La tutela prevista per il dipendente segnalante è applicabile esclusivamente quando la denuncia ha per oggetto condotte illecite rilevanti per l’interesse pubblico e non può essere estesa a segnalazioni motivate da interessi personali o da mere rivendicazioni nei confronti dei propri superiori.
Indice
1. Limiti di applicazione della tutela del whistleblower: esclusione in caso di interessi personali
La Corte di cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 1880 del 27 gennaio 2025 ha stabilito che le tutele a favore del whistleblower non si applicano se la segnalazione è effettuata per fini personali o per rivendicazioni contro i propri superiori.
Nella sentenza in argomento, in particolare, il ricorrente prospettava la violazione e falsa applicazione dell’articolo 54-bis del d.lgs. 165/2001 ratione temporis (oggi disciplinato dal D.lgs. n. 24/2023)e, inoltre, richiamava il quadro normativo in cui si inscrive l’istituto invocato, a norma del quale il dipendente che abbia segnalato condotte illecite delle quali sia venuto a conoscenza del proprio rapporto di lavoro, non può essere destinatario di misure ritorsive quali sanzioni, demansionamento, licenziamento, trasferimento o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi diretti o indiretti sulle condizioni di lavoro, in ragione della segnalazione effettuata.
Difatti, l’articolo 54-bis del 165/2001, prevedeva che “fuori dai casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del Codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, o all’Autorità nazionale anticorruzione, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia”.
Tale istituto risponde ad una duplice ratio, consistente da una parte nel delineare un particolare status giuslavoristico in favore del soggetto che segnala illeciti e, dall’altro, nel favorire l’emersione dall’interno delle organizzazioni pubbliche, di fatti illeciti, promuovendo forme più incisive di contrasto alla corruzione. In particolare, il dipendente virtuoso non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati alla segnalazione effettuata, che deve avere ad oggetto una condotta illecita, non necessariamente penalmente rilevante[1].
Il whistleblowing non è quindi utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Questo tipo di conflitti, infatti, sono disciplinati da altre normative e da altre procedure.
Pertanto, non si è in presenza di una segnalazione ex art 54-bis del d.lgs. 165/2001, oggi abrogato, scriminante, allorquando il segnalante agisca per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori[2].
La tutela riconosciuta ai whistleblower, finalizzata a far emergere casi di corruzione nella pubblica amministrazione, non può essere invocata da chi agisce principalmente per interessi personali o per contestazioni e rivendicazioni relative al rapporto di lavoro nei confronti dei propri superiori.
Nel caso specifico, il pubblico dipendente ha impugnato la sanzione disciplinare della sospensione inflittagli per aver, tra l’altro, presentato due esposti alla Procura della Repubblica, nei quali delineava uno scenario privo di fondamento e abusava del proprio ruolo con l’intento di danneggiare l’onorabilità professionale della dirigenza dell’ente di appartenenza.
La Cassazione, confermando la decisione della Corte d’Appello, ha ribadito che la normativa in materia di whistleblowing tutela il dipendente che segnala condotte illecite, garantendogli protezione da sanzioni, licenziamenti o misure discriminatorie. Tuttavia, tale tutela non può essere applicata quando le segnalazioni hanno una natura strettamente personale e sono finalizzate a rivendicazioni nei confronti dei superiori.
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2. Il principio della Cassazione
La sentenza della Corte di cassazione, Sezione Lavoro, n. 1880 del 27 gennaio 2025, ribadisce un principio fondamentale in materia di whistleblowing: la tutela prevista per il dipendente segnalante è applicabile esclusivamente quando la denuncia ha per oggetto condotte illecite rilevanti per l’interesse pubblico e non può essere estesa a segnalazioni motivate da interessi personali o da mere rivendicazioni nei confronti dei propri superiori.
Il legislatore ha introdotto il whistleblowing come strumento di contrasto alla corruzione e alle irregolarità nella pubblica amministrazione, garantendo protezione al lavoratore che agisce in buona fede e nell’interesse collettivo. Tuttavia, la normativa non può essere distorta per giustificare azioni che, anziché rientrare nella logica della denuncia di illeciti, perseguano finalità ritorsive o di conflitto personale con l’amministrazione o con i dirigenti.
Pertanto, la Cassazione, in linea con la disciplina previgente di cui all’art. 54-bis del D.lgs. 165/2001 (ora sostituito dal D.lgs. 24/2023), conferma che il dipendente pubblico che abusa dell’istituto del whistleblowing per finalità diverse dalla segnalazione di condotte illecite non può beneficiare delle tutele previste dalla legge. L’uso improprio dello strumento, infatti, non solo esclude la protezione del segnalante, ma può anche configurare un abuso del diritto con possibili conseguenze disciplinari e sanzionatorie.
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