La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17002 del 23 aprile 2024, ha chiarito che, in relazione agli atti persecutori, l’attendibilità della persona offesa deve essere oggetto di valutazione approfondita.
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Indice
1. I fatti
La Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato alla pena di giustizia l’imputato, avendolo ritenuto responsabile del reato di cui all’art 612-bis, secondo comma, cod. pen. e del reato di cui agli artt. 582, secondo comma, 61, n. 11-quinquies cod. pen.
La Corte territoriale, preso atto della intervenuta revoca della costituzione di parte civile, ha revocato le relative statuizioni.
L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione con quattro motivi: con il primo si lamentavano vizi motivazionali in relazione alla ritenuta credibilità della persona offesa, argomentata dalla Corte territoriale alla luce della linearità del racconto, dell’assenza di intento calunniatorio e della genuinità del narrato; con il secondo motivo si lamentavano vizi motivazionali con riguardo ai profili dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca della persona offesa; con il terzo si lamentava inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, quanto alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di atti persecutori; infine, con il quarto motivo, si lamentavano vizi motivazionali nonché inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 2 cod. pen.
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Formulario Annotato del Processo Penale
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2. Valutazione dell’attendibilità della persona offesa negli atti persecutori: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, esamina congiuntamente i primi motivi, data la loro stretta connessione.
Ad avviso della Corte, “la motivazione della sentenza impugnata, sia in ordine al tema della valutazione dell’attendibilità del narrato della persona offesa – da apprezzarsi nella prospettiva dell’accertamento di condotte poste in essere dall’imputato al di fuori di qualunque accordo con la prima, perché, in quest’ultimo caso, ne verrebbe incrinata l’efficacia persecutoria, ossia l’idoneità a produrre le conseguenze indicate nell’art. 612-bis cod. pen., – sia in ordine alla valutazione delle restanti risultanze istruttorie, appare caratterizzata da una sostanziale assertività, nel senso che non affronta, se non offrendo soluzioni ancorate a formule di stile, gli snodi problematici sollevati in termini specifici con l’atto di appello“.
Nello specifico, si osserva che la persona offesa chiedeva all’imputato, attraverso dei messaggi, di prospettare falsamente delle minacce anche gravi nei suoi confronti, al fine apparente di risultare un partner geloso. È evidente, secondo la Suprema Corte, che questi tratti non giustificano alcuna condotta persecutoria, ma, alla luce degli inequivoci messaggi sopra citati, “avrebbero richiesto una ponderazione che non è logico liquidare osservando che alcune delle condotte espressive di gelosia sono state realizzate non attraverso i c.d. social, ma con messaggi direttamente rivolti ad amici della ragazza“.
Viene osservato che si tratta di modalità rappresentative di una relazione possessiva che era stata, almeno in alcuni momenti, auspicata dalla stessa persona offesa.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha sottolineato che, in tale contesto, si sarebbe dovuto valutare più approfonditamente l’attendibilità della persona offesa, alla luce della lamentata progressione dichiarativa che, però, è stata “valutata con formule apodittiche che non si confrontano che le questioni sollevate, anche con riferimento alle conseguenze delle asserite condotte persecutorie“.
La Corte ha, dunque, disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
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