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Indice
1. La vicenda: la crisi del General Contractor per il Superbonus e il recesso
Un condominio affidava, con contratto sottoscritto il 23 novembre 2023, l’esecuzione di lavori di consolidamento statico ed efficientamento energetico del caseggiato a una società appaltatrice, operante come General Contractor, con l’intento di beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dal Superbonus 110%. Il contratto prevedeva come termine ultimo per la conclusione dei lavori il 31 marzo 2024. Al momento della firma, il committente versava un deposito cauzionale di 20.000 euro, come previsto dall’allegato 3, che doveva essere restituito in sede di liquidazione dell’ultimo SAL.
Lo stesso allegato faceva riferimento a lavori parziali già eseguiti da un’impresa precedente, cui la società appaltatrice subentrava, assumendosi l’impegno di contabilizzare e liquidare il SAL maturato, con restituzione alla committenza di un ulteriore importo di 20.000 euro, relativo al precedente deposito cauzionale. In data 28 e 29 dicembre 2023, la società contabilizzava il primo SAL, emettendo le relative fatture, ma da quel momento interrompeva ogni attività, senza fornire alcuna spiegazione. Il committente, pur sollecitando più volte la ripresa dei lavori, non riceveva alcun riscontro. Il condominio concedeva proroghe rispetto alla scadenza originaria e proponeva di limitare gli interventi alle opere impiantistiche e agli infissi, pur di salvaguardare il beneficio fiscale. Ipotizzava persino una riduzione dell’entità dei lavori, ma la società appaltatrice rimaneva del tutto inattiva.
Di fronte a tale inerzia, il committente proponeva, la sottoscrizione di una convenzione di negoziazione assistita, ma anche questa iniziativa non riceveva alcuna risposta. Il condominio formalizzava una diffida ad adempiere, fissando il termine ultimo per la conclusione dei lavori al 30 settembre 2024. Anche tale diffida non produceva alcun effetto.
Di conseguenza il committente chiedeva al Tribunale di accertare e dichiarare l’inadempimento della società appaltatrice e, di conseguenza, di disporre la restituzione delle somme anticipate, come previsto dal contratto. Il condominio faceva presente che risultava esperito il tentativo obbligatorio di negoziazione assistita, nel rispetto della normativa vigente, senza che si giungesse a una soluzione condivisa.
L’impresa appaltatrice sosteneva che il mancato completamento dei lavori non dipendeva da una propria inadempienza, ma da eventi imprevedibili legati al blocco delle cessioni dei crediti fiscali introdotto dal D.L. 39/2024, che aveva causato una crisi di liquidità nel settore. Secondo la sua ricostruzione, il committente non poteva più accedere al Superbonus, modalità principale di pagamento prevista nel contratto, e in base alle clausole contrattuali, in assenza di agevolazioni, il corrispettivo doveva essere versato tramite bonifico bancario. L’impresa riteneva che il recesso del committente non fosse una risoluzione per inadempimento, ma un recesso unilaterale ex art. 1671 c.c., che le dava diritto agli indennizzi per le opere eseguite e il mancato guadagno. Contestava inoltre la richiesta di restituzione delle cauzioni e la liquidazione dei SAL, ritenendo che le condizioni contrattuali non fossero state rispettate. La convenuta chiedeva quindi il rigetto della domanda e il riconoscimento dei propri diritti, con condanna alle spese. Per un supporto ai professionisti che si trovano ad affrontare ipotesi di contenzioso in materia di bonus edilizi ed in particolare di Superbonus 110% consigliamo il volume “Come gestire il contenzioso dei bonus edilizi -Guida pratica con 110 casi risolti”, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.
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2. La questione
Il recesso esercitato dal committente deve essere qualificato come recesso unilaterale ex art. 1671 c.c., con conseguente diritto dell’impresa agli indennizzi contrattuali?
3. La soluzione
Il Tribunale ha dato ragione al condominio. Il giudice marchigiano ha accertato l’inadempimento dell’impresa appaltatrice, che ha interrotto i lavori senza giustificazione. Lo stesso giudice ha evidenziato i ripetuti solleciti del condominio per la ripresa dei lavori da parte dell’impresa appaltatrice, fino a giungere, nel luglio 2024, all’invio di una formale diffida ad adempiere ai sensi dell’art. 1454 c.c. Trascorso inutilmente il termine concesso, a parere del Tribunale, il contratto si è risolto di diritto, con conseguente diritto del committente alla restituzione delle cauzioni versate (mentre l’impresa non ha alcun diritto a indennizzi o compensazioni). Alla luce di quanto sopra, secondo il giudicante il condominio ha diritto ad ottenere la restituzione delle somme anticipate, come da documentazione prodotta.
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4. Le riflessioni conclusive
Come ha chiarito la Cassazione il recesso dal contratto d’appalto ai sensi dell’art. 1671 c.c. può essere esercitato dal committente ad nutum, in qualunque momento successivo alla conclusione del contratto (purché prima del compimento dell’opera), anche per sfiducia verso l’appaltatore per ragioni di inadempimento. L’esercizio del diritto di recesso da parte del committente ai sensi dell’art. 1671 c.c. non preclude la facoltà di quest’ultimo di richiedere la restituzione degli acconti versati all’appaltatore, nonché di richiedere il risarcimento dei danni patiti in conseguenza delle condotte inadempienti di quest’ultimo in corso d’opera (Cass. civ., sez. II, 08/01/2024, n. 421).
Se il committente si avvale della facoltà di recedere, l’unica condizione che l’art. 1671 c.c. espressamente disciplina è l’indennizzo che questi deve corrispondere all’appaltatore: per le spese sostenute, i lavori eseguiti e il mancato guadagno (Trib. Roma, sez. XI, 14/05/2014, n.10617). Nella vicenda esaminata non si è verificato un recesso volontario del committente ma una risoluzione per inadempimento dell’appaltatore che non poteva avanzare pretese di indennizzo, né eccezioni di compensazione. In ogni caso il Tribunale ha sottolineato che il blocco delle cessioni dei crediti, invocato dalla resistente come causa non imputabile che avrebbe impedito la prosecuzione dei lavori, non costituiva, in concreto, un ostacolo giuridico tale da configurare una causa di forza maggiore o un fatto del principe. L’impresa, se davvero impossibilitata a proseguire, avrebbe potuto attivare le clausole contrattuali di revisione previste dal contratto di appalto, rinegoziando tempi, modalità e condizioni economiche con il committente.
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