Abuso di posizione dominante e interoperabilità: la CGUE sul caso Google-Enel

CGU: il rifiuto da parte di una piattaforma digitale dominante di garantire l’interoperabilità può configurare un abuso di posizione dominante.

Lorena Papini 26/02/25
Allegati

Con la sentenza sulla causa C-233/23, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Cgue) ha chiarito che il rifiuto da parte di una piattaforma digitale dominante di garantire l’interoperabilità con applicazioni di terzi può configurare un abuso di posizione dominante. In particolare, la decisione della Corte risponde a una questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato italiano nell’ambito del contenzioso tra Google e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm), che aveva inflitto una sanzione di oltre 100 milioni di euro al colosso digitale. Il tema centrale della pronuncia riguarda il bilanciamento tra la libertà delle imprese di gestire le proprie piattaforme e l’obbligo di garantire un accesso equo ai concorrenti, evitando pratiche anticoncorrenziali. Per approfondire, abbiamo organizzato il corso Data Act – Guida alle nuove regole per l’accesso e l’uso dei dati

CGUE – causa C-233/23

c233.pdf 148 KB

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Indice

1. L’interoperabilità negata come abuso di posizione dominante


La Cgue ha stabilito che un’impresa in posizione dominante non può negare l’interoperabilità di un’applicazione di terzi senza una motivazione fondata su ragioni di sicurezza o integrità della propria piattaforma. Il concetto chiave emerso dalla decisione è che l’abuso di posizione dominante può configurarsi anche se la piattaforma in questione non è indispensabile per il funzionamento dell’applicazione. Infatti, il vantaggio competitivo derivante dalla presenza su una piattaforma con grande visibilità e diffusione costituisce un elemento di rilevanza nel mercato digitale.
L’abuso si manifesta quando il rifiuto dell’interoperabilità ostacola la concorrenza e limita lo sviluppo del mercato, impedendo agli sviluppatori di terze parti di offrire servizi in condizioni paritarie. Tuttavia, la Corte ha precisato che il rifiuto può essere legittimo in determinate circostanze, come l’assenza di un modello per la categoria di applicazioni in questione o il rischio concreto che l’interoperabilità comprometta la sicurezza della piattaforma. In tal caso, l’azienda dominante ha il diritto di negare l’accesso o di sviluppare un modello compatibile entro un termine ragionevole, con eventuale corresponsione economica per tale attività.

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2. Il caso italiano: la controversia tra Google ed Enel


La vicenda sottoposta all’esame della Cgue riguarda il rifiuto di Google di garantire la compatibilità dell’app JuicePass, sviluppata da Enel, con il sistema Android Auto. JuicePass è un’applicazione che consente agli utenti di localizzare e prenotare stazioni di ricarica per veicoli elettrici, facilitando così l’accesso alle infrastrutture di ricarica. Per ampliare la propria visibilità e accessibilità, Enel aveva richiesto a Google di rendere l’app compatibile con Android Auto, il sistema che permette di integrare le app sugli schermi delle auto.
Google ha opposto un rifiuto, impedendo a Enel di adattare la propria app mediante i modelli di sviluppo (template) forniti dall’azienda per l’integrazione con Android Auto. Tale condotta è stata sanzionata dall’Agcm, che ha riconosciuto un abuso di posizione dominante, ravvisando nel comportamento di Google un ostacolo alla concorrenza nel settore delle applicazioni per la mobilità elettrica. L’azienda americana ha impugnato la decisione davanti al Consiglio di Stato, che ha rimesso la questione alla Cgue per ottenere un chiarimento sul corretto inquadramento giuridico del rifiuto di interoperabilità.

3. Implicazioni della sentenza e prospettive future per l’abuso di posizione dominante


La decisione della Cgue rappresenta un punto di svolta nella regolamentazione delle piattaforme digitali e nell’applicazione delle norme sulla concorrenza nel contesto digitale. La sentenza conferma che, sebbene un’impresa dominante non sia tenuta a concedere l’accesso alle proprie infrastrutture in ogni circostanza, il rifiuto non può essere pretestuoso né finalizzato a limitare la concorrenza. L’elemento discriminante è l’impatto che tale rifiuto ha sul mercato: se esso limita la capacità di un concorrente di svilupparsi e competere in modo efficace, può costituire un abuso di posizione dominante.
L’applicazione di questo principio avrà conseguenze rilevanti per le grandi piattaforme digitali, che potrebbero essere obbligate a garantire maggiore interoperabilità nei confronti di servizi terzi, specie nei settori caratterizzati da forte dipendenza tecnologica. Inoltre, la pronuncia potrebbe influenzare future decisioni delle autorità antitrust europee e nazionali, fornendo un quadro giuridico più chiaro per valutare eventuali pratiche anticoncorrenziali nel mondo digitale.

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Lorena Papini

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