Forzature per tutelare le vittime, nesso di causalità e responsabilità solidale

In punto di diritto. Forzature per tutelare le vittime ed il tema del nesso di causalità e sulla responsabilità solidale.

Scarica PDF Stampa

In punto di diritto. Forzature per tutelare le vittime ed il tema del nesso di causalità e sulla responsabilità solidale. Per approfondire il tema, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica – Aggiornato al decreto attuativo della Legge Gelli, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon

Indice

1. Il dictum della Suprema Corte


Una recente ordinanza (Cass., Sez. Lav., ord., 24 ottobre 2024, n. 27572 – Pres. A. Manna – Rel. G. Michelini) la Suprema Corte torna ad occuparsi del tema, sempre attuale nel nostro Paese, delle morte dei lavoratori a causa dell’amianto[1] fissando, in punto di diritto, l’importante principio per cui l’accertato ingente abuso tabagico da parte del lavoratore (nella specie, poi deceduto) incide sul quantum del risarcimento trovando immediata e diretta applicazione la norma dell’art. 1227, comma 1, c.c.[2].
La Corte muove dall’affermazione per cui nelle ipotesi di concorso della condotta colposa del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso, l’espressione “fatto colposo” – cui ricorre il Legislatore nella menzionata norma codicistica – non è riferita all’elemento psicologico della colpa, dovendo essere intesa, propriamente, come sinonimo di un “comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive o dettata dalla comune prudenza”.
E, in questa accezione di “fatto colposo”, deve farsi rientrare a pieno titolo il “fumo attivo” che, secondo la Corte, costituisce “un atto di volizione libero, consapevole e autonomo” di un soggetto dotato di capacità di agire; di conseguenza il risarcimento del danno va proporzionalmente ridotto in ragione dell’entità percentuale dell’efficienza causale del comportamento della vittima[3]
Per addivenire alla cennata conclusione la Corte sottolinea come la materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali sia regolata – quanto al rapporto causale tra evento e danno – dall’art. 41 c.p., per cui trova applicazione il principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo cui deve essere riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, salvo che il nesso eziologico venga interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente, da solo, a produrre l’evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni[4].
Resta inteso, poi, che nelle ipotesi di malattie ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità[5] relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione che può essere data anche in termini di probabilità sulla base della particolarità della fattispecie.
Ferma restando la necessità di acquisire il dato della cd. probabilità qualificata, da verificarsi attraverso ulteriori elementi, come ad esempio – sottolinea ancora la Corte – i dati epidemiologici, idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale[6]. Per approfondire il tema, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica – Aggiornato al decreto attuativo della Legge Gelli, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon

VOLUME

Manuale pratico operativo della responsabilità medica

La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.

 

Giuseppe Cassano | Maggioli Editore 2024

2. La responsabilità datoriale


Il provvedimento in commento, come anticipato, si innesta sul tema dell’inalazione delle fibre di amianto sul luogo di lavoro e delle conseguenti morti, dopo lunghi periodi di malattia e sofferenza, dei lavoratori con conseguente sconvolgimento della quotidianità dei familiari[7].
Tema, questo, che registra diversi interventi, per lo più riconducibili alla giurisprudenza di merito, in cui – passando attraverso un’inaccettabile oggettivizzazione della responsabilità ex art. 2087 c.c.[8] – si è ricondotta alla responsabilità del datore, di fatto, ogni morte per “amianto”, a volte anche se intervenuta decine di anni dopo il pensionamento del lavoratore.
La questione della relazione tra amianto e malattia dei lavoratori, a ben vedere, non può prescindere dall’accertamento del dato storico e fattuale – cioè del contatto del lavoratore con fibre di amianto aerodisperse – contatto che deve essere qualificato, all’esito del giudizio, in termini di efficienza causale, altrimenti si avrebbe l’inaccettabile conseguenza che anche una presenza insignificante di nanoparticelle in un ambiente farebbe scattare la presunzione per quanto riguarda il nesso causale (App. Firenze, Sez. Lav., 31 ottobre 2023, n. 567)[9].
Nei giudizi di questo tipo il Giudice di merito si affida, doverosamente, al sapere scientifico dei consulti di ufficio (cui sono chieste indagini in ordine alla nocività dell’ambiente lavorativo e di tipo medico-legale) per cui il sapere scientifico gioca un ruolo fondamentale nel giudizio.
In via di estrema sintesi i quesiti posti dal Giudice al CTU sono sovente formulati nei termini di accertare se, a livello probabilistico o di certezza, una determinata patologia possa essere ricondotta all’inalazione di fibre di amianto.
E spesso i consulenti, all’esito del loro lavoro, esprimono un giudizio dubitativo nel senso della non emersione di alcun dato clinico utile per risolvere in termini di “probabilità”, o “certezza”, il dilemma se la patologia sia riferibile all’esposizione all’amianto o, piuttosto, ad altro fattore (tra cui – per tornare all’argomentare della Cassazione nell’ordinanza qui in esame – il tabagismo).
Orbene, fermo restando che per giustificare l’esclusione della responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., è sufficiente, avuto riguardo al caso concreto, la configurazione di una esposizione alle fibre di amianto come un antecedente privo, in concreto, di efficienza causale rispetto alla malattia tumorale – e che la suddetta esclusione di responsabilità datoriale, non comporta l’individuazione, da parte del Giudice, degli altri fattori che abbiano dato origine alla malattia – è da sottolineare come, dal punto di vista scientifico, sia sempre molto difficile determinare con nettezza i fattori cui attribuire una valenza causale esclusiva nell’insorgenza della patologia tumorale (in genere), e del carcinoma polmonare (in particolare), benché sia assodato che sia l’abitudine al fumo di sigarette, sia la familiarità, per le malattie neoplastiche abbiano un ruolo importante, per quanto non sicuramente esclusivo.
Da tanto consegue che, in presenza di una accertata esposizione all’amianto (sempre che la stessa abbia avuto rilievo di concausa) e in presenza di altre concause parimenti dannose, opera l’art. 1227 c.c. afferente il concorso di colpa del danneggiato che viene ad incidere, in termini di percentuale di responsabilità, sul concreto ammontare del quantum risarcitorio concretamente dovuto dal (co)responsabile[10].
A questo punto del nostro argomentare si rende opportuno, quanto doveroso, soffermarsi su tre temi di indagine che attengono, in via di estrema sintesi, al rapporto tra Giudice e sapere scientifico, all’onere della prova e, infine, alla individuazione, in termini di certezza, del soggetto responsabile.

3. Iudex peritus peritorum. E l’onere della prova?


È ampiamente condivisa l’affermazione per cui è consentito al Giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d’ufficio sia quando le motivazioni siano intimamente contraddittorie, sia quando il Giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche: in entrambi i casi, l’unico onere per il Giudice è quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto[11].
Se, dunque, le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il Giudice, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del C.T.U., nonché, trattandosi di una questione meramente tecnica, fornendo adeguata dimostrazione di aver potuto risolvere, sulla base di corretti criteri e di cognizioni proprie, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione.
Nei rapporti tra la decisione del Giudice e le determinazioni derivanti dalla perizia d’ufficio, valga quindi il principio di diritto per cui il Giudice ha piena libertà dì apprezzamento delle risultanze della perizia ma, al contempo, tale libertà è temperata dall’obbligo di motivazione.
Quando si è in presenza, poi, di tesi scientifiche contrapposte, l’adesione alle conclusioni del perito d’ufficio può ritenersi adeguatamente motivata ove il Giudice ne indichi l’attendibilità, mostrando di non aver ignorato le conclusioni dei consulenti tecnici di parte[12].
La Cassazione, da parte sua, non è giudice del sapere scientifico ed è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del Giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile, verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto, di modo che il Giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti di una consulenza, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato[13].
Ed allora, avuto riguardo alle vicende di danno da amianto in cui, come anticipato, il sapere scientifico gioca un ruolo principale (anche in considerazione delle diverse tesi che si contrappongono) occorre chiedersi quale decisione potrà correttamente assumere il Giudice quando all’esito della disposta C.T.U. rimanga incerta l’origine di una malattia professionale.
La risposta al quesito va ricercata all’interno del sistema che regola l’onere della prova nel processo civile (anche innanzi al Giudice del Lavoro) e cioè a dire alla luce dell’art. 2697 c.c. per cui la domanda deve essere rigettata quando il ricorrente non abbia assolto all’onere della prova su esso incombente [14].
La decisione di condanna, nell’ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale, passa necessariamente attraverso l’accertamento che la condotta serbata dal datore di lavoro sia stata quella che, più probabilmente di altre, si pone alla base del danno avendolo cagionato.
D’altronde non vi è spazio nel sistema della responsabilità civile per una condanna in assenza di una causalità provata in giudizio.
Ma, sul punto, diverse sono le pronunce con cui i Giudici disattendendo il cennato principio, che si pone quale cardine di sistema, addivengono a condanne al risarcimento danni alla luce della violazione delle disposizioni cautelari e generali del D.P.R. n. 547/1955 e D.P.R. n. 303/1956 senza domandarsi se l’adozione delle stesse – in riferimento al tema della salubrità dell’ambiente di lavoro e al contrasto alla dispersione in aria delle fibre di amianto – avrebbe o meno evitato le conseguenze di danno per il lavoratore[15].
A tal proposito si segnala la pronuncia resa dal Tribunale di Napoli, Sez. Lav., 22 novembre 2023, n. 7031 che fa riferimento all’art. 21 del citato D.P.R. n. 303 (che si limita a dettare “Norme generali per l’igiene del lavoro”) per fondare la sua condanna risarcitoria per morte da amianto[16].
In tale ultima disposizione si è (era) stabilito che, nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualsiasi specie, il datore di lavoro deve adottare quei provvedimenti atti a impedirne o ridurne, “per quanto è possibile”, lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente.
Da tale norma, unitamente ad altre di cui al medesimo testo normativo, ha fatto discendere la conclusione per cui, nel caso concreto, sussisteva una ipotesi di inadempimento del disposto di cui all’art. 2087 c.c. in forza del quale – si legge nella sentenza del Giudice partenopeo – “all’imprenditore si impone di adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Il ragionamento operato dal Giudice non è condivisibile laddove si consideri che l’art. 21 cit. non è stato dettato in riferimento alle polveri di amianto, bensì per tutte le polveri moleste diffuse nell’ambiente in quantitativi considerevoli.
Né la stessa norma si appalesa immediatamente riferibile alla polluzione di piccolissime fibre come quelle dell’asbesto, non percepibili con l’inalazione.
Il tutto fermo restando che il comportamento cautelare allora richiesto dal Legislatore non era quello di eliminare l’aerodispersione, bensì quello di contenerla entro definiti limiti quantitativi.
In definitiva, l’art. 21 non conteneva una regola cautelare da far valere quale statuto degli obblighi datoriali in materia di aerodispersione di particelle di amianto, rappresentando piuttosto un mero principio generale che imponeva al datore di lavoro la ricerca e l’adeguamento tecnico nel contenimento delle polveri nei luoghi di lavoro[17].
Emerge così, con evidenza, la genericità della fonte dell’obbligo (art. 21 cit.), “pensata”, ormai quasi 70 anni fa, in relazione al problema di ridurre la presenza di polveri fisicamente avvertibili e oggettivamente moleste sia quantitativamente che qualitativamente; sicchè – lo si ripete – essa non può essere applicata all’aerodispersione di fibre di amianto.
La disposizione dell’art. 21 ha poi un contenuto precettivo modale non puntualmente individuato: essa necessita della etero-integrazione operata attraverso le conoscenze scientifiche disponibili al tempo in cui deve (doveva) farsene applicazione.
Questo è il senso del richiamo ai provvedimenti atti a impedire, o ridurre, “per quanto possibile” lo sviluppo e la diffusione delle polveri nell’ambiente di lavoro[18].
Che una disposizione come l’art. 21 cit. non si possa validamente invocare per una “polvere” tanto micidiale e mortale quale l’amianto, la cui inalazione anche di poche fibre è idonea a innescare un processo cancerogenico, si evince anche dal fatto che, progressivamente, lo stesso Legislatore è giunto ad imporre la soglia della “tolleranza zero”[19].
Non è quindi possibile invocare quale fonte precauzionale l’osservanza di una disposizione che, pure nella sua più ampia interpretazione e applicazione, si riferisce ad una situazione di tutt’altra natura rispetto a quella oggetto della aerodispersione di fibre di amianto, e la cui scrupolosa applicazione non avrebbe in alcun modo sortito l’effetto desiderato (al di là della inattuabilità nel caso concreto).
Basti a tal proposito osservare che tutte le operazioni di bonifica dei siti inquinati dall’amianto vengono oggi eseguite da soggetti isolati dall’esterno con dotazioni -tute e maschere respiratorie- degne di quelle viste indosso ai medici a contatto con pazienti “covid-19”, o in situazioni ancora peggiori.

Potrebbero interessarti anche:

4. La questione della responsabilità solidale


Ma non è tutto. Anche la disciplina della responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. è declinata in termini del tutto anomali rispetto ai principi generali quando si parla di danni da amianto.
Sul punto occorre muovere dal presupposto per cui il primo comma di tale norma, come noto, stabilisce che, se il fatto dannoso è imputabile a più persone, ciascuna è obbligata in solido al risarcimento del danno[20].
Pertanto, il presupposto della solidarietà risarcitoria è che il danno sia unico e che esso sia eziologicamente ricollegabile a più persone, avuto riguardo indifferentemente a condotte commissive o omissive, dolose o colpose (ovvero imputabili per responsabilità oggettiva), o ancora al diverso titolo (contrattuale o extracontrattuale) cui ciascuno dei responsabili è tenuto[21].
Si è invece al di fuori dell’area della solidarietà allorché le più condotte (commissive od omissive) abbiano cagionato danni autonomamente identificabili.
Non occorre, poi, che le diverse condotte si inquadrino in un piano unitario, non essendo previsto che il danno scaturisca da una condotta comune o previamente concordata tra i danneggianti; conseguentemente, essi sono tenuto in solido, concorrendone i presupposti, anche se abbiano agito – o siano loro riferibili le condizioni fondanti le rispettive responsabilità – autonomamente o ignorando l’azione altrui [22].
Orbene, l’operatività della teoria scientifica “trigger dose”, per cui ai fini della contrazione del mesotelioma pleurico rileva la sola esposizione iniziale all’asbesto (attribuendosi l’insorgenza della malattia ad una dose killer, risultando irrilevanti sul piano eziologico le ulteriori fibre eventualmente inalate), impone l’indispensabilità dell’accertamento del momento in cui si verifica tale esposizione iniziale.
Questa può avvenire, almeno in via generale, in tre momenti della vita di una persona: prima dell’inizio dell’attività lavorativa; durante l’attività lavorativa (con la necessità di individuare presso quale datore di lavoro nel caso in cui se ne siano succeduti diversi); durante la pensione.
L’accertamento del momento dell’inalazione della dose killer si accompagna all’individuazione del soggetto titolare della posizione di garanzia nei confronti di chi si ammali (e quindi se accade in età lavorativa tale soggetto – al netto dell’accertamento della responsabilità ex art. 2087 c.c. – sarà il datore di lavoro) e impedisce, mettendola fuori gioco, la fattispecie ex art. 2055 c.c. giacché il fatto dannoso è ascrivibile a un solo soggetto.

5. Successione di datori e individuazione del soggetto responsabile


A riprova di un’applicazione non corretta dell’art. 2055 c.c. nei casi di danno da amianto si veda Trib. Roma, Sez. III Lav., 10 settembre 2024, n. 8708[23].
Sin dalla sua primissima lettura la dottrina[24] non ha mancato di sollevare più di un dubbio proprio con riferimento alla solidarietà passiva e, ancora, quanto all’operatività del litisconsorzio nel processo civile.
Il Giudice capitolino, nella vicenda sottoposta al suo esame, per addivenire alla pronunciata sentenza di condanna avrebbe dovuto individuare e vagliare singolarmente le condotte tenute da tutti i soggetti che si assumevano coinvolti nella causazione dei danni lamentati dal lavoratore (rectius, dagli eredi-ricorrenti) [25] e cioè adire di tutti i datori di lavoro nel tempo succedutisi.
La responsabilità solidale per l’intero danno stabilita dal primo comma dell’art. 2055 c.c. obbliga il Giudice, quando sia stata a tal fine formulata apposita domanda, all’accertamento e all’attribuzione delle rispettive quote di ripartizione della colpa, potendosi applicare il criterio sussidiario della parità delle cause, di cui all’ultimo comma dello stessa norma, solo se non sia possibile provare le diverse entità degli apporti causali e residui perciò una situazione di dubbio oggettivo e reale [26].
Il che si traduce necessariamente, sul piano processuale, nella necessità di un giudizio fondato su un contraddittorio esteso a tutti i possibili danneggianti (e cioè, si ripete, a tutti i possibili datori lavoro susseguitisi nella vita lavorativa del dipendente poi ammalatosi)[27].
Nel caso in cui risulti impossibile (come nella vicenda all’esame del Giudice del lavoro di Roma) l’individuazione del momento di innesco irreversibile della malattia, che rende causalmente irrilevante ogni esposizione successiva a tale momento, ai fini del riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro è necessaria l’integrale, o quasi integrale, sovrapposizione temporale tra la durata dell’attività lavorativa della vittima e la durata della posizione di garanzia rivestita dal datore di lavoro convenuto in giudizio [28].
Quando dunque non sia processualmente possibile individuare il failure time[29] la soluzione univoca può raggiungersi solo nel caso dell’unicità del garante (ipotesi nella quale non si pone neppure la necessità di ricercare, e di collocare temporalmente, il momento in cui le successive esposizioni all’amianto perdono rilevanza patogenetica).
Questo argomentare – proprio della giurisprudenza penale [30] – è un faro che orienta l’interprete e, ancora prima il Giudice civile in sede di assegnazione del risarcimento danni.
Quando, al contrario, sia pacifico e incontestabile il succedersi di una pluralità di garanti (datori di lavoro) in costanza di esposizione all’amianto della vittima, la possibilità di argomentare su basi scientifiche l’affermazione individuale di responsabilità è prioritariamente, e necessariamente, legata alla soluzione del problema di fondo, costituito dalla possibilità, o meno, di individuare, anche sul piano temporale, il discrimen tra la fase di induzione e quella di progressione (latenza clinica), in modo da accertare (e da argomentare) la sovrapponibilità almeno parziale fra la posizione di garanzia concretamente assunta dal soggetto convenuto con richiesta di danni e il protrarsi di un’esposizione all’amianto causalmente rilevante nel progredire delle patologie contratte dal lavoratore danneggiato.
S’intende che tale problema di fondo può trovare adeguata soluzione, nell’ambito della singola vicenda processuale, selezionando e quindi individuando la legge scientifica di copertura ritenuta idonea, facendo buon governo, in sede applicativa, dei principi che la sorreggono e dando veste argomentativa alla soluzione così raggiunta, alla luce delle emergenze fattuali ricavabili dall’istruttoria e caratterizzanti il caso concreto, nell’ambito delle quali collocare i suddetti principi.
In questo contesto il tema di indagine, per la formazione della prova e l’accertamento delle responsabilità, deve necessariamente essere filtrato attraverso la norma processuale dell’art. 102 c.p.c. (litisconsorzio necessario) quando i datori di lavoro siano più di uno[31].
Intervenuta sulla corretta esegesi di tale disposizione codicistica più volte la Suprema Corte ha sottolineato che il litisconsorzio e, correlativamente, l’ampiezza del contraddittorio si misurano nel concreto con riguardo alle domande proposte e agli effetti che l’eventuale accoglimento delle domande produce nella sfera di altri soggetti coinvolti. Con la conseguenza che questi ultimi dovranno necessariamente partecipare al processo ogni volta che la pronuncia domandata abbia effetti sulla loro posizione giuridica e ciò anche nell’interesse della parte attrice ad ottenere una pronuncia utiliter data, ovverosia tale da poter essere efficacemente opposta a tutti coloro cui la vicenda giuridica è inscindibilmente comune[32].

Note


[1] L. Angelini, Risarcimento dei danni da perdita dei rapporti parentali ai congiunti di un lavoratore morto per mesiotelioma da esposizione ad amianto, in Lav. Pubbl. Amm., 2023, 4, pag. II, 801 e segg.; R. Bartoli, Il nodo irrisolto della sentenza Franzese e le conseguenze nefaste nei processi d’amianto, in Rivista italiana di medicina legale e del diritto in campo sanitario, 2022, 4, pag. 1071 e segg.; M. Cecchi, Prescrizione ed equo processo, in una vicenda di morte da amianto, in Dir. Pen. Proc., 2024, 7, pag. 953 e segg.; S. Finocchiaro, La responsabilità penale per mesotelioma pleurico causato dall’esposizione ad amianto: una patologia di sistema, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2021, 1, pag. 161 e segg.; P. Tullini, Patologie da amianto e risarcimento del danno differenziale, in Riv. It. Dir. Lav., 2023, 1, II, pag. 131 e segg.
[2] In senso conforme v. più di recente: Cass. pen., Sez. IV, 20 marzo 2025, n. 11168; App. Bologna, Sez. Lav., 31 gennaio 2025, n. 19; App. Messina, Sez. Lav., 17 gennaio 2025, n. 21. In dottrina sull’art. 1227 c.c. si segnalano: S. Caffio, Infortuni sul lavoro (anche da Covid-19) e concorso colposo del lavoratore: la chimera dell’applicabilità dell’art. 1227 c.c., in Lav. Giur., 2020, n. 12, pag. 1166 e segg.; M. Costanza, Limiti di responsabilità dell’intermediario finanziario e l’art. 1227 c.c., in Soc., 2024, n. 4, pag. 474 e segg.; J. Finco, La responsabilità dell’intermediario finanziario: l’applicabilità dell’art. 1227 c.c., in Giur. Comm., 2023, n. 2, II, pag. 278 e segg.; R. Poli, Giudicato interno sulla misura del concorso di colpa ex art. 1227 c.c.?, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2022, n. 1, pag. 235 e segg.
[3] Ciò tanto in relazione al danno iure proprio, quanto al danno iure hereditatis (Cass., Sez. Lav., ord., 24 ottobre 2024, n. 27584; Cass. civ., Sez. III, ord., 19 febbraio 2020, n. 4178; Cass. civ., Sez. III, 21 gennaio 2020, n. 1165; Cass. civ., Sez. III, ord., 1 febbraio 2018, n. 2483; Cass. civ., Sez. VI-3, ord., 26 aprile 2017, n. 10220; Cass. civ., Sez. III, 12 aprile 2017, n. 9349; Cass. civ., Sez. III, 17 febbraio 2017, n. 4208).
[4] «Il principio dell’equivalenza delle condizioni non fa venir meno la necessità dalla prova del nesso di causalità, il cui onere rimane, secondo i principi generali, a carico del danneggiato che chiede il risarcimento. Solo una volta provato tale nesso di causalità (non necessariamente secondo un canone rigoroso di certezza o quasi certezza, essendo sufficiente l’attenuato criterio del più probabile che non), la compresenza di altre “cause sopravvenute” – sia pure anch’esse più probabili che non – non basta ad escludere l’efficacia causale del fattore che determina la responsabilità del convenuto, a meno che non risulti con certezza l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta (Cass. nn. 27952/2018; 6105/2015; 23990/2014). In forza del principio in questione, la concausa estranea sopravvenuta non deve aggravare l’onere probatorio posto a carico del danneggiato, ma deve essere anch’essa oggetto di specifica dimostrazione, quanto meno in termini di probabilità, in relazione alla sua attitudine causale rispetto all’evento morboso» (Cass., Sez. Lav., ord., 25 dicembre 2024, n. 34435; v. anche: Cass., Sez. Lav., ord., 12 gennaio 2023, n. 678; Cass., Sez. Lav., 12 giugno 2019, n. 15762; Cass., Sez. Lav., 31 ottobre 2018, n. 27952).
[5] L’accoglimento d’una domanda di risarcimento del danno richiede l’accertamento di due nessi di causalità: a) il nesso tra la condotta e l’evento di danno inteso come lesione di un interesse giuridicamente tutelato (nesso di causalità materiale); b) il nesso tra l’evento di danno e le conseguenze dannose risarcibili (nesso di causalità giuridica).
L’accertamento del primo dei due nessi suddetti si rende necessario per stabilire se vi sia responsabilità ed a chi vada imputata; l’accertamento del secondo nesso serve a stabilire la misura del risarcimento. Il nesso di causalità materiale è dunque un criterio oggettivo di imputazione della responsabilità; il nesso di causalità giuridica consente di individuare e selezionare le conseguenze dannose risarcibili dell’evento. In definitiva, il sistema della legge (gli artt. 40 e 41 c.p. da un lato, l’art. 1223 c.c. dall’altro) impone la distinzione tra l’imputazione causale dell’evento di danno e la successiva indagine volta all’individuazione e quantificazione delle singole conseguenze pregiudizievoli (App. Venezia, Sez. Lav., 9 gennaio 2025, n. 638; Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2019, n. 28986; Cass. civ., Sez. III, ord., 5 novembre 2024, n. 28458).
[6] Si consideri che le fibre di amianto inalate possono produrre principalmente le seguenti patologie: l’asbestosi (patologia non tumorale del polmone), il carcinoma (patologia tumorale del polmone), il mesotelioma (patologia tumorale della pleura o del peritoneo), tumori del tratto gastro-intestinale, della laringe e di altre sedi.
Il carcinoma polmonare è in rapporto sicuro con l’amianto solo se vi è asbestosi o l’evidenza di un’affezione pleurica causata dall’amianto, in quanto in difetto di tali evenienze, il suddetto tumore può essere conseguenza, ad esempio, del fumo di sigarette. Il che presuppone obiettivi riscontri anatomo-patologici e il rinvenimento di fibre di amianto nei polmoni in quantità rilevanti.
[7] Il Piano Nazionale Amianto (PNA) del marzo 2013, cui si è pervenuti a conclusione della Seconda Conferenza Governativa Amianto, organizzata ai sensi della L. n. 257/1992 (22-24 novembre 2012), evidenzia che “le fibre di amianto interagiscono in maniera sinergica con altri cancerogeni, in particolare con il fumo di tabacco nel causare il tumore polmonare (che comunque può svilupparsi anche nei non fumatori)” e che, in particolare, tra i tumori a “bassa frazione eziologica” – i quali hanno anche importanti cause extralavorative – rientra, ad esempio il tumore polmonare, “per la maggior parte correlato al fumo di sigaretta”. Inoltre, si è sottolineata la necessità, al fine di una corretta individuazione dei soggetti che contraggono malattie amianto-correlate, di definire in modo dettagliato, e puntuale, presupposti e condizioni delle diverse patologie riscontrate, onde stabilire i casi in cui le patologie sono state contratte “in ambito familiare” (Cass., Sez. Lav., 30 luglio 2013, n. 18267; più di recente Cass. pen., Sez. IV, 24 luglio 2023, n. 31812 chiude con l’assoluzione degli imputati una complessa vicenda giudiziaria relativa alla morte di un lavoratore-fumatore sul rilievo dell’assenza del nesso di causa tra la asbestosi polmonare da inalazione di amianto e il decesso dello stesso lavoratore, avvenuto per collasso cardiocircolatorio all’età di quasi settantotto anni, quando era in pensione da più di venti anni e non più esposto alle inalazioni di amianto da trenta).
[8] P. Albi, Sicurezza sul lavoro e responsabilità del datore di lavoro nella fase della pandemia, in Lav. Giur., 2020, n. 12, pag. 1117 e segg.; V. Ceccarelli, Mal d’ufficio o responsabilità datoriale: quando l’onere della prova fa la differenza, in Riv. It. Med. Leg. Dir. San., 2020, n. 3, pag. 1555 e segg.; Ead, “Mobbing” e risarcimento del danno, in Riv. It. Med. Leg. Dir. San., 2020, n. 1, pag. 401 e segg.; C. Di Carluccio, La mobile frontiera della responsabilità ex art 2087 c.c.: ambiente di lavoro “stressogeno” e danni alla salute del lavoratore nella più recente giurisprudenza, in Arg. Dir. Lav., 2024, 5, II, pag. 1161 e segg.; M. Ferrari, Responsabilità dell’impresa, nel paradigma dell’art. 2087 c.c., per malattie professionali contratte da lavoratori dipendenti di altre imprese, in Foro It., 2023, 3, I, col. 840 e segg.; A. Lanzara, L’obbligazione di sicurezza ex art. 2087 c.c.: la natura contrattuale della responsabilità datoriale ed il riparto dell’onere probatorio per il risarcimento del danno, in Mass. Giur. Lav., 2021, n. 1, pag. 256 e segg.; T. Pellegrini, L’onere della prova nella responsabilità ex art. 2087 c.c. e gli obblighi di protezione, in Giur. It., 2018, 6, pag. 749 e segg.; G. Schiraldi, La sicurezza e la salute del lavoratore ai tempi del Covid-19. I profili di natura sindacale, in Lav. Giur., 2021, n. 3, pag. 282 e segg. La formulazione dell’art. 2087 c.c. non implica un obbligo assoluto per il datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta ad evitare qualsiasi danno al fine di garantire così un ambiente di lavoro a “rischio zero” quando, di per sé, il pericolo di una lavorazione, o di un’attrezzatura, non sia eliminabile; al contempo non può pretendersi l’adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente impensabili (Cass. civ., sez. lav., 27 febbraio 2017, n. 4970). E dunque (Cass., Sez. Lav., 15 giugno 2016, n. 12347; Cass., Sez. Lav., 10 giugno 2016, n. 11981) non si può automaticamente presupporre, dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto, che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto.
[9] Non si dimentichi che molti decessi per tumore polmonare avvenuti in questi anni fanno riferimento a lavoratori che hanno prestato il loro servizio diversi decenni fa. Gli anni 60 e 70 del secondo scorso, in particolare, sono quelli in cui in cui, nel nostro Paese, si faceva un gran uso dell’amianto nei più svariati settori. Dai freni delle autovetture, alle tute dei Vigili del Fuoco, dai  manicotti dei tubi antincendio, ai carrelli portabombe allocati nella parte inferiore degli aerei miliari, fino alle vernici che si usavano nelle abitazioni, tutto conteneva (a volte anche come additivo) amianto. Nel settore del trasporto persone e merci via mare, poi, si registrava il ricorso all’amianto per diverse parti delle navi. Così ad esempio i gruppi elettrogeni, al fine di evitare il rischio incendio, avevano componenti in amianto usato come isolante. Ma il più comune, e diffuso, utilizzo dell’amianto avveniva in edilizia (sia pubblica che privata): i sistemi frenanti degli ascensori erano composti da amianto; moltissime coperture erano di cemento-amianto (idem per controsoffitti, isolamenti dei sottotetti, pavimenti in vinil-amianto, divisori, tamponature e pannelli in genere); come anche vari componenti delle caldaie o delle centrali termiche contenevano amianto. Non solo. Gli stessi serbatoi di scorta dell’acqua potabile, i tubi di adduzione, nonché le relative flange erano in amianto. Canne fumarie, ma anche guanti e presine per camini, barbecue e forni, erano realizzati facendo largamente uso dell’amianto.
[10] App. Lecce, Sez. Lav., 21 aprile 2023, n. 330.
[11] G. Carlizzi, Iudex peritus peritorum, in Dir. Pen. Contemp., 2017, 2, pag. 27 e segg.; G. Celani, La Corte Suprema alle prese con un caso di “bad science”: il giudizio di affidabilità scientifica tra i rischi di volgarizzazione e di acritica accettazione del sapere tecnico, in Riv. It. Med. Leg. Dir. San, 2019, 4, pag. 1532 e segg.; G. Facciolongo, Lesioni colpose gravi – Colpa medica – Prova scientifica – Good science, bad science – Perizia – Iudex peritus peritorum, in Riv. It. Med. Leg. Dir. San, 2022, 3, pag. 761 e segg.; C. Iurilli, Responsabilità professionale medica, nesso di causalità omissiva e funzione del giudice quale “peritus peritorum”, in Resp. Civ., 2007, 11, pag. 874 e segg.; M. Mocchegiani, Sapere scientifico e ruolo del giudice. Primi appunti (Scientific Knowledge and the role of the Judge: preliminary reflections), in Quad. Cost., 2017, 3, pag. 571 e segg.; F. Pontonio, La responsabilità civile del medico e della struttura sanitaria pubblica: ma il giudice è veramente “peritus peritorum”?, in Resp. Civ. e Prev., 1994, 1, pag. 161 e segg.
[12] Trib. Santa Maria Capua Vetere, Sez. IV, 11 novembre 2024, n. 4157.
[13] Cass. pen., Sez. V, 18 marzo 2025, n. 10865; Cass. pen., Sez. IV, 18 maggio 2018, n. 22022.
[14] È qui opportuno sottolineare che la patologia comunemente identificata come “tumore del polmone” non fa parte delle cd. malattie tabellate, ossia quelle ad eziologia professionale presunta, rinvenendosi nell’elenco delle malattie di possibile origine lavorativa (previsto dall’art. 139 D.P.R. n. 1124/1965, come integrato dall’art. 10 D.Lgs. n. 38/2000). Con la precisazione secondo cui “ove la malattia non rientri nella previsione tabellare, oppure non vi rientri l’attività lavorativa svolta, o non sussistano tutti i presupposti richiesti dalla tabella per far rientrare l’attività stessa all’interno della sua previsione, l’esistenza del nesso di causalità tra attività professionale svolta ed insorgenza della malattia deve essere dimostrata, secondo gli ordinari criteri di ripartizione dell’onere della prova, dal prestatore assicurato” (Cass., Sez. Lav., 12 marzo 2015, n. 4993). In Cass. civ., Sez. III, ord. 13 giugno 2023, n. 16903 si osserva: «in caso di domanda di danno da infortunio sul lavoro il riparto degli oneri probatori si pone negli stessi termini dell’art. 1218 c.c. circa l’inadempimento delle obbligazioni, da ciò discendendo che il lavoratore il quale lamenti di aver subito un danno da infortunio sul lavoro deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure, per evitare il danno».
[15] App. Ancona, Sez. Lav., 13 marzo 2025, n. 98; Trib. Gorizia, Sez. Lav., 21 novembre 2023, n. 209; Trib. Genova, Sez. Lav., 15 settembre 2023, n. 468; Trib. Taranto, Sez. Lav., 21 ottobre 2022, n. 2128; Trib. Parma, Sez. Lav., 30 agosto 2022, n. 54.
[16] Fortemente critica in dottrina la posizione assunta da G. Cassano, Morti per amianto”: il rischio di introdurre una nuova forma di responsabilità oggettiva, in https://www.altalex.com/documents/news/2024/03/14/morti-amianto-rischio-introdurre-nuova-forma-responsabilita-oggettiva.
[17] Cass. pen., Sez. IV, 27 aprile 2018, n. 18384.
[18] È peraltro frequente, come noto, la scelta del Legislatore, nel caso di attività pericolose, di imporre determinate cautele idonee a ridurre il rischio facendo riferimento a criteri generici che possono di volta in volta essere specificati con il richiamo alle cautele che la scienza, l’esperienza e l’evoluzione tecnologica dell’epoca sono in grado di suggerire. Nelle attività pericolose consentite (e questo vale anche per le attività non di tipo lavorativo) l’agente deve attivare le misure preventive che le conoscenze del momento consentono di ritenere le più idonee ad evitare il verificarsi di eventi dannosi.
[19] Si vedano le disposizioni di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257 (“Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”), di cui al D.M. Sanità 6 settembre 1994 (Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto) e di cui agli artt. 251 ss. D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (“tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”).
[20] A. D’Adda, La solidarietà risarcitoria nel diritto privato europeo e l’art. 2055 c.c. italiano: riflessioni critiche, in Riv. Dir. Civ., 2016, 2, pag. 279 e segg.; A. Gnani, Gli artt.1306 e 2055 c.c. rettamente intesi, in Danno e Resp., 2010, 3, pag. 259 segg.; G. Simonini, Colpa Oggettiva e causalità nell’art. 2055 c.c., in Contr. e Imp., 2014, 2, pag. 442 e segg.
[21] Trib. Cassino 19 marzo 2024, n. 453; Cass. civ., Sez. III, ord., 6 settembre 2023, n. 25970; Cass. civ., Sez. I, ord., 12 gennaio 2023, n. 664; Cass. civ., Sez. I, ord., 11 gennaio 2023, n. 664; Cass. civ., Sez. Un., 27 aprile 2022, n. 13143.
[22] Cass. civ., Sez. III, ord., 15 ottobre 2024, n. 26736; Cass. civ., Sez. Un., 27 aprile 2022, n. 13143; Cass. civ., Sez. I, 10 settembre 2007, n. 18939; Cass. civ., Sez. III, 9 novembre 2006, n. 23918.
[23] La vicenda portata all’esame del Giudice capitolino consiste, in via di estrema sintesi, nella richiesta risarcitoria formulata dai familiari-eredi di un lavoratore deceduto per mesotelioma nei confronti dell’ultimo datore di lavoro (una nota raffineria di petrolio); richiesta accolta dall’adito Magistrato che ha così accordato ai ricorrenti un cospicuo risarcimento. Il Giudice capitolino espressamente fonda la condanna sull’art. 2055 c.c. osservando che quando il danno “come nel caso di specie, è concausato dalla condotta di più soggetti, questi ne rispondono per intero ed in solido con gli altri, salvo ovviamente il regresso nei confronti dei coobbligati. Tale responsabilità dei coautori del danno finale sussiste ed è solidale sia quando essi abbiano agito con condotte concorrenti, sia quando il danno finale sia il frutto di condotte, come nel caso di specie, tra loro indipendenti”.
È affermazione del Giudice quella per cui “la patologia tumorale non era (omissis) già stata contratta dal (omissis) prima dell’assunzione da parte della resistente, essendo insorta a lunga distanza di tempo rispetto alla risoluzione del rapporto di lavoro con quest’ultima”. Così facendo il Giudice disattende non solo i risultati cui perviene la letteratura medica mondiale – che, quanto alla questione è concorde nell’assegnare un peso maggiore alle esposizioni più remote – sia quelli cui era approdato il suo stesso CTU che conclude il suo argomentare ritenendo “irrisolvibile” la questione relativa a quando sia insorta la patologia.
[24] B. Tassone, Successione di diversi datori di lavoro, danni da amianto e responsabilità ex art. 2087 c.c., in Resp. Civ. e Prev., 1, 2025, pag. 1 e segg.; Id., Prime riflessioni su una recente sentenza in tema di danni da amianto, in Danno e Resp., 2025, 1, pag. 108 e segg.; G. Cassano, Sviste giurisprudenziali in tema di solidarietà passiva e (a caduta) sul litisconsorzio necessario, in Responsabilità sanitaria Rischio clinico e valore della persona, 2025.
[25] Fermo restando che la graduazione delle colpe tra più possibili danneggianti ha una mera funzione di ripartizione interna tra i coobbligati della somma versata a titolo di risarcimento del danno, e non elide affatto la solidarietà tra loro esistente (Cass. civ., Sez. III, ord., 22 luglio 2024, n. 20170).
[26] Cass. civ., Sez. II, ord., 27 settembre 2017, n. 22672.
[27] Con la precisazione che, in presenza di fatti imputabili a più persone, coevi o succedutisi nel tempo, deve essere riconosciuta a tutti un’efficacia causativa del danno, ove abbiano determinato una situazione tale che, senza l’uno o l’altro di essi, l’evento non si sarebbe verificato, mentre deve attribuirsi il rango di causa efficiente esclusiva ad uno solo dei fatti imputabili quando lo stesso, inserendosi quale causa sopravvenuta nella serie causale, interrompa il nesso eziologico tra l’evento dannoso e gli altri fatti, ovvero quando il medesimo, esaurendo sin dall’origine e per forza propria la serie causale, riveli l’inesistenza, negli altri fatti, del valore di concausa e li releghi al livello di occasioni estranee (Cass. civ., Sez. III, 3 aprile 2024, n. 8778).
[28] Cass. pen., Sez. IV, 16 gennaio 2019, n. 25532.
[29] Sul piano della causalità generale dell’esposizione all’amianto, la teoria dose-correlata, prescelta e accreditata in particolare dalla III Consensus Conference, indica il susseguirsi di due fasi distinte: – quella della cd. “induzione” (a sua volta distinta in iniziazione e promozione) in cui ogni successiva esposizione è rilevante sul piano causale ai fini del prodursi del mesotelioma pleurico maligno; – e quella della cd. “progressione” (o latenza clinica) in cui il processo carcinogenetico è irreversibile e ogni successiva esposizione all’amianto è ormai irrilevante. Lo spartiacque fra tali due fasi – ossia il momento in cui termina la fase dell’induzione e inizia quella della progressione – è costituito dal cd. “failure time”, che segna il momento a partire dal quale le ulteriori esposizioni all’amianto sono prive di rilevanza causale. Nel caso in cui le vittime (lavoratori) siano state esposte all’amianto per periodi assai prolungati in cui si siano succeduti più titolari di posizioni di garanzia (id est, più datori di lavoro) occorre stabilire se sia possibile affermare che l’ultimo periodo di lavoro sia sovrapponibile in tutto, o in parte, con la fase dell’induzione: quesito alla cui risposta è legata, sul piano logico, la possibilità di attribuire rilievo eziologico alle condotte commissive od omissive attribuite al datore in quella fase. In altre parole, la questione è costituita dalla possibilità, o meno, di dare una collocazione temporale sufficientemente precisa al failure time, sulla base di una legge scientifica di copertura che possa dirsi univocamente conducente in tal senso, o quanto meno su una consolidata regola di esperienza.
[30] Cass. pen., Sez. IV, 3 dicembre 2020, n. 34341.
[31] G. Barile, Il litisconsorzio unitario o quasi-necessario: il giudizio uno e unico a pluralità di parti, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2021, 3, pag. 871 e segg.; S. Capolupo, Litisconsorzio necessario: permangono i dubbi anche dopo la riforma, in Il Fisco, 2024, 12, pag. 1134 e segg.; R. Giuffrè, Mancato rispetto del litisconsorzio necessario, in Soc., 2023, 2, pag. 250 e segg.; L. La Battaglia, Litisconsorzio necessario, in Corr. Giur., 2021, 1, pag. 138 e segg.; A. Proto Pisani, Processo e terzi: brevi note sui limiti soggettivi del giudicato e sul litisconsorzio necessario, in Riv. Dir. Proc., 2020, 4, pag. 1662 e segg.
[32] Cass., Sez. Lav., ord., 9 novembre 2018, n. 28766; Cass., Sez. Lav., 17 gennaio 2017, n. 988; Cass., Sez. Lav., 1° agosto 2016, n. 15981. Resta inteso, peraltro, che tale norma riveste la qualifica giuridica di norma “in bianco” (così rimettendo all’interprete ampi margini entro cui ricondurre singole ipotesi concrete all’istituto del litisconsorzio necessario) e, al tempo stesso, di norma “di rinvio”, che rinvia cioè ad altre norme che impongono la partecipazione necessaria di una pluralità di parti.

Avv. Giuseppe Cassano

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento