Illecito amministrativo, depenalizzazione e funzione sanzionatoria

Redazione 24/10/17
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Il concetto d’illecito ed il suo graduale processo di differenziazione nelle diverse branche dell’ordinamento

Il ricorso al concetto di “illecito” è frequente, tanto nella letteratura giuridica quanto nel linguaggio comune. Siffatta assiduità lascia immaginare l’esistenza di una teoria generale dell’illecito molto stratificata, capace di procurare alla nozione in parola ascendenze dottrinali di grande spessore.

Invero, quando si procede nella ricerca delle definizioni dottrinali che meglio hanno qualificato il concetto 1, nel contesto dello studio del diritto, si ha la percezione netta che la scienza giuridica abbia prediletto definizioni generalissime, quasi al limite della banalità.

Illecito è “la violazione di un qualsiasi comando o di un qualsiasi divieto”, ovvero è “qualsiasi fatto che costituisca la trasgressione di una regola tale da diventare l’oggetto di una adeguata reazione dell’ordinamento”. La circostanza che la nozione generale di illecito sia estremamente generica non deve tuttavia far ritenere che essa riposi su una indolente carenza di sforzi da parte degli studiosi. Detta nozione, se riguardata storicamente per come poteva formarsi in un’epoca antecedente alla maturazione della differenziazione degli ordinamenti che è conseguita alla ripartizione dei poteri nello Stato moderno, non poteva che essere tale.

Solo quando gli ordinamenti si sono evoluti al punto tale da consentire una ripartizione di funzioni interna tra i poteri dello Stato, è diventato possibile parlare di illecito in senso più approfondito, ovvero ritraendo- lo nella peculiare area di interesse (civile, penale, ecc.), per i fini dalla stessa desumibili.

 

La legittimazione del Legislatore e l’incapacità di fornire all’operatore norme chiare: il vulnus alla funzione sanzionatoria

Nel precedente paragrafo è stato tratteggiato il tema della intersezione tra la competenza legislativa dello Stato e la competenza legislativa delle Regioni in materia di sanzioni amministrative.

Chiarito, sul piano del diritto costituzionale, che la competenza – segmentata per ambiti di materie cui afferiscono le sanzioni – a fissare precetti e sanzioni di contenuto amministrativo, resta oggi distribuita tra questi due livelli di legislazione, occorre porre un accenno al grave danno inferto alla sanzione amministrativa dalla incapacità di questi due livelli di legislazione di “scrivere” precetti chiari, ed idonei ad essere collocati nella sfera di una punizione che, come vedremo nel seguito, resta necessariamente collegata alla responsabilità colpevole dell’autore della condotta ed alla puntuale determinazione della predetta condotta. In altri termini, se è vero come è vero che il principio di legalità – che è alla base delle norme a matrice sanzionatoria – pretende la tipizzazione attenta e precisa delle fattispecie vietate (in omaggio al precipitato della predetta “legalità” rinvenibile nella nozione di tassatività”), è altrettanto vero che la delegittimazione della funzione sanzionatoria comincia nella fase genetica della norma che prevede la punizione stessa, ogni qual volta la condotta sia incerta, dai contorni sfumati o costantemente costruita in chiave omissiva.

Il deficit di efficacia del sistema sanzionatorio amministrativo: pecuniarietà senza alternative della pretesa e sua inidoneità

Concludendo le considerazioni generali sulla struttura dell’“illecito amministrativo”, sulla sua genesi e sulla sua efficacia, non può omettersi qualche breve considerazione in ordine alle prospettive “de iure condendo” della materia, da raccogliersi anche intorno alla esperienza applicativa, quasi quarantennale, del sistema strutturato sulla legge 24 novembre 1981, n. 689.

Orbene, a parere di chi scrive, il limite del sistema sanzionatorio amministrativo si caratterizza per due aspetti inesorabilmente negativi: 1) l’esclusiva pecuniarietà e patrimonialità della morsa sanzionatoria; 2) la carenza di misure interdittive extrapatrimoniali.

I contributi sono tratti da

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