Recidiva e lieve entità del fatto: la Consulta abbatte il divieto di bilanciamento previsto dall’art. 69 c.p.

La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, co. 4, codice penale (il divieto di prevalenza sull’aggravante della recidiva).

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La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, co. 4, codice penale (il divieto di prevalenza sull’aggravante della recidiva in caso di rapina di lieve entità): vediamo in che modo. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

Indice

1. Il fatto


Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Sassari era chiamato a giudicare, nelle forme del rito abbreviato, delle imputazioni per rapina impropria e per lesioni personali nei confronti di un soggetto che, dopo aver prelevato dagli espositori di un negozio un giubbotto del valore di 249,90 euro, si era dato alla fuga in bicicletta; inseguito e afferrato da un carabiniere fuori servizio, che si era immediatamente qualificato esibendo il tesserino, per divincolarsi lo strattonava, causandogli un trauma distorsivo a un dito della mano.
Orbene, per siffatto giudice, sulla base delle risultanze probatorie, sebbene non vi sarebbero stati dubbi sulla qualificazione giuridica dei fatti contestati come rapina impropria e lesioni personali, rispettivamente aggravate ex art. 61, numero 10), cod. pen. ed ex artt. 585 e 576, primo comma, numero 5-bis), cod. pen., per aver commesso il fatto contro un pubblico ufficiale e sussisterebbe, inoltre, la circostanza aggravante della recidiva specifica quinquennale; nel giudizio di bilanciamento tra circostanze, tuttavia, l’art. 69, quarto comma, cod. pen. impedirebbe di ritenere prevalente la circostanza attenuante del fatto di lieve entità introdotta dalla Consulta con la sentenza n. 86 del 2024, applicabile alla fattispecie alla luce del valore modico del bene sottratto, dell’estemporaneità della condotta violenta, della modesta offesa all’integrità fisica e dell’assenza di profili organizzativi, con l’effetto ulteriore di determinare l’aumento di pena previsto dall’art. 81, quarto comma, cod. pen., per cui la pena in concreto irrogabile, pur contenuta entro il minimo edittale e con la diminuzione per il rito, non sarebbe inferiore a quattro anni, cinque mesi, dieci giorni di reclusione e alla multa di euro 824.
Orbene, per siffatto organo giudicante, ciò determinava una questione di legittimità costituzionale nei termini che vedremo da qui a breve.
Ciò posto, pure il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Cagliari era chiamato a giudicare, anch’egli nelle forme del rito abbreviato, dell’imputazione di rapina impropria per la sottrazione di magliette e di bermuda dal banco di esposizione di un negozio compiuta da un soggetto che, datosi alla fuga, gridava alla commessa che lo inseguiva una minaccia di morte.
Ebbene, ad avviso di questo organo decidente, dopo avere qualificato il fatto come di lieve entità alla luce degli indici individuati nella sentenza n. 86 del 2024, trattandosi di rapina impropria in cui non vi era stata violenza e la minaccia è consistita in un’unica frase pronunciata durante la fuga, sempre a suo avviso, sussisterebbero, inoltre, i presupposti per la recidiva reiterata e infraquinquennale, rispetto alla quale, tuttavia, l’attenuante della lieve entità non potrebbe essere ritenuta prevalente per il divieto imposto dall’art. 69, quarto comma, cod. pen., sicché non sarebbe irrogabile una pena inferiore al minimo edittale di cinque anni di reclusione, ridotti a tre anni e quattro mesi per il rito.
Da qui, per siffatto giudice, si veniva a profilare una questione di legittimità costituzionale, che pure essa esamineremo da qui a poco.
Dal canto suo, pure la Corte di Cassazione ravvisava analoghi profili di criticità costituzionale in quanto Essa – dovendosi pronunciare su un ricorso promosso avverso un’ordinanza del Tribunale ordinario di Roma, quale giudice dell’esecuzione, che aveva applicato a soggetto condannato per il delitto di rapina aggravata di cui all’art. 628, terzo comma, numeri 1) e 3-ter), cod. pen. e per il delitto di cui all’art. 493-ter cod. pen. l’attenuante introdotta dalla sentenza n. 86 del 2024, ma aveva ritenuto di non poter procedere a una valutazione di prevalenza in quanto il giudice della cognizione aveva già riconosciuto la sussistenza della recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, considerato che, bon un’unico motivo di ricorso, il ricorrente aveva eccepito l’illegittimità costituzionale del divieto di prevalenza di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. – notava come l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. da parte del giudice di merito sarebbe stata vincolante, stante l’intangibilità del giudicato, e il riconoscimento della nuova attenuante rimarrebbe ininfluente nel giudizio di bilanciamento, se non in termini di mera equivalenza, comportando una pena eccezionalmente severa per un fatto che il giudice dell’esecuzione motivatamente ritiene di lieve entità.
Dunque, anche per la Corte di legittimità, si veniva a determinare una questione di legittimità costituzionale nei termini che affronteremo da qui a breve. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

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2. Le questioni prospettate nelle ordinanze di rimessione: illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, introdotta con la sentenza n. 86 del 2024 di questa Corte, sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.


In relazione alle vicende giudiziarie summenzionate, incominciando dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Sassari, siffatto organo giudicante sollevava, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, introdotta con la sentenza n. 86 del 2024 della Corte costituzionale, sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen..
In particolare, per codesto giudice, la questione appena menzionata non era considerata manifestamente infondata sulla base delle sentenze del Giudice delle leggi che avevano già dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. in relazione a specifiche circostanze attenuanti, tra cui in particolare la sentenza n. 143 del 2021, che ha eliso il divieto di prevalenza in rapporto alla circostanza della lieve entità del fatto introdotta con la sentenza n. 68 del 2012 per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione; analogamente, la disposizione censurata neutralizzerebbe la circostanza attenuante di cui alla sentenza n. 86 del 2024, ponendosi in contrasto con l’art. 27, primo e terzo comma, Cost., per la sproporzione della pena rispetto alla gravità del fatto e la sua inidoneità alla rieducazione del condannato, e con l’art. 3, primo comma, Cost., per l’irragionevolezza di un trattamento identico imposto a situazioni diverse.
Il divieto di prevalenza previsto dall’art. 69, quarto comma, cod. pen., inoltre, sempre secondo siffatto organo giudicante, aggraverebbe il trattamento sanzionatorio anche in forza dell’art. 81, quarto comma, cod. pen., che prevede un ulteriore aumento di pena per i reati commessi da soggetti nei cui confronti sia stata applicata la recidiva reiterata, determinando anche in questo caso l’effetto di pene elevatissime e del tutto sproporzionate rispetto alla gravità del fatto commesso.
Ciò posto, pure il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Cagliari sollevava analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., per violazione degli artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui non consente che la circostanza attenuante del fatto di lieve entità nel delitto di rapina impropria, introdotta dalla sentenza n. 86 del 2024 della Consulta, possa essere ritenuta prevalente rispetto alla recidiva aggravata reiterata.
Nel dettaglio, per questo giudice a quo, come sostenuto dal GUP del Tribunale di Sassari, il GUP del Tribunale di Cagliari reputava la questione non manifestamente infondata sulla base dei precedenti della Corte costituzionale relativi al divieto di prevalenza di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen., tra cui in particolare la sentenza n. 143 del 2021, evocando, tuttavia, come parametri, accanto agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, Cost. anche l’art. 25, secondo comma, Cost., in quanto il divieto di prevalenza di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. genererebbe un automatismo che paralizza la funzione costituzionalmente necessaria di riequilibrio della pena propria dell’attenuante, inficiando in questo modo anche il principio della proporzione della pena rispetto all’offensività del fatto.
Detto questo, anche la Corte di Cassazione, Prima Sezione penale, sollevava la medesima questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., per violazione degli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante prevista dall’art. 311 cod. pen., applicabile in forza della sentenza n. 86 del 2024 del Giudice delle leggi, sulla recidiva aggravata ai sensi dell’art. 99, quarto comma, cod. pen..
Nel dettaglio, ad avviso della Suprema Corte, in punto di non manifesta infondatezza, si citavano i precedenti della Consulta sull’art. 69, quarto comma, cod. pen., ritenendo che la ratio decidendi della sentenza n. 143 del 2021 dovrebbe valere anche nel caso di specie, atteso che il divieto imposto dalla norma censurata impedirebbe l’operatività della “valvola di sicurezza” introdotta con la sentenza n. 86 del 2024, in violazione dei parametri evocati.

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3. La soluzione adottata dalla Consulta


La Corte costituzionale considerava le questioni summenzionate questioni fondate in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost.
In particolare, il Giudice delle leggi osservava prima di tutto che costituisce affermazione risalente nella giurisprudenza costituzionale quella che il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee consente al giudice di valutare il fatto in tutta la sua ampiezza, sia eliminando dagli effetti sanzionatori tutte le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto solo di quelle che aggravano la quantitas delicti, oppure soltanto di quelle che la diminuiscono (sentenza n. 38 del 1985; da ultimo, sentenza n. 56 del 2025), evidenziando al contempo che le deroghe al regime ordinario del bilanciamento tra circostanze, come disciplinato in via generale dall’art. 69 cod. pen., sono costituzionalmente ammissibili e rientrano nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, ma non possono determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale (ancora, sentenza n. 56 del 2025) visto che l’ampia discrezionalità di cui gode il legislatore nella definizione della politica criminale, in particolare nella determinazione delle pene applicabili a chi abbia commesso reati, così come nella stessa selezione delle condotte costitutive di reato, non equivale infatti ad arbitrio (tra le molte, sentenze n. 46 del 2024, n. 207 del 2023 e n. 117 del 2021), tenuto conto altresì del fatto che le disposizioni che costituiscono espressione di tale discrezionalità, e segnatamente quelle che determinano il trattamento sanzionatorio, in quanto destinate a incidere sulla libertà personale dei loro destinatari, sono suscettibili di controllo da parte della Consulta per gli eventuali vizi di manifesta irragionevolezza o di violazione del principio di proporzionalità (sentenza n. 74 del 2025), valendo ciò anche per il concorso tra circostanze, il cui regime influisce certamente sulla determinazione della pena in concreto.
Orbene, evidenziava la Corte costituzionale nella pronuncia qui in commento, sulla base di questi principi, l’art. 69, quarto comma, cod. pen. è stato oggetto di numerose pronunce di illegittimità costituzionale parziale, che hanno colpito il divieto di prevalenza di varie circostanze attenuanti, specificamente individuate, sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen..
Nel dettaglio, l’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti è stata rinvenuta in relazione a circostanze attenuanti riconducibili essenzialmente a tre rationes: circostanze espressive di un minor disvalore del fatto dal punto di vista della sua dimensione offensiva (sentenze n. 188, n. 141 e n. 94 del 2023, n. 143 del 2021, n. 205 del 2017, n. 105 e n. 106 del 2014, n. 251 del 2012), circostanze inerenti alla persona del colpevole (sentenze n. 55 del 2021 e n. 73 del 2020) e circostanze attinenti alla collaborazione del reo post delictum (sentenze n. 56 del 2025, n. 201 del 2023 e n. 74 del 2016).
Premesso ciò, i giudici di legittimità costituzionale notavano come le questioni, sottoposte al loro scrutinio giudiziale, attenessero alla prima delle ragioni indicate, in quanto il divieto di prevalenza opera in relazione all’attenuante della lieve entità del fatto introdotta con la sentenza n. 86 del 2024 per il reato di rapina, propria e impropria dato che, con tale sentenza, il Giudice delle leggi aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, cod. pen., per il delitto di rapina impropria – e, in via consequenziale, del primo comma dello stesso articolo, per il reato di rapina propria –, «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
Ebbene, sulla scia delle precedenti pronunce in materia di sequestro di persona a scopo di estorsione (sentenza n. 68 del 2012), cosiddetto sabotaggio militare (sentenza n. 244 del 2022) ed estorsione (sentenza n. 120 del 2023), si faceva presente come l’attenuante della lieve entità del fatto sia stata ritenuta necessaria per la rapina, in entrambe le sue forme, in quanto “valvola di sicurezza” rispetto a una fattispecie tipica assoggettata a un minimo edittale particolarmente elevato e caratterizzata dalla ampia latitudine oggettiva, dunque suscettibile di applicazione a condotte marcatamente dissimili sul piano del disvalore (da ultimo, sentenza n. 83 del 2025), fermo restando che tali condotte finiscono per comprendere anche comportamenti occasionali di minimo impatto personale, volti a conseguire un lucro modesto e tali da recare alla vittima un pregiudizio esiguo, facendosene conseguire da ciò come l’impossibilità per il giudice di qualificare il fatto-reato come di lieve entità sia stata ritenuta in contrasto con l’art. 3 Cost., per l’ingiustificata disparità di trattamento rispetto al reato di estorsione, che già prevedeva l’attenuante della lieve entità per effetto della sentenza n. 120 del 2023, e con l’art. 27, primo e terzo comma, Cost., per la sproporzione del trattamento rispetto alla gravità del fatto e l’incapacità di adeguarsi al suo concreto disvalore, in contrasto con i principi di individualizzazione e di finalità rieducativa della pena.
Quindi, se nelle precedenti pronunce dichiarative dell’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. in rapporto ad attenuanti che attengono alla dimensione offensiva del fatto la ragione dell’illegittimità costituzionale è stata individuata nella centralità del fatto oggettivo rispetto alla qualità soggettiva del colpevole, nella prospettiva di un “diritto penale del fatto”, dovendosi escludere che aspetti relativi alla maggiore colpevolezza o pericolosità dell’agente possano assumere, nel processo di individualizzazione della pena, una rilevanza tale da renderli nel giudizio di comparazione prevalenti rispetto al fatto oggettivo (sentenze n. 56 del 2025; nello stesso senso, sentenza n. 141 del 2023), con la sentenza n. 143 del 2021, puntualmente richiamata dai rimettenti, la Consulta ha invece dichiarato l’illegittimità costituzionale del divieto di prevalenza di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. in relazione all’attenuante comune della tenuità del fatto risultante dalla sentenza n. 68 del 2012 per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, osservandosi in quella occasione che l’attenuante inerisce marcatamente al piano dell’offensività, mentre la recidiva reiterata, riflettendo i due aspetti della colpevolezza e della pericolosità e operando su un piano strettamente soggettivo, non può assumere nel processo di individualizzazione della pena un rilievo comparativamente prevalente rispetto al fatto oggettivo (in senso analogo, già sentenze n. 205 del 2017 e n. 251 del 2012), ritenendosi di conseguenza che l’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella misura in cui impedisce in modo assoluto al giudice di ritenere prevalente la diminuente della tenuità del fatto quando concorre con l’aggravante della recidiva reiterata, frustra gli effetti che l’attenuante mira a determinare e ne compromette la necessaria funzione di riequilibrio sanzionatorio, in violazione degli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, Cost.
Orbene, per la Corte, il divieto di prevalenza dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. si espone ai medesimi vizi in relazione all’attenuante della tenuità del fatto introdotta con la sentenza n. 86 del 2024 dal momento che, anche rispetto a questa attenuante, la norma censurata vanifica irragionevolmente la funzione di “valvola di sicurezza” che è alla radice dell’addizione operata dalla Consulta nei termini sopra richiamati, impedendo ciò, inoltre, al giudice di applicare una sanzione diversa per situazioni diverse sul piano dell’offensività della condotta, determinando una violazione dell’art. 3, primo comma, Cost. anche sotto il profilo del principio di eguaglianza.
Dunque, a fronte di una fattispecie astratta connotata da intrinseca variabilità nella manifestazione in concreto degli elementi costitutivi, per il Giudice delle leggi, l’impossibilità per il giudice di ritenere prevalente l’attenuante contraddice il principio di individualizzazione della pena (art. 27, primo comma, Cost.), che richiede di tenere conto dell’effettiva entità e delle specifiche esigenze dei singoli casi, e il principio di finalità rieducativa della pena, che deve orientare sia le scelte del legislatore nella individuazione del trattamento sanzionatorio, sia le decisioni dei giudici che determinano la pena da irrogare in concreto (sentenza n. 86 del 2024).
Il divieto inderogabile di prevalenza dell’attenuante in esame non è, dunque, per la Consulta, compatibile neppure con il principio di proporzionalità della pena, idonea a tendere alla rieducazione del condannato ai sensi dell’art. 27, terzo comma, Cost., che implica «un costante principio di proporzione tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall’altra (sentenza n. 185 del 2015)» (sentenza n. 143 del 2021).
In conclusione, era dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., per violazione degli artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, introdotta con sentenza n. 86 del 2024 della Corte costituzionale in relazione al delitto di rapina, sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen., restando viceversa assorbita la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 25, secondo comma, Cost..

4. Conclusioni: illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, introdotta con sentenza n. 86 del 2024 di questa Corte in relazione al delitto di rapina, sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.


La Corte costituzionale, con la decisione qui in esame, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, introdotta con sentenza n. 86 del 2024 di questa Corte in relazione al delitto di rapina, sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
Dunque, alla luce di quanto statuito in siffatta pronuncia, è adesso possibile riconoscere la prevalenza dell’attenuante del fatto di lieve entità, riconosciuta al delitto di rapina per effetto della sentenza della Consulta n. 86 del 2024, sull’aggravante della recidiva reiterata di cui all’art. 99, co. 4, cod. pen. che, come è noto, prevede che se “il recidivo commette un altro delitto non colposo, l’aumento della pena, nel caso di cui al primo comma, è della metà e, nei casi previsti dal secondo comma, è di due terzi”.
Questa è dunque la novità che connota il provvedimento qui in commento.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Avvocato e giornalista pubblicista. Cultore della materia per l’insegnamento di procedura penale presso il Corso di studi in Giurisprudenza dell’Università telematica Pegaso, per il triennio, a decorrere dall’Anno accademico 2023-2024. Autore di diverse pubblicazioni redatte per…Continua a leggere

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