Alla ricerca di una scala di valori

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Secondo la critica realista la frammentazione di valori e di fini esistenti all’interno delle società contemporanee non permette una ricomposizione razionale di una classe di beni comuni ed interessi generali riconosciuti comunque dalla maggioranza (Schumpeter), ne consegue la formazione di un “mercato” di voti a cui i politici attingono addensando le singole volontà in una linea unitaria aderente a interessi del momento, questa conflittualità latente interna al sistema è contenuta da un pluralismo di “maggioranze sovrapposte” che permettono una rotazione di potere nella quale nessuna fazione deve essere sistematicamente svantaggiata (Dahl), vi è tuttavia alla base una limitazione derivante dalla mancanza di qualsiasi riferimento a valori motivanti che pure emergono nel quotidiano insieme e intrisi negli interessi individualistici o di gruppi ristretti (Habermas).

Nascono in contrapposizione e si affermano varie teorie deliberative nelle quali acquistano importanza le procedure di discussione pubblica e di trasmissione delle informazioni secondo prevalenti approcci proceduralisti (Anderson), questo tuttavia presuppone l’esistere di determinate condizioni sociali, economiche e culturali che permettono di attenuare l’interferenza sempre presente dei poteri economici e di quelli sociali (Bohman), naturalmente il processo democratico di formazione di una volontà comune base per un potere legittimato non comporta una assolutizzazione bensì una gradualità multilivello nelle quali convivono ampie fasce di dissenso, la formazione della volontà segue, a seguito dell’accrescersi tecnologico, strumenti differenti che vanno dai sondaggi alla e-democracy con aspetti più o meno formali, i quali tuttavia debbono nel loro carattere sperimentale riuscire a dialogare tra loro (Rosanvallon).

Il rapporto tra consenso e dissenso diventa quindi qualcosa di dinamico, in un complesso rapporto interazionale che viene a creare lo spazio politico democratico per l’istituzionalizzazione del dissenso stesso, dove il dissenso diventa una circostanza necessaria della frammentarietà sociale moderna (Dryzek, Niemeyer), resta tuttavia sempre l’urgenza della determinazione di una scala di valori fondamentali a cui riferirsi se non si vuole trasformare i rapporti sociali in una continua conflittualità, in questo la normale dialettica normazione politica/giurisprudenza non può essere sostituita da forzature dottrinali se non eccezionalmente, considerando che ogni diritto può nascondere in sé, se estremizzato, la negazione non solo di altri diritti ma dello stesso diritto in capo agli altri soggetti, come nell’ipotesi estrema del diritto di libertà trasformato in un arbitrio, tuttavia anche il reclamo di tutele giuridiche su specificità culturali può condurre attraverso il riconoscimento di diritti speciali a discriminazioni “positive”, tanto tra gruppi che all’interno di questi tra individuo e gruppo di riferimento, l’identità non coincide necessariamente a forme di riconoscimento giuridiche dove tra l’altro i due piani vengono a riarticolarsi dinamicamente (Ferraro) e le culture a ibridarsi tra loro, evitando quello che Sen definisce il ragionare secondo un “monoculturalismo plurale”, ma puntando su una legittimazione reciproca fondata sul riconoscimento e tutela di alcuni valori fondamentali in una necessaria visione del convivere (Habermas).

Anche le politiche di welfare pongono la necessità del riconoscimento di una scala di valori, dove nella pluralità attuale sorgono conflitti di valutazione, a fronte delle pressioni che si manifestano l’approccio neoliberista ritiene di risolvere il conflitto in termini di preferenze individuali e mediante ricorso al mercato, dove tuttavia si creano nuove progressive disparità il cui rimedio si risolve nella creazione di nuovi mercati, con nuovi costi di regolamentazione sia in termini finanziari che umani, vi è pertanto la necessità di un continuo raffronto economico e di qualità tra realtà pubblica e privata, la stessa natura umana è progressivamente sottoposta ad una naturalizzazione della manipolazione che viene vista negli estremi o come una manifestazione estrema di libertà, o come all’opposto la creazione di meccanismi di potere che si risolvono in una frammentazione precaria dell’individuo (Binmore, Butler).

Nella difficoltà di ottenere una lista di diritti economici che possa essere proprio economicamente sostenibile si è fatta larga l’idea che un ruolo centrale debba essere svolto dalla responsabilità nelle scelte individuali (Dworkin, Arneson), una responsabilità che deve investire anche i restanti diritti e le relative modalità d’uso, d’altronde l’estensione delle tipologie dei diritti incontra due opposte tesi, l’una estensiva che in essi legge un valore regolativo e programmatico (Beitz), l’altra minimalista in cui deve prevalere l’urgenza e l’inderogabilità al fine di fissare uno standard minimo di qualità umana (Raz), entrambe le ipotesi possono fornire il destro ad abusi sia da parte dei soggetti titolari che di quegli interessi economici e politici che colgono l’occasione per interventi diretti o indiretti di sostegno, tanto su aree geografiche deboli che su gruppi in difficoltà, al fine di ottenerne in realtà il controllo economico e politico.

Ogni diritto possiede anche un risvolto economico e quindi di sostenibilità finanziaria, considerando gli scenari tecnologici attuali su cui va ad impattare e di cui si avvale, in questo compenetrarsi dei vari diritti che progressivamente si accumulano vi è di fatto la radice di una conflittualità che il loro uso può comportare, sia nel reperimento delle risorse che nelle reciproche limitazioni, nasce pertanto la necessità di definire culturalmente prima che normativamente una scala di valori a cui raffrontare il proprio giudizio, al fine di regolamentare la sempre presente conflittualità insita nel riconoscimento dei singoli diritti riducendone per quanto possibile l’ampiezza, dobbiamo infatti considerare che l’interpretazione da deduttiva, a seguito di una instabilità normativa e pertanto culturale, diventa sempre più induttiva e quindi frammentata, determinando flessibilità e adattamento ma anche un portato di insicurezza e speculazione, la tecnologia stessa diventa elemento di mutazione sostanziale sia del concetto che dell’ampiezza dei diritti che si intende tutelare, venendo ad incidere sulle diverse visioni culturali che di essi si hanno e delle relative ricadute pratiche, dove può sorgere di fatto una incomunicabilità di valori.

Nella ricerca di un principio che possa facilitare una ricerca sulla scala dei valori, partendo dal concetto di giustizia, Rawels propone quale base il “principio di differenza” secondo il quale le diseguaglianze economiche e sociali vengono giustificate se servono ad assicurare un miglioramento a partire dagli ultimi, il principio di giustizia su cui si basa sottende di fatto un forte principio di libertà intesa non come arbitrio ma in rapporto alla collettività (Bodei), ma anche la capacità di privarsi nell’immediato per “sperare”, quale opposto alla volontà di volere tutto e immediatamente.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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