Abuso d’ufficio: abrogatio cum abolitio nel ddl Nordio

Nei giorni scorsi, al Senato, la Commissione Giustizia ha iniziato la votazione degli emendamenti al c.d. Disegno di legge Nordio, il quale prevede diverse modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare.
Più precisamente, in data 10 Gennaio 2023 la maggioranza ha approvato il testo che prevedere l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, previsto e punito ai sensi dell’art. 323 c.p. ed ha bocciato tutti gli emendamenti delle opposizioni.
Giova, pertanto, sin da subito evidenziare che, secondo i contrari, il principale rischio insito nel predetto intervento normativo sarebbe quello di sospetta incostituzionalità per contrasto con le previsioni inserite nei trattati internazionali e, in particolare, con la convenzione Onu di Merida contro la corruzione.
Tuttavia, al fine di meglio comprendere le ragioni sottese alle proposte avanzate con il Disegno di Legge, la presente disamina non può esimersi dall’analizzare le ragioni, anche storiche, della presenza nel codice penale del reato di cui all’art. 323 c.p. 
Per avere un quadro unitario delle varie riforme che si sono susseguite nel diritto e nella procedura penale e, quindi, della complessiva normativa vigente, si consiglia il seguente volume: Le riforme della giustizia penale

Indice

1. Inquadramento storico del reato di abuso d’ufficio


Fin dalla sua origine, l’art. 323 c.p. è sempre stato caratterizzato da un problema di compatibilità con il principio di precisione e determinatezza, in forza del quale le fattispecie penali devono essere descritte in modo chiaro, preciso e il più puntuale possibile, sì da poter orientare le scelte assunte scientemente dai singoli consociati.
La presenza, invece, di congeniti margini di elasticità nella fattispecie di cui al menzionato articolo è il risultato di una mai risolta tensione fra: da una parte, istanze di tipo legalitario che spingono verso un controllo a tutto tondo dell’operato della pubblica amministrazione atto a fungere da freno rispetto alla c.d. mala gestiomala administration; e, dall’altra parte, l’esigenza di evitare un’ingerenza pervasiva del Giudice penale sull’operato dei pubblici amministratori, fonte del fenomeno della burocrazia difensiva che ha portato alla c.d. paura della firma.
Pertanto, il rischio cui può andarsi incontro nell’attività di descrizione della fattispecie risulta essere duplice: infatti, laddove il perimetro del reato non venisse puntualmente circoscritto, si rischierebbe di creare una situazione di incertezza paralizzante nell’esercizio dell’azione amministrativa, con indebiti sconfinamenti del Giudice penale in ambiti caratterizzati da opinabilità e da libertà; viceversa, se quel perimetro risultasse ristretto in modo eccessivo ne conseguirebbe il rischio opposto dell’impunità, dell’inefficacia preventiva del controllo e, infine, della mala administration.
Proprio per evitare quest’ultimo fenomeno e, più in generale, in una logica di anticipazione della tutela, al fine di prevenire tutti quei fenomeni di tipo corruttivo, il Legislatore con la legge n. 190 del 2012 ha imposto alle singole amministrazioni di provvedere ad una rilevante pianificazione in tema di anticorruzione. La fattispecie penale dell’abuso d’ufficio rappresenta, infatti, uno dei reati c.d. spia rispetto a più ampie fattispecie corruttive.
Proprio al fine di approntare una più efficace tutela, l’art. 323 c.p. è stato nel tempo oggetto di numerose modifiche, le quali, schematicamente, possono essere riassunte nei seguenti passaggi storici:

  • Il reato di abuso d’ufficio viene previsto e punito per la prima volta nel Codice Rocco. Si configurava come una fattispecie descritta in modo molto generico, punita blandamente, a tutela anticipata, con la previsione del dolo specifico. Per integrare il reato era sufficiente la commissione, con abuso di poteri inerenti alle funzioni di pubblico ufficiale, di un qualsiasi fatto, perpetrato con lo scopo di recare ad altri danno o di procurare un vantaggio. Tuttavia, in considerazione anche della presenza di una clausola di riserva (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”), l’ambito applicativo del reato in esame risultava essere molto ristretto e circoscritto fra le ipotesi di interesse privato in atti d’ufficio e il peculato c.d. per distrazione. L’abuso d’ufficio veniva, quindi, all’epoca considerata una fattispecie ai margini del sistema dei reati contro la Pubblica Amministrazione. 
  • Successivamente la Legge n.146 del 1990 interviene sul reato di abuso d’ufficio, da un alto, estendendo la fattispecie anche agli incaricati di pubblico servizio e, dall’altro, prevedendo un doppio finalismo della condotta, la quale doveva essere diretta a procurare un ingiusto vantaggio proprio o altrui oltre ad un danno ingiusto, con un aggravio di responsabilità allorquando il vantaggio fosse di natura patrimoniale.
  • Soltanto con la Legge n. 234 del 1997 il Legislatore interviene per tassativizzare la fattispecie in esame, la quale presentava confini troppo estesi e non nitidi. Innanzitutto, la condotta posta in essere per dirsi abusiva doveva essere realizzata “in violazione di norme di legge o di regolamento”, in alternativa all’omessa osservanza di un obbligo di astensione; viene poi richiesta la patrimonialità del danno oppure del vantaggio ingiusto; e, infine, si costruisce la fattispecie come una fattispecie di danno con l’elemento soggettivo del dolo intenzionale. Nonostante il positivo intervento legislativo, gli effetti dell’attività di perimetrazione della fattispecie vengono fortemente minati dalla Giurisprudenza, la quale, attraverso un’interpretazione eccessivamente estensiva della norma, considera quali “violazioni di norme di legge”:
    • la violazione di norme procedimentali;
    • la violazione di norme di principio, compreso l’art. 97 Cost., nel cui alveo vengono ricomprese tutte le ipotesi in cui l’amministrazione pone in essere favoritismi;
    • la violazione dei principi dell’azione amministrativa codificati nell’art. 1 della legge 241 del 1990: efficienza, efficacia, economicità, etc.;
    • il c.d. sviamento di potere; 
    • la violazione di fonti sotto ordinate rispetto al regolamento ma dallo stesso implicitamente/esplicitamente richiamate.
  • Con la Legge anticorruzione n. 190 del 2012 viene innalzata la forbice edittale dell’abuso d’ufficio con la reclusione da uno a quattro anni. Tale modifica assume particolare rilievo in ragione della summenzionata clausola di riserva (“salvo che il fatto non costituisca più grave reato”) prevista in apertura all’art. 323 c.p.: all’aumento della risposta sanzionatoria è, infatti, conseguito un restringimento dell’ambito applicativo della clausola e, pertanto, un elevato numero di procedimenti iscritti per abuso d’ufficio.
  • Infine, con il D.L. n. 76 del 2020, convertito in Legge 120/2020, il Legislatore interviene nuovamente sulla formulazione della norma, non accontentandosi più della mera violazione di norme di legge o di regolamento, bensì prescrivendo “la violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge da cui non residuano margini di discrezionalità”. Il perimetro dell’abuso d’ufficio viene, quindi, notevolmente delimitato, in quanto non si richiama più né la violazione di generali norme di principio né, tantomeno, la violazione di norme di regolamenti. Viene inoltre salvaguardata la sfera della discrezionalità amministrativa al fine di evitare lo sconfinamento del Giudice penale all’interno dell’azione e dell’operato dei pubblici amministratori, questione che ha posto forti problematiche in punto di separazione dei poteri.

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Le Riforme della Giustizia penale

In questa stagione breve ma normativamente intensa sono state adottate diverse novità in materia di diritto e procedura penale. Non si è trattato di una riforma organica, come è stata, ad esempio, la riforma Cartabia, ma di un insieme di interventi che hanno interessato vari ambiti della disciplina penalistica, sia sostanziale, che procedurale.Obiettivo del presente volume è pertanto raccogliere e analizzare in un quadro unitario le diverse novità normative, dal decreto c.d. antirave alla legge per il contrasto della violenza sulle donne, passando in rassegna anche le prime valutazioni formulate dalla dottrina al fine di offrire una guida utile ai professionisti che si trovano ad affrontare le diverse problematiche in un quadro profondamente modificato.Completano la trattazione utili tabelle riepilogative per una più rapida consultazione delle novità.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB), giornalista pubblicista e cultore della materia in procedura penale. Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica Diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.

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2. Le novità introdotte dal Disegno di Legge Nordio e le problematiche ad oggi sul tappeto


Con il Disegno di legge Nordio assistiamo oggi ad un cambio radicale di prospettiva con riguardo al reato di abuso d’ufficio.
L’art. 1, comma 1, lett. b) del disegno di legge prevede, infatti, l’abrogazione secca dell’art. 323 c.p., quindi, una ipotesi di abolitio criminis, con tutte le conseguenze che ne discendono in tema di successione di leggi nel tempo.
Tuttavia, tale intervento normativo laddove venisse definitivamente trasformato in Legge potrebbe porre non pochi problemi che meritano di essere analizzati, in particolar modo con riguardo al rapporto con gli obblighi posti sia a livello internazionale, sia dall’Unione Europea.

  • Innanzitutto, occorre menzionare la sussistenza di una recentissima (2023) proposta di Direttiva dell’Unione Europea nella quale viene imposta la criminalizzazione dell’abuso d’ufficio; tale proposta verrebbe ovviamente disattesa laddove si procedesse nel senso dell’abolitio criminis del reato di cui all’art. 323 c.p. e comporterebbe, inoltre, ingenti costi, oltre che fratture dal punto di vista del diritto intertemporale, laddove la predetta fattispecie venisse poi nuovamente introdotta, con una differente formulazione, tra pochi mesi in forza di interventi additivi per spinte euro-unitarie. Del resto, anche in una logica di sistema, non può non osservarsi che tutti gli altri Stati appartenenti all’Unione Europea prevedono come reato l’abuso d’ufficio.
  • Ulteriore spinta verso l’incriminazione della fattispecie in esame proviene, altresì, da fonti di rango internazionale: in particolare, la Convenzione ONU contro la corruzione (adottata dall’Assemblea generale il 31 ottobre 2003, aperta alla firma a Merida dal 9 all’11 dicembre dello stesso anno, ed entrata in vigore a livello internazionale il 14 dicembre 2005),  con specifico riguardo alle misure penali -titolo III- pone, in capo agli Stati parte, l’obbligo di conferire carattere penale ad una vasta serie di infrazioni correlate ad atti di corruzione, qualora queste non siano già definite come infrazioni penali nel diritto interno. Inoltre, la Convenzione rende l’incriminazione imperativa rispetto ad alcuni specifici atti corruttivi, lasciando, invece, gli Stati membri liberi di individuare eventuali figure supplementari di infrazione. Ulteriore elemento innovativo della Convenzione risulta essere l’estensione del campo di applicazione: essa, infatti, non prende in considerazione solamente forme elementari e “classiche” di corruzione, bensì fa riferimento anche ad atti commessi allo scopo di facilitare la corruzione stessa, quali l’ostacolo al buon funzionamento della giustizia, il riciclaggio o la ricettazione di proventi della corruzione. In particolare, l’art. 19 della Convenzione si preoccupa del contrasto da parte degli Stati membri al fenomeno dell’abuso d’ufficio statuendo che “ciascuno Stato Parte esamina l’adozione delle misure legislative e delle altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale, quando l’atto è stato commesso intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un’altra persona o entità”.
  • Occorre, altresì, rilevare -quale ulteriore questione problematica sottesa al Disegno di Legge Nordio- che l’abolizione della fattispecie dell’abuso d’ufficio, quale ipotesi di reato c.d. spia di forme più generali di mala administration, porterebbe ad un inevitabile indebolimento della risposta sanzionatoria rispetto a fenomeni corruttivi, da intendersi integrati, non soltanto dal mercimonio della funzione pubblica, bensì, in senso più ampio, da tutte le condotte che ostano ad un’amministrazione come “casa di vetro”, la cui attività deve risultare trasparente ed imparziale nei riguardi dei privati. Sul punto deve evidenziarsi che, nonostante le condanne per incriminazioni ai sensi dell’art. 323 c.p. siano state pochissime (soltanto 18 nel 2021, a fronte di 4000 archiviazioni), non può non essere riconosciuto al reato di abuso d’ufficio un forte effetto deterrente e dissuasivo, effetto che verrebbe sicuramente meno laddove si procedesse all’abrogazione.
  • Inoltre, in ultima analisi, dal momento che il delitto di cui all’art. 323 c.p. risulta essere spesso contestato in concorso con altre ipotesi di reato (quali ad esempio, il peculato o l’omissione di atti d’ufficio), la sua abolitio criminis contrasterebbe, nei fatti, con la volontà espressa chiaramente dal Legislatore nel Disegno di Legge Nordio, ovverosia quella di evitare processi inutili e dannosi nei confronti dei funzionari pubblici. Il rischio conseguente all’abrogazione del reato di abuso d’ufficio sarebbe, quindi, di non poco rilievo: infatti, lo spazio oggi occupato dalla fattispecie in esame potrebbe andare ad integrare altre incriminazioni, le quali prevedono sanzioni magari anche più elevate (ad esempio, l’art. 353 e l’art. 353 bis c.p.). Ovviamente, in tali ipotesi, si applicherebbero le normali regole che disciplinano la successione di leggi penali nel tempo: le predette figure di reato rileverebbero, quindi, soltanto per i fatti futuri e successivi rispetto all’abrogazione dell’art. 323 c.p., mentre le condanne definitive pronunciate per abuso d’ufficio verrebbero revocate dal giudice dell’esecuzione, ai sensi del 673 c.p.p., per intervenuta abolitio criminis.

Pertanto, in conclusione, per comprendere al meglio la portata della proposta di riforma avanzata con il Disegno di Legge Nordio occorre tenere in stretta considerazione e in una logica di sistema tutti gli aspetti messi in evidenza.

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Susanna Maderna

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