a seguito di una completa chiarificazione degli episodi delittuosi in sentenza. Entrambe le figure di cui sopra, dunque, sono state inserite all’interno di un quadro unitario alla cui base vi è la logica considerazione di non poter richiedere una collaborazione oggettivamente inesigibile. Se tale possibilità era stata inizialmente limitata a coloro che erano stati condannati prima dell’entrata in vigore della disciplina restrittiva di cui al D.L. n. 306/1992, alla luce della successive modifiche del testo della disposizione de qua (che non ha introdotto alcuna distinzione), la declaratoria di collaborazione per chi non ha la possibilità di fornire un valido contributo deve riconoscersi a tutti i condannati.
Ciò posto, occorre considerare che il XXXXXXXXXX sconta una condanna ad anni 24 di reclusione (detratti anni due per condono, ai sensi della l. 31.7.2006 n. 241) per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, violazione di domicilio, violenza privata e violazione delle disposizioni sul controllo delle armi [decorrenza pena: 22.5.1998; fine pena: 16.4.2018]. L’indulto ai sensi della l. n. 241/2006 è stato evidentemente applicato sulla pena relativa ai reati non ostativi di cui sopra ed in relazione ai quali al XXXXXXXXXX è stata inflitta la condanna di anni due di reclusione, in continuazione con il più grave delitto di cui all’art. 630 c.p.. La pena di 22 anni attualmente in esecuzione è, dunque, interamente ostativa ad ogni beneficio (fatta eccezione per la liberazione anticipata) ai sensi dell’art. 4 bis O.P. È dunque indubbio che debba intervenire una pronuncia volta ad accertare la collaborazione ovvero la sua impossibilità perché l’attuale reclamante possa eventualmente ottenere la concessione del permesso richiesto, in relazione al quale beneficio (qualora ricorressero i presupposti di cui all’art. 58 ter O.P.) sarebbe nei termini, avendo egli espiato la metà della pena in esecuzione ed in ogni caso più di dieci anni (occorre tuttavia precisare che i due anni condonati non possono essere considerati come pena espiata ma vanno semplicemente detratti dalla condanna riportata, sì che la stessa si riduce, dunque, anche ai fini del calcolo del quantum di pena necessario per l’ammissione ai vari benefici).
Il fatto, in relazione al quale il XXXXXXXXXX richiede l’accertamento dell’impossibilità di prestare un’utile collaborazione, riguarda il sequestro di Ferruccio XXXXXXXXXX, imprenditore di Monterotondo ed all’epoca, amministratore e socio di maggioranza della società proprietaria del villaggio turistico Palmasera, sito in Cala Gonne. Il 18.5.1995 un gruppo d’assalto era penetrato nel villaggio presso il quale il XXXXXXXXXX si trovava e l’aveva prelevato per condurlo, incappucciato e legato, presso il luogo di prigionia prestabilito – una grotta nella valle di Lanaitto, sulle pendici del Monte Orudè – tenendolo ivi segregato per più di cinque mesi.
In relazione a tale episodio delittuoso occorre innanzitutto rilevare che, ai fini del presente giudizio, l’accertamento di una impossibile collaborazione costituisce un semplice dato storico da accertare sulla base della sentenza di condanna, che è pervenuta a quel giudizio a seguito delle risultanze probatorie acquisite (v. Cass. Sez. I, 13.5.1994, n. 2231). A tal proposito è bene osservare che, seppure una serie di circostanze sicuramente rilevanti nell’ambito della vicenda non sono state accertate – stante la molteplicità degli intrecci che portarono all’esecuzione del sequestro e la varietà dei compiti che nell’ambito dello stesso furono, nelle varie fasi, distribuiti – ciò che occorre prendere in esame sono quegli aspetti della vicenda che, nella ricostruzione dei fatti operata dai giudici in sentenza, sono rimasti non chiariti.
Nell’ambito del processo, dunque, grazie alle dichiarazioni rese dal sequestrato, alle numerose testimonianze assunte, all’audizione di imputai di reati connessi, alle impronte digitali rinvenute nei pressi della grotta ed alle molteplici intercettazioni effettuate, venne ricostruito in maniera piuttosto compiuta il sequestro XXXXXXXXXX. Sebbene, infatti, nei capi d’imputazione si legga che le fattispecie criminose sono state poste in essere “con altre persone non identificate”, sulla base delle motivazioni espresse nelle sentenze si ripercorre la vicenda sì da tracciare l’organizzazione del delitto e le sue varie fasi.
In tal senso il Cossu ed il Crissantu vennero identificati quali organizzatori del sequestro (insieme con Menneas, successivamente deceduto durante un tentativo di furto); Il Congiu e Gaddone Sebastiano vennero ritenuti i custodi della grotta (inchiodati, oltre che dalle impronte rinvenute, anche dalle dettagliate informazioni che il XXXXXXXXXX aveva fornito sulle caratteristiche psicologiche dei suoi due carcerieri, perfettamente coincidenti con quelle dei due imputati); al Gaddone Giovanni venne attribuito il ruolo di tramite fra le due anime della banda (in contrasto fra loro in relazione al prezzo del riscatto) ed il XXXXXXXXXX venne ritenuto responsabile di essere stato il custode esterno della grotta, colui che aveva fornito il supporto logistico necessario per la sopravvivenza in quel luogo. Il Demurtas venne condannato esclusivamente per il primo capo d’imputazione, ovverosia per il concorso (successivo) nel sequestro posto in essere dagli altri imputati, avendo egli consentito le trattative della famiglia dell’ostaggio con i banditi, mentre il Dettori venne assolto in considerazione della mancata prova in merito al suo coinvolgimento nel sequestro XXXXXXXXXX (seppure con alcuni degli imputati fosse complice del diverso sequestro Vinci).
Anche le dinamiche all’interno della banda e lo snodarsi degli eventi nel corso del sequestro furono pressoché compiutamente ricostruiti, sebbene, come già rilevato, debba darsi atto del fatto che una serie di circostanze rimaste ignote non furono oggetto di specifica attenzione da parte dei giudicanti, occupati ad affermare la penale responsabilità degli imputati individuati, in relazione ai fatti accertati.
In tale contesto, dalla lettura delle due sentenze agli atti, le vicende in relazione alle quali può dirsi non integralmente accertata la dinamica dei fatti sono essenzialmente tre.
Prima di elencarle, evidenziando gli aspetti irrisolti, è bene precisare che, con riguardo agli stivali che il XXXXXXXXXX indossava al momento della sua liberazione (o meglio al momento della sua fuga dalla grotta) – e che consentirono la definitiva affermazione della responsabilità del XXXXXXXXXX – non può ritenersi che la vicenda non sia stata chiarita. Sebbene, infatti, le dichiarazioni rese dal Ruiu, in merito alla individuazione del percorso dagli stessi effettuati per giungere ai piedi del XXXXXXXXXX, siano state ritenute non veritiere, si è comunque giunti ad ottenere, attraverso una ricostruzione logico-deduttiva basata su vari elementi probatori emersi in dibattimento, una versione dei fatti che, nell’ambito del presente giudizio, deve ritenersi come semplice dato storico, non contestabile ed ormai cristallizzato. Più precisamente quei famosi stivali, dotati di un numero di matricola, così particolari e costosi (ve ne erano solo due paia in tutta Italia, il resto della produzione fu spedito all’estero), non furono lasciati dal Ruiu nell’ovile del XXXXXXXXXX (come voleva far credere il primo per alleggerire la posizione dell’allora imputato, cui era legato da rapporti di affinità oltre che di amicizia) bensì passarono dal magazzino del Ruiu al XXXXXXXXXX il quale poi le fornì ai carcerieri del XXXXXXXXXX.
Ciò posto, il primo dei tre aspetti rimasti oscuri riguarda l’identità di due dei custodi del XXXXXXXXXX i quali, nel corso dei primi giorni della sua prigionia, sostituirono i due malviventi che poi svolsero ininterrottamente quel compito. Durante tutto il periodo del sequestro, infatti, è stato accertato che i due i carcerieri dell’ostaggio furono Tonino Congiu e Sebastiano Gaddone; si legge, tuttavia, nelle due sentenze che “circa dieci giorni dopo l’inizio della prigionia, e per circa una settimana” altri due personaggi avevano sostituito i soliti custodi, personaggi “con i quali il prigioniero non era però riuscito a stabilire alcun rapporto” (cfr. p. 9 sentenza della Corte d’Appello di Sassari). Nessun altro accenno viene fatto in entrambi i provvedimenti di condanna a tale aspetto che, dunque, rimane oscuro.
Secondo punto della vicenda non chiarito è da individuare nell’ambito dell’incontro di Fenosu del 30.8.2005. In occasione di quel convegno venne stabilito che il prezzo del riscatto – che dall’inizio del sequestro era sceso in considerazione dell’impossibilità, rappresentata dalla famiglia, di procurarsi la somma in contanti richiesta di 5 miliardi – sarebbe dovuto nuovamente salire. Al gruppo degli organizzatori (ovverosia i c.d. orgolesi che rappresentavano l’anima più dura della banda ed ai quali non vennero concesse neppure le attenuanti generiche) non andava bene l’atteggiamento impaziente e preoccupato dei custodi (impensieriti anche per la salute dell’ostaggio che non era riuscito a ricevere le medicine per il fegato di cui aveva bisogno) che pur di liberare al più presto il XXXXXXXXXX erano disposti a ridurre il prezzo del riscatto. Non c’è dubbio dunque che l’incontro rivestì una notevole importanza nell’ambito dell’intera vicenda criminosa e tuttavia non è mai stato accertato l’identità di un personaggio rimasto ignoto che aveva fissato l’incontro stesso e che avrebbe dovuto partecipare alla riunione ed invece, per cause non chiarite, non si presentò.
Ultimo dei tre punti irrisolti è relativo al c.d. “canale Piredda” – quest’ultimo amico del XXXXXXXXXX e dallo stesso indicato nella prima lettera fatta pervenire dai sequestratori quale persona in grado di stabilire un contatto con i malviventi per il pagamento del riscatto – ovverosia il contatto che il Piredda utilizzò per interagire con i banditi. A tal proposito occorre osservare che tale ruolo venne imputato al Demurtas, condannato in primo grado esclusivamente per il sequestro, ritenendo, i primi giudici, che fosse stata accertata la sua conoscenza di una serie di informazioni non accessibili a tutti e relative al sequestro; tale rilievo consentì, nell’ambito di quel giudizio, l’affermazione di un suo coinvolgimento nel controllo del sequestro stesso. In secondo grado, tuttavia, la lettura che i giudici diedero alle risultanze probatorie, non permise di affermare con certezza la sua penale responsabilità in merito ai fatti contestatigli. Si osservò, in primo luogo, che la condotta dallo stesso tenuta nella vicenda criminosa, avrebbe potuto al più costituire la fattispecie delittuosa di cui all’art. 1, comma 4, D.L. n. 8 del 1991 di intermediazione nel sequestro di persona a scopo di estorsione e non dunque un vero e proprio concorso nel sequestro stesso, seppure successivo. Si andò tuttavia oltre tale primo rilievo, concludendosi per una insufficienza degli elementi probatori a carico del Demurtas posto che numerosi indizi di colpevolezza in tal senso avrebbero potuto ravvisarsi in capo ad altro soggetto, pure individuato ma non condannato. Seguì dunque l’assoluzione dello stesso Demurtas e, quindi, in relazione a tale conclusione, deve rilevarsi come il canale che il Piredda utilizzò per stabilire un contatto con i banditi – soggetto che sicuramente aveva responsabilità di carattere penale nella vicenda – non è stato mai accertato.
Tali essendo i punti rimasti irrisolti in merito alla vicenda criminosa che ci occupa, occorre, dunque, verificare se effettivamente il XXXXXXXXXX non abbia potuto prestare alcuna collaborazione con riguardo agli stessi. L’impossibilità di fornire un valido aiuto agli inquirenti deve ovviamente considerare la posizione che il condannato che richiede l’accertamento, rivestiva nell’ambito della vicenda, essendo ovviamente inesigibile un chiarimento in relazione ad aspetti dallo stesso non conosciuti e per contro inutile una collaborazione con riguardo ad elementi già accertati.
Il XXXXXXXXXX, che all’epoca dei fatti era un allevatore con moglie e quattro figli, è stato ritenuto responsabile, come già evidenziato, di essere stato il custode c.d. esterno della grotta. Occorre a tale proposito sottolineare che l’entità della condanna dallo stesso riportata è pari  a quella determinata per i due custodi, ai quali venne inflitta una pena detentiva di 24 anni a seguito della concessione delle attenuanti generiche (negate in primo grado principalmente alla luce delle loro condizioni economiche  e concesse in appello per il diverso atteggiamento serbato dai custodi nei confronti dell’ostaggio). Non può dunque sicuramente dirsi che il ruolo dallo stesso rivestito sia stato secondario o marginale. Il XXXXXXXXXX aveva infatti il compito di approvvigionare i due custodi e fornire il necessario per portare avanti il loro compito (fu lui, infatti, a procurare e a far pervenire, per il tramite dei due custodi, gli stivali al XXXXXXXXXX). Nonostante ciò deve anche rilevarsi che in nessuna delle intercettazioni agli atti viene individuato il XXXXXXXXXX come partecipe, né il nome dello stesso viene mai fatto in occasione di discussioni in merito alla gestione del sequestro ovvero per altre decisioni di qualche rilievo. La responsabilità dell’odierno reclamante venne affermata principalmente in considerazione della ubicazione della grotta ove fu segregato il XXXXXXXXXX (al centro dei terreni di proprietà o in uso al XXXXXXXXXX, il quale durante quell’estate fu il solo pastore presente nella zona sottostante il monte); venne poi accertato che la maggior parte delle cose rinvenute all’interno della grotta (scontrini, buste confezioni ed un contenitore di cartone per trasportare della pizza che, in una sola occasione venne fornita al XXXXXXXXXX) proveniva da Dorgali, paese del XXXXXXXXXX; l’elemento decisivo tuttavia fu costituito dal rinvenimento degli stivali, che come già visto, pervennero al sequestrato proprio grazie al XXXXXXXXXX.
Sulla base di tali considerazioni è lecito dubitare seriamente della possibilità, per l’attuale detenuto, di fornire chiarimenti con riguardo agli ultimi due punti rimasti oscuri. Ci si riferisce in particolare all’incontro di Fenosu (data l’estraneità del XXXXXXXXXX a tale tipo di attività direttiva) ed al c.d. canale Piredda (stante la completa assenza di elementi dai quali ritenere coinvolto il detenuto nella gestione di tale tipo di trattative). Se può ritenersi accertato che l’odierno interessato aveva nell’ambito della vicenda esclusivamente compiti di tipo logistico, è verosimile immaginare che egli non fosse addentro alla fitta trama di relazioni ed intrecci, i quali si svolgevano, anche da un punto di vista materiale, lontano da lui e dai suoi luoghi.
Proprio in considerazione di tale rilievo, tuttavia, maggiori dubbi sussistono, per contro, con riguardo alla conoscenza dei due custodi rimasti ignoti. È possibile affermare che il XXXXXXXXXX, quale custode esterno e proprietario dei terreni al centro dei quali si trovava la grotta della prigionia, non sia stato in grado di conoscere e dunque fornire i nomi dei due custodi che, seppur per breve tempo, sostituirono in quella zona i due soliti carcerieri?
È bene a tal proposito soffermarsi su alcuni rilievi emergenti dagli atti. Risulta chiaramente che tali individui si avvicendarono con i due soliti custodi esclusivamente per una settimana (che effettivamente rappresenta un lasso di tempo piuttosto breve alla luce della lunga carcerazione che il XXXXXXXXXX subì). La sostituzione avvenne poi circa dieci giorni dopo il sequestro e dunque nella fase iniziale dello stesso, sì che potrebbe ritenersi una ancora non ben definita organizzazione e gestione dei compiti, soprattutto con riguardo ai compartecipi non particolarmente addentro alla guida della gruppo. L’elemento, tuttavia, maggiormente decisivo a mettere in dubbio la reale conoscenza del XXXXXXXXXX con riguardo a tale aspetto è data da una veloce notazione fornita dai giudici in sentenza; si legge chiaramente infatti che con i due sconosciuti “il prigioniero non era però riuscito a stabilire alcun rapporto”. Posto che con i due soliti custodi il XXXXXXXXXX aveva instaurato un buon rapporto, tanto che gli stessi acconsentirono a non incatenarlo (cosa che gli permise di salvarsi la vita fuggendo dalla grotta, quando venne abbandonato a seguito degli arresti compiuti nel corso delle indagini del sequestro Vinci), risulta evidente come vi fosse la chiara volontà dei due “sostituti” a mantenere celata ogni loro caratteristica, stante la precarietà del loro compito. Tale rilievo potrebbe indurre a pensare che anche nei confronti dei concorrenti nel reato (o comunque di alcuni concorrenti più defilati) i due non volessero palesare la loro identità, stante il clima di grande circospezione che li circondò; né si fa riferimento ad essi in altri passaggi della sentenza, sì che deve ritenersi che gli stessi furono effettivamente delle fugaci comparse.
In relazione a tale aspetto, tuttavia, stante l’impossibilità di determinare con certezza se il XXXXXXXXXX potesse o meno conoscere l’identità dei due custodi supplenti, non può che farsi applicazione del generale principio del favor rei che vuole che, laddove sussista un dubbio a cui consegua un danno per la posizione del condannato, esso vada risolto in suo favore.
Sulla base di tali considerazioni, dunque, ed anche alla luce della complessiva situazione del XXXXXXXXXX, allevatore incensurato con moglie e figli all’epoca del sequestro, può dunque ritenersi, che, lo stesso, in considerazione della sua posizione nell’ambito del reato posto in essere, non abbia avuto la possibilità di prestare un’utile collaborazione con la giustizia; seppure le sue responsabilità non siano state inferiori a quelle dei compartecipi, nella complessiva gestione del sequestro, stante il ruolo da lui svolto, non gli fu consentito di conoscere quegli elementi rimasti oscuri nel corso del giudizio.
Se pertanto con riguardo a tale aspetto il reclamo può trovare accoglimento, nel merito deve rilevarsi che il programma trattamentale agli atti risulta piuttosto datato e non prevede aperture verso l’esterno, sì che, in relazione alla istanza di permesso premio, risulta opportuno rinviare al Magistrato di Sorveglianza, per quanto di competenza.
P.   Q.   M.
            sentito il solo difensore;
            visto il parere contrario del P.G.;
            visti gli artt. 58 ter, 70 legge 26/7/1975 n. 354 e succ. modif; 666, 677, 678 C.P.P;
ACCOGLIE
parzialmente il reclamo proposto da XXXXXXXXXX XXXXXXXXXX avverso il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza in data 24.4.2007 e per l’effetto dichiara che XXXXXXXXXX XXXXXXXXXX si trova nell’impossibilità di prestare una collaborazione oggettivamente rilevante alla luce del ruolo dallo stesso svolto nell’ambito del sequestro
R E S P I N G E
per il resto il reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Nuoro del 24.4.2007 presentato da XXXXXXXXXX XXXXXXXXXX.
 
Manda alla Cancelleria per quanto di competenza.
Così deciso nella camera di consiglio del 18 ottobre 2007.-
Il Presidente
(dr. G.A. Cau)
 
Il Magistrato estensore
(dr.ssa M. P. Vezzi)
 
 
 
Cancelleria dell’Ufficio di Sorveglianza
di Nuoro.
Ricevuto il
Il cancelliere
 
 

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