Il presente contributo analizza il Rapporto della Commissione internazionale indipendente d’inchiesta sui Territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est, e su Israele (ONU, A/HRC/57/73), presieduta da Navi Pillay. Il documento, adottando categorie giuridiche vincolanti, conclude che esistono elementi materiali e soggettivi del crimine di genocidio ai sensi della Convenzione del 1948. Vengono illustrati l’iter istituzionale del rapporto, i suoi effetti giuridici e politici, nonché le implicazioni per la responsabilità degli Stati terzi. Si evidenziano inoltre le ricadute diplomatiche, con riferimento al dibattito arabo sull’ipotesi di una forza di interposizione e alla posizione prudente assunta dall’Italia.
Indice
1. Il contenuto giuridico del Rapporto ONU A/HRC/57/73
La pubblicazione del “Report of the Independent International Commission of Inquiry on the Occupied Palestinian Territory, including East Jerusalem, and Israel” (Rapporto della Commissione internazionale indipendente d’inchiesta sul Territorio palestinese occupato, compresa Gerusalemme Est, e su Israele), documento ONU A/HRC/57/73, rappresenta un passaggio decisivo nel diritto internazionale. Il testo, lungo 75 pagine, non adotta un registro politico o retorico, ma utilizza categorie normative precise.
Nei paragrafi 41-52, la Commissione documenta:
- uccisioni sistematiche e diffuse di civili;
- inflizione di gravi danni fisici e psicologici;
- distruzione deliberata di ospedali, cliniche di maternità e presidi sanitari;
- imposizione di condizioni di vita tali da rendere impossibile la sopravvivenza del gruppo palestinese.
«Le prove raccolte indicano una condotta coerente e deliberata di distruzione, che soddisfa i requisiti dell’art. II della Convenzione sul genocidio» (Rapporto ONU, § 51).
Nei paragrafi 60-65, sono riportate dichiarazioni di leader israeliani che parlano apertamente di “distruzione totale” di Gaza e di “annientamento” dei palestinesi. La Commissione qualifica tali affermazioni come indicatori dell’intentio necandi, ossia della volontà di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale.
La giurisprudenza internazionale conferma questo approccio. La Corte internazionale di giustizia (ICJ), nel caso Bosnia and Herzegovina v. Serbia and Montenegro (2007), ha stabilito che l’intento genocidario può essere dedotto dal contesto fattuale e dalle dichiarazioni ufficiali. Lo stesso orientamento è stato seguito dal Tribunale penale internazionale per il Ruanda nel caso Akayesu e dall’ICTY nel caso Krstić. In dottrina, Schabasⁱ, Sands² e Cassese³ hanno ribadito che il genocidio deve essere trattato come categoria operativa, non come concetto astratto.
Potrebbero interessarti anche:
2. L’iter istituzionale e la responsabilità degli Stati terzi
Il Rapporto non ha valore vincolante automatico, ma segue un percorso procedurale chiaro. Trasferito al Consiglio per i diritti umani, può essere discusso e approvato. Da qui si aprono tre canali:
- l’Assemblea generale, che può adottare risoluzioni o chiedere pareri consultivi alla Corte internazionale di giustizia (art. 96 Carta ONU);
- il Consiglio di sicurezza, che può adottare decisioni vincolanti, comprese sanzioni o deferimenti alla Corte penale internazionale;
- i tribunali internazionali, che possono utilizzare il Rapporto come prova nei procedimenti in corso.
«Il Rapporto Pillay fornisce alla comunità internazionale una base probatoria che elimina ogni alibi di ignoranza: la mancata azione configurerebbe un deficit di responsabilità collettiva» (Rapporto ONU, § 72).
Particolarmente rilevante è la questione della responsabilità degli Stati terzi. La Convenzione sul genocidio del 1948, come interpretata dalla ICJ, obbliga tutti gli Stati non solo a non commettere genocidio, ma anche a prevenirlo e a non diventarne complici. La fornitura di armi, intelligence o sostegno politico a Israele, in presenza di un rischio concreto di genocidio, può configurare una violazione del diritto internazionale. Dottrina consolidata (Condorelli⁴, Gaeta⁵, Higgins⁶) ha chiarito che questo obbligo comporta una due diligence rafforzata, che impedisce agli Stati di restare neutrali o di nascondersi dietro presunte incertezze probatorie.
3. Le ricadute diplomatiche: mondo arabo e Italia
Gli effetti politici sono già visibili. Alcuni Stati europei e latinoamericani hanno sospeso forniture militari a Israele, altri hanno intensificato la pressione per cessate il fuoco e corridoi umanitari sicuri. Nel mondo arabo si discute apertamente della creazione di una forza di interposizione araba o arabo-internazionale, con mandato ONU o Lega araba, incaricata di proteggere i civili e garantire accesso agli aiuti. Un progetto complesso, che richiama esperienze precedenti come UNIFIL in Libano, ma che dimostra la volontà di passare da dichiarazioni di principio a soluzioni operative.
L’Italia, come molte capitali europee, mantiene un approccio prudente: sostiene la necessità di soluzioni multilaterali, apprezza il piano arabo per la ricostruzione e manifesta crescente preoccupazione per la crisi umanitaria. Tuttavia evita di utilizzare la categoria giuridica di “genocidio” e non assume iniziative autonome, restando in equilibrio tra vincoli euro-atlantici e sensibilità interne.
In definitiva, il Rapporto Pillay non pronuncia verdetti, ma crea le condizioni per decisioni vincolanti. Se le istituzioni internazionali non agiranno, la conseguenza sarà duplice: un aggravamento della crisi sul terreno e un indebolimento della credibilità stessa del diritto internazionale. Come ammoniva Cassese, «il diritto internazionale perde senso se non sa reagire quando i suoi strumenti più severi sono messi alla prova».
Vuoi ricevere aggiornamenti costanti?
Salva questa pagina nella tua Area riservata di Diritto.it e riceverai le notifiche per tutte le pubblicazioni in materia. Inoltre, con le nostre Newsletter riceverai settimanalmente tutte le novità normative e giurisprudenziali!
Iscriviti!
Note bibliografiche
- W. Schabas, Genocide in International Law, Cambridge University Press, 2ª ed., 2009.
- P. Sands, East West Street. On the Origins of Genocide and Crimes against Humanity, Weidenfeld & Nicolson, 2016.
- A. Cassese – P. Gaeta – J. R. W. D. Jones (eds.), The Rome Statute of the International Criminal Court: A Commentary, Oxford University Press, 2002.
- L. Condorelli – A. Pellet, Le droit international à l’épreuve. Collected Essays, Paris, 2009.
- P. Gaeta, The UN Genocide Convention: A Commentary, Oxford University Press, 2009.
- R. Higgins, Problems and Process. International Law and How We Use It, Oxford University Press, 1994.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento