La Corte di Cassazione ha emesso una sentenza definitiva che chiude un lungo processo iniziato nel 2011, riguardante lo sfruttamento di migranti impiegati nella raccolta agricola a Nardò, in Puglia. Con la sentenza n. 16136 del 2025, i giudici hanno confermato le condanne per riduzione in schiavitù nei confronti dei caporali coinvolti, mentre hanno assolto i datori di lavoro dal medesimo reato. Questa decisione rappresenta un punto di svolta nella giurisprudenza italiana in materia di sfruttamento lavorativo. Per approfondimenti si consiglia il seguente volume, il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni): Il lavoro subordinato
Indice
1. Il caporalato: un fenomeno diffuso e complesso
Il caporalato è una forma di intermediazione illecita di manodopera, in cui i “caporali” reclutano lavoratori, spesso migranti in condizioni di vulnerabilità, per impiegarli in lavori agricoli sottopagati e senza tutele. Questo sistema sfrutta lo stato di bisogno dei lavoratori, imponendo condizioni di lavoro degradanti e violando i loro diritti fondamentali. Il fenomeno è diffuso in diverse regioni italiane, in particolare nel Mezzogiorno, ma anche in altre aree del paese.
Per contrastare il caporalato, l’Italia ha introdotto la Legge n. 199 del 29 ottobre 2016, che ha modificato l’articolo 603-bis del codice penale, prevedendo pene più severe per chi recluta e utilizza manodopera in condizioni di sfruttamento. La legge prevede la reclusione da uno a sei anni e multe da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, con pene aumentate se i fatti sono commessi con violenza o minaccia. Per approfondimenti si consiglia il seguente volume, il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni): Il lavoro subordinato
Il lavoro subordinato
Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.
A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023
59.85 €
2. La sentenza della Cassazione: responsabilità dei caporali
Nel caso di Nardò, la Corte di Cassazione ha riconosciuto che i migranti, principalmente africani arrivati in Italia tra il 2008 e il 2011, erano stati ridotti in condizioni di schiavitù dai caporali. Sebbene formalmente liberi di muoversi, i lavoratori erano costretti ad accettare condizioni di lavoro degradanti a causa della loro estrema vulnerabilità: mancanza di risorse, scarsa conoscenza della lingua e dei propri diritti, e assenza di alternative lavorative. Le “catene” erano quindi di natura economica e sociale, piuttosto che fisica.
La Corte ha escluso l’esistenza di un’associazione a delinquere tra caporali e datori di lavoro, ritenendo che la consapevolezza degli imprenditori di beneficiare di manodopera a basso costo non fosse sufficiente per configurare una responsabilità penale diretta. Pertanto, i datori di lavoro sono stati assolti dal reato di riduzione in schiavitù.
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3. Le implicazioni della sentenza e le sfide future
La sentenza della Cassazione rappresenta un importante riconoscimento giuridico delle condizioni di sfruttamento subite dai migranti, ma solleva anche interrogativi sulle responsabilità degli imprenditori che traggono vantaggio da tali pratiche. Sebbene la legge punisca chi utilizza manodopera in condizioni di sfruttamento, la difficoltà nel dimostrare il coinvolgimento diretto dei datori di lavoro limita l’efficacia delle norme esistenti.
Per affrontare il problema in modo più efficace, è necessario rafforzare i controlli e le ispezioni nei settori a rischio, promuovere la trasparenza nelle filiere produttive e garantire tutele adeguate ai lavoratori vulnerabili. Inoltre, è fondamentale sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sull’importanza di contrastare il caporalato e lo sfruttamento lavorativo, per costruire un sistema economico più giusto e rispettoso dei diritti umani.
La vicenda di Nardò evidenzia la necessità di un impegno continuo da parte dello Stato, delle imprese e della società civile per eliminare le pratiche di sfruttamento e garantire condizioni di lavoro dignitose per tutti.
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