Filosofia cognitiva

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            Si discute vivamente se i processi cognitivi umani sono semplici elaborazioni di informazioni (tesi della natura computazionale della cognizione) o, se con maggiore complessità, vi sia una indipendenza della elaborazione dell’informazione dalla materia del supporto su cui si realizza, (tesi del carattere astratto delle computazioni), nella prima ipotesi vi è una assimilazione al concetto di calcolo come processo ordinato di eventi i cui dati sono informazioni di qualsiasi tipo la cui elaborazione può avvenire anche inconsciamente, vi è comunque la necessità di individuare le regole in base alle quali avvengono le elaborazioni e se queste possono avvenire solo su supporti che abbiano le caratteristiche materiali del cervello umano, appare tuttavia esserci una realizzabilità multipla a più livelli delle attività umane da quelle sensoriali a quelle più complesse cognitive.

 

            Nella semantica formale il significato di una frase viene individuato dalle sue condizioni di verità, questo comporta da parte del soggetto ricevente la necessità di conoscere tutte le conseguenze logiche proprie della frase per poterla comprendere, tuttavia è chiaro che potendo essere innumerevoli ben difficilmente la mente umana del parlante sarà in grado di conoscerle tutte; la scienza  valuta ogni processo cognitivo come un processo di elaborazione di informazioni in funzione di un determinato tipo di calcolatore umano o artificiale che sia, si viene in tal modo a superare il paradigma del comportamentismo fondato sul rapporto stimoli/risposta (Watson – Skinner), vi è nell’essere umano qualcosa di più profondo che dà luogo a rappresentazioni interne e regole per la loro elaborazione, nell’intelligenza umana la sua ampia versatilità permette di superare le prestazioni legate ad un dominio ristretto ed è nell’analisi del contesto (problema del frame o della cornice) che emerge la plasticità umana, ogni sistema ha bisogno di una rappresentazione costantemente aggiornata dell’ambiente in cui agisce al fine di potere valutare le conseguenze dei cambiamenti e l’individuo possiede proprio la capacità di acquisirle rapidamente attraverso un rapido contatto ambientale, incrociandole con un serbatoio di conoscenze già acquisite e non esplicitamente catalogate (senso comune – Mc Carthy – Hayes).

 

            Si ha una elaborazione parallela distribuita nella rete neurale ( Rumelhart- McClelland) a differenza dell’elaborazione sequenziale di un sistema computazionale classico ( computer), nei sistemi connessionisti tuttavia, a differenza del tutto del cervello umano, il sistema è limitato solo ad alcuni processi cognitivi, questa superiore plasticità rende l’essere umano per ora capace di una migliore valutazione dell’ambiente, ossia del contesto in cui opera e della soluzione di problemi sovrapposti derivanti dall’interazione di vari fattori, la tesi di Church, per cui qualsiasi procedimento una volta sufficientemente analizzato può essere convertito in calcolo attraverso la digitalizzazione, resta per adesso una semplice ipotesi e non una tesi dimostrata, (Marconi); né il funzionalismo di Putnam ,in cui gli stati mentali vengono identificati attraverso la loro posizione in una sequenza di stati dotata di proprie leggi (ruolo funzionale), appare sufficiente se si considera il lato soggettivo non rientrante nel modello computazionale (Nagel), questo tuttavia non esclude quella parte di processi cognitivi oggettivamente interpretabili come elaborazioni di informazioni, resta comunque la dissociazione tra il processo cognitivo umano e una qualunque macchina di Turing incapace di generare quelli che Block definisce come “stati qualitativi”.

 

            Le rappresentazioni mentali sono oggetti della mente manipolabili da regole e come tali devono avere una “forma” che ne permetta l’identificazione con tutte le conseguenti proprietà, le regole non sono d’altra parte sempre esplicitate circostanza che impedisce una regressione all’infinito da regola a regola, vi è pertanto una difficoltà nel distinguere tra processo “conforme” o che “segue” una regola (Searle) a cui si aggiunge inoltre la difficoltà propria di distinguere tra processo cosciente o inconscio, ma accanto al problema delle regole sorge il problema della semantica delle rappresentazioni mentali, qui le soluzioni avanzate sono fondate sul ruolo funzionale delle rappresentazioni o al contrario di tipo causale.

 

            Nella prima ipotesi si afferma che la rappresentazione “deriva le sue proprietà semantiche dalla funzione che svolge nell’insieme dei processi cognitivi di un soggetto” (D. Marconi,  63, Filosofia e scienza cognitiva, Ed. Laterza 2001), per superare le difficoltà di una autoreferenza si includono nella rappresentazione anche tutte le connessioni con il mondo reale sia percettive che attive del soggetto, nella seconda ipotesi la soluzione causale sottolinea la relazione diretta tra rappresentazione di oggetti del mondo, sorgono problemi nel momento in cui la causalità risulta sfumata e non più netta tanto da indurre Fodor a proporre quale argomentazione una “dipendenza asimmetrica” nella relazione causale che spingerebbe verso una interpretazione direzionale.

 

            La rappresentazione diventa concetto con il fissare le condizioni di appartenenza ad una classe di oggetti, l’insieme di tali condizioni è l’intenzione del concetto mentre la classe che trae origine dalle condizioni è l’estensione del concetto stesso, l’esistenza di tutte le condizioni è necessaria ma anche sufficiente per l’esistenza dello stesso, la padronanza di un concetto non deve essere espresso obbligatoriamente in forma linguistica, d’altronde non tutte le parole esprimono concetti anche se Wittgenstein afferma che i concetti sono espressioni linguistiche usate secondo determinate regole.

 

            Superando la concezione classica della teoria dei concetti sopra esposta Wittgenstein afferma essere le parole non governate da condizioni necessarie e sufficienti, bensì da una rete di somiglianze (somiglianze di famiglia),   non si hanno quindi dei concetti quali enti mentali ma concetti come espressioni linguistiche governate nel loro uso da regole, Rosch rifacendosi alle “somiglianze di famiglia” di Wittgenstein rileva esserci dei punti centrali detti “prototipi”, attorno a cui ruotano le varianti e i collegamenti, queste varie versioni della rappresentazione come concetto non si escludono a vicenda ma si integrano passando da criteri rigidi a complessi di determinazione a identificazioni rapide mediante prototipi, si deve comunque considerare che vi è nel comunicare per iscritto o verbale un insieme di assunzioni che aggiunte agli elementi concettuali formalizzati si danno per scontate, ma tuttavia necessitano per comprendere correttamente l’informazione trasmessa.

 

            I teorici dei prototipi hanno sistematicamente confuso, come osservato da Rey, la funzione epistemologica del modo in cui i soggetti attraverso i concetti classificano le cose con la funzione metafisica, nella quale i concetti esprimono non il soggettivo ma la realtà effettiva del mondo, è prevalsa la visione esclusivamente psicologica fino a diventare assoluta, vi è stato quindi un recupero della teoria classica ad opera dei filosofi realisti relativamente ai concetti scientifici, mentre la teoria dei prototipi è stata riferita ai semplici concetti comuni, vi è una notevole difficoltà nel valutare le modalità o procedure interne di ragionamento dell’individuo, una volta che si distacchi dall’individuazione delle prestazioni derivanti da ben individuati compiti di ragionamento, emergono comunque dalle ricerche finora effettuate (Johnson – Laird, Kahneman – Tversky) grosse possibilità di errori di ragionamento, una imperfezione nella nostra capacità inferenziale naturale.

 

            Le teorie attraverso cui osserviamo il mondo diventano una lente attraverso cui deformiamo l’interpretazione degli eventi, se è chiaro che qualsiasi osservazione è correlata all’ambiente esterno alcuni studiosi (Kuhn e Hanson), rifacendosi al concetto di paradigma hanno sottolineato che l’osservazione è spesso condizionata circolarmente dalle assunzioni delle teorie stesse, Foucault porta agli estremi tali presupposti fino a dissolvere la natura umana e gli oggetti di cui è circondata in una produzione culturale di cui il linguaggio e le pratiche sociali ne sono l’espressione, in questa totalità si perde l’aspetto biologico dell’individuo, il linguaggio non si limita ad esprimere il pensiero ma viene a condizionarlo (tesi di Sapir – Whorf), esso è pertanto il cuore di una cultura e la forma del pensiero, si ha pertanto una dissociazione tra natura umana e l’essere umano nel sociale secondo la psicologia comportamentista, ma Chomsky dimostra esserci una profonda differenza tra apprendere le parole e la costruzione del linguaggio essendo i processi cognitivi propri dei meccanismi profondi e caratteristici della specie, senza  per questo far cessare la distinzione fra naturale e normale o fra naturale e obbligatorio o necessario.

 

            La regola assimilata alla norma è nel processo cognitivo elemento del processo decisionale di carattere procedurale, elaborabile autonomamente, ma è la rappresentazione del concetto che viene ad essere investita dagli aspetti culturali ed esperenziali, lo stesso concetto assume valenze diverse in relazione al contesto in cui agisce, e all’esperienza di colui che lo elabora, diritti ed obblighi hanno un minimo biologico ma non essendo valutabili scientificamente secondo la teoria classica, in quanto ampiamente imposto da bisogni biologici ed elaborazioni culturali, diventano dei prototipi dalle mutevoli ed ampie sfumature, sottoposte a pressioni culturali, ossia economiche, tecnologiche, ideologiche, del momento storico, circostanza che allo stato attuale ne rende problematica una trasposizione nell’I. A.

 

 

 

 

Bibliografia

 

  • J. Fodor, La mente modulare. Saggio di psicologia della facoltà, Il Mulino 1988;
  • J. Fodor, Concetti, Mc Graw Hill Italia, 1999;
  • D. Marconi, La competenza lessicale, Laterza 1999;
  • D. E. Rumelhart – J. L. Mc Clelland, Microstruttura dei processi cognitivi, Il Mulino, 1991;
  • T. Nagel, Questioni mortali, Il Saggiatore, 1988;
  • H. Putman, Rappresentazione e realtà, Garzanti, 1993;
  • N. Chomsky, Linguaggio e problemi della conoscenza, Il Mulino, 1991;
  • A. Turing, La filosofia degli automi, Bollati Boringhieri, 1994;
  • N. R. Hanson, I modelli della scoperta scientifica, Feltrinelli, 1978;
  • T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, 1969;
  • J. Searle, La riscoperta della mente, Bollati Boringhieri, 1994.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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