IL 75° Anniversario della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali

Profili storico-giuridici della Convenzione EDU e suoi attuali riflessi nel quadro giuridico-istituzionale degli Stati d’Europa e delle sfide globali.

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Il settantacinquesimo anniversario della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) richiama l’attenzione sulla lunga storia, sul radicamento costituzionale e sul ruolo attuale del diritto europeo dei diritti umani. Il contributo analizza come la CEDU si sia integrata negli ordinamenti nazionali, ne ricostruisce la genealogia storico‑filosofica, esamina il contributo italiano e quello della filosofia contemporanea, e infine individua le sfide odierne che la Convenzione deve affrontare nell’attuale contesto globale. Per approfondimenti sulla procedura della Corte EDU, abbiamo pubblicato il volume I ricorsi alla corte europea dei diritti dell’uomo, disponibile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

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Indice

1. 4 novembre 1950: nasce l’Europa dei diritti


L’Europa è nata più di una volta nella storia, nel pensiero e nella coscienza dei suoi popoli. Una delle sue nascite più feconde avvenne il 4 novembre 1950, a Roma, quando fu aperta alla firma la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (testo ufficiale disponibile: https://www.echr.coe.int/en/web/echr/european-convention-on-human-rights). Non fu soltanto un atto giuridico, ma una dichiarazione di valori universali: l’Europa che usciva dalle guerre, da Auschwitz e dai totalitarismi del Novecento decise di fondare sé stessa non sulla forza, ma sulla dignità dell’uomo. In quel testo si condensò una rivoluzione silenziosa: lo Stato, da sovrano assoluto, veniva vincolato da un diritto che lo trascendeva, una legge che nasceva non dal potere ma dal riconoscimento della persona nella sua più intima essenza, quella dei diritti fondamentali all’essere umano.
La Convenzione, elaborata nell’ambito del Consiglio d’Europa (https://www.coe.int/en/web/portal), oggi è custode della libertà e dello Stato di diritto in quarantasei Stati: i ventisette dell’Unione Europea ma anche Regno Unito, Norvegia, Svizzera, Islanda, Turchia, Stati dei Balcani e finanche Ucraina, Georgia, Armenia e Azerbaigian (ne è stata parte anche la Federazione Russa, prima del 2022). Per alcuni di questi paesi quel patto di civiltà è ancora una sfida, ma si tratta di un processo sempre in evoluzione per tutte le democrazie: oggi si pongono altri interrogativi tra la gestione dei poteri, formali e informali – non ultimo quello digitale – e la dignità dell’uomo. In ogni caso è proprio il Consiglio d’Europa l’organizzazione che, in forza della Convenzione e della collegata Corte europea dei diritti dell’uomo (https://www.echr.coe.int), ha assunto l’impegno di dare attuazione ai principi dello Stato di diritto come base fondativa per la tutela dell’individuo: la Convenzione è invocabile da qualsiasi cittadino per affermare il primato della vita, il divieto di tortura, la libertà di coscienza e di espressione, la tutela della vita privata, la protezione dalla discriminazione e il diritto a un processo equo e imparziale. Per approfondimenti sulla Corte, abbiamo pubblicato il volume I ricorsi alla corte europea dei diritti dell’uomo, disponibile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

VOLUME

I ricorsi alla corte europea dei diritti dell’uomo

Il volume, accompagnato da un FORMULARIO e da una completa disamina delle fonti, analizza nel dettaglio le modalità di presentazione dei RICORSI alla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’opera esamina il funzionamento del Consiglio d’Europa e della Corte europea ed è aggiornata con le novità introdotte dalla riforma del Regolamento di procedura della Corte avvenuta nel corso del 2025. Completo di tutte le informazioni necessarie per la presentazione delle istanze, il testo si propone come uno strumento operativo che permette di impostare il ricorso alla Corte, al fine di vedere riconosciuta la piena tutela dei diritti dell’uomo contro le inefficienze presentate dai sistemi nazionali. Accurata è l’analisi della CASISTICA suddivisa per argomenti tra i quali: ESPROPRIAZIONE E VINCOLI PREORDINATI ALL’ESPROPRIAZIONE – ECCESSIVA LUNGHEZZA DEL PROCESSO – VITA PRIVATA E FAMILIARE – CONDIZIONE DEI DETENUTI – TUTELA DEI MIGRANTI – LIBERTÀ DI PENSIERO E LIBERTÀ RELIGIOSA.Il FORMULARIO, in formato editabile e stampabile, la NORMATIVA EUROPEA ed il MASSIMARIO giurisprudenziale organizzato per argomento, sono disponibili online.Andrea Sirotti GaudenziAvvocato e docente universitario. Svolge attività di insegnamento presso vari Atenei e centri di formazione. È responsabile scientifico di alcuni enti, tra cui l’Istituto nazionale per la formazione continua di Roma. Direttore di collane e trattati giuridici, è autore di numerosi volumi, tra cui “Il nuovo diritto d’autore”, “Manuale pratico dei marchi e brevetti”, “Trattato operativo dei contratti d’impresa” e il “Codice della proprietà industriale”.I suoi articoli vengono pubblicati da diverse testate e fa parte dei comitati scientifici di riviste ed enti.

 

Andrea Sirotti Gaudenzi | Maggioli Editore

2. Il primato della Convenzione e l’integrazione negli ordinamenti nazionali


Oggi, a settantacinque anni da quel momento, la CEDU si conferma come la pietra angolare del diritto europeo dei diritti umani. Essa rappresenta una fonte vincolante per gli Stati membri del Consiglio d’Europa, che riconoscono nella giurisdizione della Corte di Strasburgo il garante della legalità e della dignità umana. Il principio del primato della Convenzione sugli ordinamenti nazionali non si traduce in una supremazia formale, bensì in una forza sostanziale di integrazione: la CEDU vive all’interno delle costituzioni europee come norma interposta e parametro interpretativo dei diritti fondamentali.
La giurisprudenza costituzionale italiana ha espresso con chiarezza tale prospettiva nelle note sentenze “gemelle” n. 348 e n. 349 del 2007, affermando che «le norme della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea… – integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone al legislatore il rispetto degli obblighi assunti dallo Stato in sede internazionale» (Corte cost., sentt. n. 348 e 349/2007, Giur. cost. 2007, 2995 ss.).
Analogamente, la Bundesverfassungsgericht tedesca, nella decisione Görgülü (BVerfGE 111, 307 – 2 BvR 1481/04), ha chiarito che «il testo della Convenzione e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo costituiscono criteri interpretativi per la determinazione del contenuto e della portata dei diritti fondamentali garantiti dalla Legge fondamentale, purché ciò non comporti una riduzione del livello di tutela assicurato dal Grundgesetz». In Francia, il Conseil constitutionnel ha ribadito nella Decisione n. 2018‑741 QPC del 19 ottobre 2018 che le disposizioni convenzionali vincolano il legislatore e costituiscono parametro di compatibilità con i diritti fondamentali riconosciuti dall’ordinamento (https://www.conseil-constitutionnel.fr).
Ne deriva una convergenza sostanziale: la CEDU, quale strumento vivente di tutela sovranazionale dei diritti, opera come limite e al tempo stesso come risorsa per gli Stati democratici, imponendo agli Stati un dovere di conformazione dinamica e di leale cooperazione con la Corte di Strasburgo, in una prospettiva di integrazione progressiva del diritto europeo dei diritti dell’uomo nel tessuto costituzionale nazionale

3. Una lunga genealogia


Dietro ogni norma della Convenzione c’è l’eco di una lunga genealogia di libertà, di cui è bene almeno ricordare la Magna Charta Libertatum del 1215, il Bill of Rights del 1689, i contributi dell’Illuminismo fino alla filosofia morale di Immanuel Kant con il suo imperativo morale: «Agisci in modo da considerare l’uomo sempre come fine, mai come mezzo» (1785). In questa genealogia si annodano anche la Dichiarazione dei diritti e dell’indipendenza degli Stati Uniti del 1776, e, naturalmente, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino adottata nel 1789 all’esplodere della Rivoluzione francese, come anche tutto il percorso del costituzionalismo europeo contemporaneo.
Hans Kelsen, teorico del costituzionalismo democratico – centrato sul ruolo della rappresentanza parlamentare – e padre della teoria pura del diritto, insegnò che il diritto deve essere scienza della giustizia autonoma da ogni ideologia, perché solo così può diventare garanzia contro l’arbitrio. Sul suo percorso, un giurista oggi dimenticato concepì al centro del diritto del Novecento proprio l’uomo, la cui dignità veniva prima di qualsiasi interesse, anche degli Stati. Hersch Lauterpacht, giurista ebreo formatosi all’università di Leopoli (oggi in Ucraina), dopo le leggi naziste si pose una domanda: quale diritto può difendere l’uomo dallo Stato? La sua risposta fu rivoluzionaria: l’uomo, non lo Stato, è il soggetto primario del diritto, e anche del diritto internazionale (An International Bill of the Rights of Man, 1945). Il suo pensiero sarebbe stato quindi fondamentale per coniare i “crimini contro l’umanità” al Tribunale di Norimberga e definire la tutela dei diritti umani come imperativo del nuovo ordine internazionale fondato sulla Carta delle Nazioni Unite (1945) e sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948). Su questa scia fu soprattutto Winston Churchill, teorico del “liberalismo con riforme sociali” (Liberalism and the Social Problem, 1909), a promuovere l’idea di una carta europea dei diritti nel suo famoso discorso di Zurigo del 19 settembre 1946 quando propose la creazione di “una sorta di Stati Uniti d’Europa” e di un Consiglio d’Europa che garantisse pace, democrazia e libertà. Era maturata dunque l’idea che l’Europa dovesse avere la“sua” Convenzione, costruendo un diritto che valeva perché riconosciuto dalle comunità degli Stati come giusto, non perché imposto dal potere, e che per darne concreta attuazione occorreva anche una giurisdizione internazionale al di sopra degli Stati. Da allora, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha trasformato la speranza di giustizia in prassi quotidiana: il principio del giusto processo, la tutela della libertà di espressione, il divieto di discriminazioni, i diritti dei rifugiati e dei migranti, l’uguaglianza di genere e il rispetto della vita privata sono ancora il linguaggio europeo dello Stato di diritto.

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4. L’Italia nello spirito dei tempi


Anche in Italia – nonostante la prolungata parentesi autoritaria del fascismo – la strada per i diritti di una nuova Europa era stata tracciata. Piero Gobetti aveva osservato che la libertà non è statica ma un processo quotidiano, una disciplina che richiede minoranze attive, cittadini consapevoli, giudici coraggiosi e individui responsabili. Benedetto Croce aveva definito il liberalismo «la religione della libertà», sottolineando il suo fondamento morale. Anche i pensatori di ispirazione cattolica e socialista hanno contribuito a modellare una visione dei diritti coerente con i principi della CEDU. Giuseppe Dossetti sottolineava che la democrazia richiede una partecipazione responsabile e una legislazione orientata alla giustizia sociale. Aldo Moro osservava che la libertà individuale non può essere separata dalla solidarietà sociale e dal bene comune, anticipando i moderni concetti di equilibrio tra diritti civili e responsabilità sociale. E ancora, Norberto Bobbio ricordava che la democrazia non è solo regola procedurale, ma protezione sostanziale dei diritti delle minoranze. Parallelamente, i federalisti del Manifesto di Ventotene – Altiero Spinelli, Eugenio Colorni e Ernesto Rossi – avevano tracciato la prospettiva di un’Europa unita, fondata sulla democrazia dei diritti, anticipando lo spirito della CEDU e il processo di integrazione dell’Unione Europea. Sono questi i principi – recepiti nella stessa Costituzione italiana – che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha tradotto in molte occasioni in prassi concreta dello Stato di diritto nella società europea.

5. Il contributo della filosofia contemporanea


Tale eredità culturale, profondamente etico‑razionale, ha trovato un rinnovato vigore anche nel pensiero filosofico‑giuridico internazionale più recente, in particolare nel pensiero di Karl Popper, John Rawls, Michael Walzer e Jürgen Habermas. Già nel 1945, nell’opera The Open Society and Its Enemies, Karl Popper enunciava il celebre “paradosso della tolleranza”, ammonendo che «una tolleranza illimitata deve portare alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo la tolleranza illimitata anche a coloro che sono intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti, e la tolleranza insieme a loro». In questa visione il principio di Popper anticipa quanto sancito dalla Convenzione europea, che riconosce in una società libera la necessità di bilanciare la libertà individuale con la salvaguardia della democrazia e dell’ordine pubblico. In A Theory of Justice (1971) John Rawls definì la giustizia come equità (justice as fairness): una società è giusta quando garantisce a tutti le stesse libertà fondamentali e attenua anche le disuguaglianze per migliorare la condizione dei più deboli. La sua teoria è dunque nello spirito della Convenzione: anche qui la libertà individuale non è opposta all’uguaglianza, ma ne è il presupposto. Michael Walzer, in Spheres of Justice (1983), ricordò che ogni bene sociale ha la propria logica distributiva e che la giustizia è «complessa», perché plurali sono le sfere della vita. La Convenzione europea, nel suo modo, accoglie questa pluralità: non uniforma, non impone un modello, non discrimina le diversità, ma offre una misura comune, quella della dignità umana. Jürgen Habermas (in Between Facts and Norms: Contributions to a Discourse Theory of Law and Democracy, orig. Faktizität und Geltung, 1992‑96) sviluppa una teoria del diritto in cui la legittimità normativa nasce dal dialogo e dal consenso razionale tra cittadini: «Possono rivendicare legittimità solo quegli statuti che siano in grado di ottenere l’assenso di tutti i cittadini in un processo aperto della  legislazione che a sua volta è stato legalmente costituito». Habermas riformula così l’idea dello Stato di diritto in chiave deliberativa: la legge è giusta se nasce da un processo comunicativo che riconosce a ciascun individuo eguale dignità e capacità di partecipazione. In buona sostanza, si può leggere il richiamo kelseniano al primato della rappresentanza e alla centralità del parlamento rispetto al governo, a una figura presidenziale, o a qualsiasi altro potere. È lo stesso principio che ispira la Convenzione europea del 1950, laddove garantisce a “chiunque” il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti, senza distinzione alcuna (art. 14), e fonda la democrazia sulla partecipazione e sul dialogo pubblico.

6. La Convenzione di fronte alle sfide contemporanee


Settantacinque anni dopo la sua adozione, la CEDU rimane un faro giuridico per l’Europa, e non solo. Le società moderne affrontano sfide complesse: guerre, crisi climatiche, innovazioni tecnologiche e nuove forme di potere  possono minacciare la libertà e la sicurezza dei cittadini. Si stanno affermando logiche predatorie nelle società contemporanee, dove la prepotenza di attori pubblici e privati rischia di erodere ancora in forma più pervasiva i principi a tutela della dignità dell’uomo. I crimini di guerra sono tornati in Europa con l’aggressione all’Ucraina, di fronte alla quale il Consiglio d’Europa ha reagito con l’espulsione della Russia, partecipando al sistema delle sanzioni, e fornendo a Kiev la base giuridica per istituire un tribunale internazionale contro il crimine di aggressione, superando così i caveat attuali posti anche dagli USA alla Corte penale internazionale. Il tema dell’immigrazione è costantemente oggetto di tensioni, ma la  Convenzione indica la via: anche  il bene comune della sicurezza va salvaguardato mantenendo fermo il quadro giuridico sulla tutela della dignità della persona.  C’è poi la sfida della tecnologia digitale, che pone seri interrogativi sulla libertà, la privacy e la responsabilità. Un esempio solo apparentemente banale di tale influenza: nella cittadina francese di Lieusaint l’uso di una nota app di servizi per la viabilità ha ingolfato le strade urbane con un flusso incessante di automobili, mettendo a rischio la sicurezza dei bambini e degradando la qualità della vita. Il sindaco Bisson sta cercando di dialogare con la piattaforma per tutelare i cittadini facendo appello anche alla CEDU. In questi scenari, sarà sempre essenziale il richiamo alla Convenzione quando occorrerà bilanciare qualsiasi interesse di attori pubblici o privati, incluse le  piattaforme digitali, con  la tutela dei diritti e della dignità umana. Il 75° anniversario della Convenzione va ricordato in questa certezza: la promessa di un’Europa salda sui diritti è ancora una speranza di fronte alle sfide di questi tempi ancora incerti per il futuro dell’umanità.

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