Revoca degli affidamento e i piani di rientro

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I limiti posti dalla giurisprudenza

 

 

Sommario: 1. La risoluzione del contratto di credito e la richiesta di rientro: limiti; 2. L’art. 1845 co. 3 c.c.: controversia giurisprudenziale; 3. … l’esercizio del diritto di recesso: sindacabilità da parte dell’a.g.

  1. La risoluzione del contratto di credito e la richiesta di rientro: limiti

 

Un piano di rientro bancario è soggetto alla disciplina generale del codice civile e dalla banca d’italia.

innanzitutto il cliente ha il diritto di avere per iscritto le condizioni economiche applicate, per verificare che siano ottemperanti a in conformità del principio di trasparenza. Un’intimazione di pagamento che impone ad un’azienda di rientrare dell’affidato entro 1-15 giorni è legittima nella forma solo se a questa lettera viene seguita una pattuizione tra il cliente e la banca per pagare il debito in modo sostenibile; in caso contrario è possibile fare ricorso alle autorità giudiziaria al fine di porre sotto il suo sindacato la decisione della banca di revocare l’affidamento e richiedere il rientro entro termini non praticabili: il piano deve essere sostenibile.

sull’argomento è intervenuta la corte di cassazione, che con la sentenza n. 19792 del 19/09/2014 sancisce che nel conto corrente bancario, il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente, ove abbia natura meramente ricognitiva del debito, non ne determina l’estinzione, né lo sostituisce con nuove obbligazioni, sicché resta valida ed efficace la successiva contestazione della nullità delle clausole negoziali preesistenti

            se la banca concede un fido a un proprio cliente, non può revocarglielo senza una valida motivazione, anche se il contratto lo consente: questo perché, secondo una recente sentenza della cassazione [corte di cassazione, sez. I civile, sentenza 8 luglio – 24 agosto 2016, n. 17291], è vietato all’istituto di credito imporre al correntista “affidato” il rientro immediato nel debito con modalità impreviste ed arbitrarie. Tale comportamento, infatti, in grado di cogliere di sorpresa chi fa affidamento sulla apertura di credito della propria banca, può ledere il cliente.

come ha osservato la suprema corte (cass. 4538/1997), inoltre, nel caso di apertura di credito a tempo indeterminato “un problema di legittimità del recesso della banca per difetto di giusta causa neppure si porrebbe, alla stregua di quanto è previsto nella disposizione di legge già sopra riferita”. La corte osserva però che ciò “non implica la totale insindacabilità del modo di esercizio del diritto potestativo di recesso da parte della banca. Resta pur sempre da rispettare il fondamentale principio dell’esecuzione dei contratti secondo buona fede (art. 1375 c.c.), alla stregua del quale non può escludersi che, anche se pattiziamente consentito in difetto di giusta causa, il recesso di una banca del rapporto di apertura di credito sia da considerare illegittimo, ove in concreto esso assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari; connotati tali, cioè, da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai comportamenti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista creditizia per il tempo previsto, e non potrebbe perciò pretendersi sia pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate, se non a patto di svuotare le ragioni stesse per le quali un’apertura di credito viene normalmente convenuta” (cass. 4538/1997 e, in senso conforme: cass. 9307/1994; cass. 11566/1993; cass. 2642/2003) (in tal senso anche collegio di milano – decisione n. 8169 del 22 ottobre 2015).

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  1. L’art. 1845 co. 3 c.c.: controversia giurisprudenziale

l’art. 1845, 3° comma, c.c. Dispone in proposito che «se l’apertura di credito è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto, dagli usi o, in mancanza, in quello di quindici giorni». Il contratto invece stabilisce che: «la banca ha facoltà di recedere in qualsiasi momento, anche con comunicazione verbale, dall’apertura di credito, ancorché concessa a tempo determinato, nonché di ridurla o sospenderla; per il pagamento di quanto dovuto sarà dato al cliente, con lettera raccomandata, un preavviso di 2 giorni» (art. 4 delle condizioni generali di contratto).

la richiamata disposizione contrattuale, molto diffusa nella prassi bancaria, è oggetto di valutazioni contrastanti: si è in particolare contestata da parte di alcuni autori la validità della soppressione del preavviso nell’apertura di credito a tempo indeterminato, con orientamento condiviso anche da alcuni collegi territoriali dell’arbitro bancario finanziario (collegio di roma, n. 3877/13; collegio milano, n. 1172/16).  Sotto altro profilo, la clausola contrattuale in esame risulta controversa anche per quanto riguarda il potere concesso alla banca di esercitare il recesso mediante comunicazione solo verbale; previsione che sembrerebbe non conciliabile con il requisito della forma scritta per i contratti bancari, ricavabili dalle vigenti disposizioni in tema di trasparenza (collegio milano, n. 1172/16; e indirettamente cass., 24.06.2008, n. 17090). Infine, è orientamento ormai consolidato che la banca debba esercitare il diritto contrattuale di recedere anche senza giusta causa nel rispetto del principio generale di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto; principio violato allorquando le modalità di recesso prescelte dall’intermediario appaiano impreviste ed arbitrarie ed in contrasto con la ragionevole aspettativa del cliente (fra le altre, cass. 2-4-2005, n. 6923; cass. 6-8-2008, n. 21250) (in tal senso anche, collegio di napoli decisione n. 10596 del 01 dicembre 2016).

in ogni caso, il dovere di esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede, che certamente si impone alla banca anche nell’esercizio del potere di recedere liberamente dal rapporto di apertura di credito, determina se violato l’obbligo dell’intermediario di risarcire alla controparte il danno, e non la reviviscenza del fido (c.d. Responsabilità da rottura brutale del credito: cfr. Cass., 18.9.2009, n. 20106, richiamata anche dal ricorrente; cass., 6.8.2008, n. 21250)

già la cass. 15.2.2007 n. 3462 aveva rilevato che l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza è, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica. Una volta trasfigurato il principio della buona fede sul piano costituzionale diviene una specificazione degli “inderogabili doveri di solidarietà sociale” imposti dall’art. 2 cost., e la sua rilevanza si esplica nell’imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. Il criterio della buona fede costituisce quindi strumento, per il giudice, per controllare, sia in senso modificativo che integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi.

  1. … l’esercizio del diritto di recesso: sindacabilità da parte dell’a.g.

e’ noto peraltro come l’esercizio del diritto di recesso sia sindacabile in sede giurisdizionale (cfr. Cass, sez. Iii, 18 settembre 2009, n. 20106), ove possono essere valutate le circostanze accompagnanti l’esercizio di recesso alla luce di un giudizio di illiceità e abusività di tali modalità di esercizio.             Tuttavia, come questo collegio ha già avuto modo di osservare (decisione n. 210/2011) non è compito del giudice valutare le scelte imprenditoriali delle parti ma “solo” di avvalersi dello strumento della clausola di buona fede a garanzia di contemperamento di opposti interessi secondo i principi di solidarietà che trovano riconoscimento a livello costituzionale e che debbono concretizzarsi nelle regole civilistiche.

tra le scelte imprenditoriali che competono ad un intermediario bancario vi è anche quella di decidere attorno alla convenienza del mantenimento dei rapporti in essere e solo in presenza di dati certi e precisi che possano indurre a ritenere abusiva la condotta del recedente si può incidere sugli atti di esercizio della autonomia contrattuale e, conseguentemente, vincolare un soggetto imprenditoriale a proseguire un rapporto contrattuale da cui intende sciogliersi; così come si richiedono presupposti molto peculiari al fine di imporre un obbligo a contrarre (in tal senso collegio di milano decisione n. 7763 del 05 ottobre 2015).

la corte di cassazione, con sentenza 8 luglio 2016 n. 17291, ha accolto il ricorso, enunciando importanti principi di diritto in merito alla questione di quando può dirsi che la decisione della banca di recedere dal rapporto di affidamento in conto corrente possa dirsi del tutto “imprevista o arbitraria”.

rileva la corte, richiamando precedenti giurisprudenziali (cass. Sez. 1, sentenze nn. 9321 del 2000 e 4538 del 1997) che “in caso di recesso di una banca dal rapporto di credito a tempo determinato in presenza di una giusta causa tipizzata dalle parti del rapporto contrattuale, il giudice non deve limitarsi al riscontro obiettivo della sussistenza o meno dell’ipotesi tipica di giusta causa ma, alla stregua del principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, deve accertare che il recesso non sia esercitato con modalità impreviste ed arbitrarie, tali da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate”.

nella pubblicazione della banca d’italia: trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari e correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti domande frequenti sul provvedimento del 29 luglio 2009 e successive integrazioni (di seguito denominato “disposizioni”) si legge al paragrafo 3.1:  le disposizioni prevedono che i fogli informativi includano le clausole contrattuali che riguardano i tempi massimi di chiusura del rapporto (sez. Ii, par. 3). Viene chiesto di precisare se i contratti che attualmente non contengono alcuna clausola riguardante i tempi di chiusura debbano essere integrati. Si fa presente che le disposizioni hanno ad oggetto la trasparenza delle condizioni contrattuali e non disciplinano direttamente il contenuto dei contratti, in merito al quale valgono e regole stabilite dal tub. Pertanto l’inserimento nel foglio informativo dei tempi massimi di chiusura del rapporto è obbligatorio quando il contratto li prevede. Considerata l’importanza della definizione dei tempi di chiusura del rapporto, sia a fini di trasparenza che di tutela del cliente, si richiama peraltro l’opportunità che essi siano individuati con chiarezza e pubblicizzati nel foglio informativo.

Avv. Morini Giampaolo

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