CORTE COST. ORD. 19/12/2008 n. 427: SPESE PROCESSUALI Art. 23, c. 11, L. 24/11/1981, n. 689

sentenza 08/01/09
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Anche se con una pronuncia di “inammissibilità” la Corte costituzionale consente, quanto meno implicitamente, una interpretazione innovativa della citata norma.
 Alla pubblica Amministrazione, nei processi concernenti sanzioni amministrative, anche se rappresentata e difesa da propri dipendenti (non da avvocati), potrebbero essere riconosciute – con un’interpretazione della citata norma conforme ai principi costituzionali – le stesse spese processuali (diritti ed onorari) previsti per i ricorrenti assistiti e difesi da avvocati   (non solo quindi, secondo l’orientamento giurisprudenziale “consolidato”, le c.d. “spese vive” e cioè quelle effettivamente sostenute e documentate).
 
ORDINANZA N. 427
ANNO 2008
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE COSTITUZIONALE
 
composta dai Signori:
– Giovanni ***********      Presidente
– ******************        Giudice
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– ***************                    "
– ***** ***********                   "
– ****************                   "
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– *********** **********       "
 
ha pronunciato la seguente
 
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma undicesimo, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con ordinanza del 30 ottobre 2007 dal Giudice di pace di Milano nel procedimento civile vertente tra ********************** e il Comune di Milano, iscritta n. 166 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2008.
    Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    udito nella camera di consiglio del 22 ottobre 2008 il Giudice relatore ***************.
    Ritenuto che con ordinanza del 30 ottobre 2007, notificata il 12 febbraio 2008 ed iscritta al numero 166 del registro ricorsi dell’anno 2008, il Giudice di pace di Milano solleva, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma undicesimo, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), in quanto – in relazione ai giudizi che questa disciplina – non prevede che «nella liquidazione delle spese a favore dell’Ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato, ivi previsti»;
    che, in punto di fatto, il rimettente chiarisce di dovere decidere in ordine all’opposizione proposta avverso una sanzione amministrativa per violazione del codice della strada ed, in particolare, stante l’infondatezza della stessa, in ordine alla domanda dell’amministrazione comunale costituita di condanna dell’opponente al pagamento delle spese processuali;
    che il rimettente rileva che l’art. 23, comma 11, della legge n. 689 del 1981, prevede la condanna dell’opponente al pagamento delle spese del procedimento e riferisce un «consolidato orientamento interpretativo», secondo cui queste sarebbero (non tutte le spese processuali, ma) solo le spese effettivamente sostenute e documentate da parte dell’amministrazione resistente;
    che, secondo tale indirizzo giurisprudenziale, pertanto, la domanda dell’amministrazione comunale resistente nel giudizio a quo potrebbe essere accolta limitatamente a tali minore somme;
    che tuttavia, sempre secondo il rimettente, si dovrebbe ritenere che l’art. 23, comma 11, della legge n. 689 del 1981 si ponga in contrasto con « il principio uguaglianza (o di ragionevolezza)», in relazione alla diversa disciplina dettata dall’articolo 15, comma 2-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), secondo la quale, nei processi davanti le commissioni tributarie, alla liquidazione delle spese a favore dell’ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti;
    che, a parere del rimettente, la diversità tra le due discipline non avrebbe alcuna razionale giustificazione e, per ricondurre a ragionevolezza il sistema, dovrebbe estendersi anche ai giudizi di opposizione alle sanzioni amministrative la richiamata regola valevole per i giudizi innanzi alle commissioni tributarie: «[a] meno che non si ritenga preferibile perpetuare la situazione attuale in cui il ricorrente non viene mai condannato al pagamento delle spese processuali, neanche quando presenta ricorsi immotivati o ictu oculi infondati, mentre la pubblica Amministrazione, in molti dei casi in cui il ricorrente è assistito da un avvocato, può essere condannata e – in alcuni casi – viene condannata al pagamento delle spese processuali»;
    che tale situazione «di fatto e di diritto» sarebbe «forse incompatibile anche con il principio di parità delle parti, previsto dall’art. 111, comma 2, Cost.» e spiegherebbe, anche se non giustificherebbe, la tendenza delle amministrazioni a non partecipare alle udienze e «non di rado» ad ignorare anche l’ordine del giudice di depositare in cancelleria copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento, nonché alla contestazione o notificazione della violazione: tendenza, questa, che, a sua volta, verrebbe a fare sembrare il giudice, «che dovrebbe essere ed apparire obiettivo ed imparziale», quale «controparte» del cittadino;
    che il rimettente afferma, inoltre, che potrebbe sostenersi l’applicazione analogica dell’articolo 15, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 546 del 1992, in tutti i processi (e quindi anche nel giudizio a quo) in cui una pubblica amministrazione sia rappresentata e difesa in giudizio da propri funzionari, ma «considerata la rilevanza anche “politica” della questione e pur consapevole che un mutamento dello status quo possa nuocergli, ritiene che la soluzione debba passare attraverso un giudizio di legittimità costituzionale»;
    che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato un atto di intervento nel quale assume l’inammissibilità e l’infondatezza della questione;
    che, a parere della difesa erariale, la questione sarebbe inammissibile, in quanto il giudice rimettente non avrebbe «in alcun modo» esaminato la possibilità di dare alla norma censurata una interpretazione conforme ai principi costituzionali asseritamente violati: in particolare, non avrebbe valutato l’applicabilità della disciplina recata dagli artt. 91 e seguenti del codice di procedura civile ad un rito, quale quello relativo all’opposizione alle sanzioni amministrative, avente comunque natura di giudizio ordinario di cognizione;
    che il richiamo alla diversa disciplina dettata dall’art. 15, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 546 del 1992 sarebbe, invece, inconferente, atteso il suo carattere speciale, come tale inestensibile.
    Considerato che il giudice di pace di Milano solleva, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma undicesimo, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), in quanto non prevede che «nella liquidazione delle spese a favore dell’Ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato, ivi previsti»;
    che la prospettazione del rimettente, non è adeguatamente motivata in ordine alla non manifesta infondatezza della questione, ed è altresì contraddittoria, risolvendosi, per un verso, in una richiesta di avallo interpretativo, per un altro, nella deduzione di meri inconvenienti di fatto derivanti da una certa applicazione della norma censurata;
    che il rimettente (specie alla luce del precedente costituito dalla ord. n. 130 del 2005 di questa Corte) non ha valutato la possibilità di una interpretazione della norma censurata conforme ai principi costituzionali che egli assume violati;
    che, pertanto, la questione è inammissibile.
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
 
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
    dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma undicesimo, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe.
 
    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2008.
 
F.to:
Giovanni ***********, Presidente
***************, Redattore
*****************, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2008.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI *****

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