Domanda di servizi ed etica

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Turner nel suo saggio “Just Capital”, ci ricorda che i risparmi realizzati con una maggiore efficienza per quanto apprezzabili non sono sufficienti a coprire i livelli di spesa pubblica, in quanto “ l’aumento della domanda impone anche di definire seriamente quali sono gli obiettivi essenziali” ( 300), distinguendo tra servizi essenziali e non essenziali.

La domanda di cure sanitarie è pressoché illimitata anche grazie ad una ricerca scientifica sempre più estesa e ad una maggiore coscienza individuale, ma è pressoché impossibile aumentare la spesa senza dover superare un limite di tassazione accettabile con effetti economici fortemente disincentivanti; ugualmente in fatto di istruzione, dove garantita l’ istruzione primaria e secondaria, per quella superiore sarà necessaria una sempre maggiore partecipazione del singolo per tipologia, considerati i costi ed i futuri possibili guadagni, occorrerà in altri termini mettere a fuoco gli obiettivi essenziali in particolare nel campo della sicurezza sociale ( Turner).

Pressioni lobbistiche di gruppi interessati, corruzione elettorale e inerzia di spesa si affiancano alla sempre maggiore richiesta di servizi da parte dell’elettorato, problematico diventa quindi per chi governa porre limiti alla spesa pubblica e regole stringenti senza che venga definita ed accettata dalla morale pubblica una linea di confine tra servizi essenziali e servizi non essenziali.

Possiamo partire dalla definizione di povertà, cercando in essa una prima razionale distinzione.

Questa può definirsi come l’impossibilità di soddisfare i bisogni fondamentali o primari, distinguendo per tale via una povertà assoluta da una povertà relativa derivante dall’ineguaglianza economica, Sen individua tre fasi entro cui esaminare il concetto di povertà: quella dei bisogni, nella quale si definisce quale lista esaminare, con quale metodo si intendono appagare i bisogni innanzi individuati, infine quali i beni e servizi richiesti, in tal modo superando l’aspetto puramente economico e allargando l’indagine alle nuove forme di povertà per emarginazione e indigenza socioculturale.

Comportamenti di politica economica virtuosi hanno un doppio effetto non solo economico ma anche etico, in quanto nell’aumentare le risorse messe a disposizione ne migliorano la qualità d’uso e per tale via si riverberano in un miglioramento delle condizioni per le classi più emarginate.

Il concetto di povertà viene a incrociarsi con quello dei diritti di cittadinanza e quindi a porre il problema del livello dei servizi da offrire in stretto rapporto al concetto sociale di giustizia, che assume pertanto una problematica etica dai profondi riflessi economici.

Correttamente Sandel pone la questione dei limiti del mercato, quando tutta l’economia viene assorbita da un mito del mercato che si impone anche in settori economici che non possono rientrare esclusivamente nel suo campo, quale sanità e istruzione, in quanto elementi portanti per la cittadinanza effettiva di una comunità, tuttavia il rimettersi esclusivamente ad esso è il risultato di una incapacità culturale di gestire economicamente i servizi in termini pubblici corretti e nella mancanza di una efficace miscellanea tra pubblico e privato.

Sandel richiama due valori fondamentali per la nostra società democratica: l’eguaglianza e la moralità. La prima viene meno nel momento in cui tutto diviene oggetto di mercato estendendosi ad elementi essenziali della qualità della vita, fino a rendere il prevalere della ricchezza strutturale in una società ineguale nella quale la differenza di reddito pervade ogni aspetto del vivere, la seconda è quello che impedisce il degradare di certi valori sociali ad elementi di mercato a prescindere dalle condizioni economiche soggettive, in cui la moralità ancor più dell’eguaglianza diventa colla del sistema sociale.

Come ci ricorda Viano non esiste nessuna tecnica automatica che consenta una scelta collettiva condivisa, quando viene meno una morale privata relativamente omogenea e le istituzioni di socializzazione ( chiese, partiti e associazioni) perdono le loro funzioni primarie di sintesi, l’area pubblica diventa incerta tirata a piacimento dalle varie lobby e interessi.

La creazione di valori condivisi diviene necessariamente oggetto di una azione politica di mediazione, ma anche di informazione e persuasione base della dialettica tra tecnici, economisti, ricercatori, lobbisti e associazioni istituzionalizzate o meno di cittadini, un dibattito che viene a incrociarsi con il concetto di giustizia da ciascuno portato.

La crisi finanziaria si riflette, oltre che in una crisi economica, nella necessità di definire una scala di valori morali su cui classificare i servizi offerti al fine di definirne la loro essenzialità, l’impossibilità di espanderne l’offerta onnicomprensiva obbliga a scelte, si che è lo stesso mercato finanziario che ci obbliga a definire un metro etico su cui misurare il rapporto costi/benefici; questo in un contesto socio-economico in cui per il singolo individualista l’accontentarsi è impossibile e il movimento del desiderio necessitato è fondamentale per il sistema economico con una conseguente forte riduzione del senso comunitario, sebbene alla stessa comunità si richiedano sempre nuovi servizi ( Bauman).

La definizione dei valori su cui programmare le scelte coinvolge anche il nostro senso di giustizia dibattuto tra una supervalutazione dell’ego e le necessità finanziarie della comunità, ossia tra una spinta liberista estrema e un limite economico alla tassabilità in rapporto ai debiti pubblici creati e agli interessi associati presenti nella comunità.

La giustizia è stata intesa in epoca moderna quale ricerca della reciprocità, per cui ognuno deve attendersi dagli altri quanto gli altri si attendono da lui ( Hobbes), ma questo viene a porre un limite all’individualismo stesso e in termini economici pone la domanda di quale valore diamo al servizio pubblico specifico in esame in rapporto al valore sociale ma anche economico della persona nel contesto finanziario in cui viviamo, la valutazione non è più assoluta ma relativa distinguendo tra principi teorici e valutazioni pratiche in cui i primi sono ancoraggi non rigidi ma elasticizzati delle valutazioni economiche.

Il rapporto costi/sostenibilità presuppone innanzi tutto una valutazione culturale dei valori oggetto della sostenibilità stessa e solo successivamente il livello dell’impegno.

Khun parlava della scienza in termini di “paradigmi” sostenendone l’incommensurabilità, lo stesso può dirsi per i paradigmi di valori i quali forniscono un significato al mondo e a quello che noi osserviamo , in altre parole il mondo si forma attraverso operazioni cognitive che descrivono la nostra esperienza e mediante una molteplicità di sistemi simbolici forniscono una delle verità possibili, consegue che un fatto è tale solo in relazione ad una categoria ricompresa in una data cultura.

All’interno di un sistema culturale si creano le interazioni tra i singoli e le relazioni di corrispondenza con il mondo esterno, il corpo di valori posto alla base permette la costituzione di un pensiero di secondo livello che crea e definisce delle “immagini” di valori.

Che cosa è la cultura se non un complesso di atteggiamenti, istituzioni, idee, tecniche e manufatti elaborati per soddisfare i bisogni umani di una comunità, la necessità di soddisfare tali bisogni, distinti tra bisogni primari e derivati come già individuati ed elencati da Malinowski, conduce da una parte ad accumulare conoscenza e valori da una generazione alla successiva, dall’altra a reinterpretare e adattare in modo da ottenere un nuovo equilibrio al presentarsi di nuove esigenze, si vengono in tal modo a contrapporsi tradizioni e inculturazione.

La trasformazione deve avvenire salvando l’identità, quale percezione che si ha di se stessi in termini di conoscenze e valori nella visione del mondo, questo avviene attraverso un complesso di relazioni funzionali entro cui l’individuo è calato e in cui si riconosce ed è riconosciuto, si deve ricordare che la completa omologazione porta alla disgregazione della personalità ecco quindi la necessità di un sistema di idee e di valori.

Ci ricorda Lévi Strauss che nell’uomo tutto viene filtrato da norme logiche e affettive di carattere culturale ed anche quello che ci appare proprio del dominio sensoriale è in realtà condizionato da strutture culturali, da questo nasce il sistema di simboli che caratterizzano ciascuna cultura, veicolati sensorialmente ma mediati dal pensiero.

Nella comunicazione umana, di cui la cultura ne è il frutto, bisogna affiancare l’elemento biologico, ma è la lingua che permette di classificare la realtà fisica e sociale elaborando modelli comportamentali condivisi dalla comunità ( Sapir, Benedict), circostanza che fa sì che un debito o un deficit, un’ assistenza o un abbandono, acquistino significati diversi in contesti culturali diversi e solo lo scontro/raffronto permette l’inculturazione necessaria a far sì che i sistemi dialoghino fra loro secondo i parametri dati dalle risorse disponibili e dai bisogni primari individuati.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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