La Cassazione sulla violazione degli obblighi di assistenza familiare

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La Corte di Cassazione, con una recente sentenza (n. 40698 del 5 ottobre 2023) ha sancito che ai fini della configurabilità del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’obbligo del genitore naturale di procurare i mezzi di sussistenza ai figli minori sorge con la nascita degli stessi, anche nel caso in cui il riconoscimento del loro “status” consegua all’accertamento giudiziale definitivo, che produce, pertanto, retroattivamente i propri effetti.

Per approfondimenti si consiglia: Dibattimento nel processo penale dopo la Riforma Cartabia

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Corte di Cassazione – Sez. VI Pen. – Sentenza n. 40698 del 05/10/2023

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1. I fatti

La pronuncia della Corte scaturisce da un procedimento che vedeva l’imputato accusato del delitto di cui all’art. 570 c.p. per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore, omettendo integralmente di corrispondere alla madre della minore denaro o altre utilità idonee al soddisfacimento dei bisogni primari della prole nonché di esserci strenuamente opposto al riconoscimento della paternità ponendo in essere una serie di condotte abusive nell’ambito del procedimento civile, avente ad oggetto il riconoscimento della paternità dell’imputato.
Il Tribunale ha dichiarato di non doversi procedere nei suoi riguardi per esito positivo della messa alla prova.
Al che, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione articolando tre motivi:
– violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.;
– vizio di motivazione quanto alla ritenuta mancanza di serietà della questione pregiudiziale riguardante il riconoscimento dello stato di padre dell’imputato, accertato dal Tribunale e dalla Corte d’appello solo con sentenza non irrevocabile, attesa la pendenza del giudizio per Cassazione;
– violazione dell’art. 238-bis cod. proc. pen. per quanto attiene alla utilizzabilità delle due sentenze non irrevocabili di riconoscimento di paternità, emesse nel giudizio civile.

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2. L’analisi della Cassazione

Ricostruendo entrambi i procedimenti, la Corte di Cassazione ha affermato che l’imputato, preso atto dell’esito positivo della messa alla prova, depositava la sentenza con cui la Suprema Corte (civile) aveva annullato con rinvio la sentenza con cui era stata dichiarata giudizialmente la paternità dell’imputato.
La Corte, in particolare, aveva annullato la sentenza per la violazione dell’art. 273 cod. civ., attesa la mancanza del consenso della minore ultraquattordicienne al promovimento ovvero al perseguimento dell’azione finalizzata al riconoscimento della paternità.
Nel corso della stessa udienza l’imputato aveva chiesto che fosse emessa sentenza di proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. ovvero, nuovamente, che fosse disposta la sospensione del processo ai sensi dell’art. 3 cod. proc. pen.
Sulla base di tale articolato quadro di riferimento, il Tribunale con la sentenza impugnata ha ritenuto di non sospendere il processo e di non emettere una sentenza di proscioglimento nel merito ritenendo invece provata la paternità dell’imputato sulla base del contenuto delle sentenza emesse nel giudizio civile da cui si evinceva che l’accertamento della paternità era “avvenuto all’esito della prova scientifica (test DNA) eseguita nel corso del giudizio di primo grado“: dunque, una prova tratta dalla sola lettura delle sentenza che faceva riferimento agli esiti della prova del Dna assunta in sede civile.
Secondo la Corte di Cassazione, tale ragionamento sarebbe viziato in quanto “l’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio ha origine al momento della nascita di questi, anche se la procreazione sia successivamente accertata con sentenza; la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti costitutivi del riconoscimento ex art. 254 cod. civ. e comporta per il genitore, ai sensi dell’art. 261 cod. civ., tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ai sensi dell’art. 148 cod. civ.“.
Riprendendo costante e consolidata giurisprudenza, la Suprema Corte ha poi affermato che “anche nell’ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, per ciò stesso non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, proprio perché il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato, nei confronti di entrambi i genitori, è sorto fin dalla sua nascita“.
La Corte ribadisce che, comunque, è l’accertamento dello status di figlio naturale che costituisce il presupposto per l’esercizio dei diritti connessi a tale status, perché prima di tale momento non vi è pronuncia su questo.
Ai sensi dell’art. 258 cod. civ. il riconoscimento non ha effetto che riguardo a quello dei genitori da cui fu fatto; l’atto di riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all’altro genitore e queste indicazioni, qualora siano fatte, sono senza effetto.

3. Le conclusioni della Cassazione

Alla luce di quanto detto, la Corte ritiene che debba essere rivista l’affermazione secondo cui “ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 570 cod. pen. l’obbligo di procurare i mezzi di sussistenza ad un figlio minore sussiste indipendentemente dalla formale attribuzione della responsabilità genitoriale“.
Ad avviso della Cassazione, si tratta di una affermazione che deve essere esplicitata: “il genitore è obbligato sin dalla nascita nei riguardi del figlio, indipendentemente dalla formale attribuzione della responsabilità genitoriale, ma è dal riconoscimento del suo status, cioè dall’accertamento definitivo giudiziale del suo status di genitore che l’obbligo nasce“.
Sulla base di ciò, il Tribunale non avrebbe fatto una corretta applicazione di tali principi in quanto, a seguito dell’annullamento disposto dalla Corte di Cassazione (civile, ndr) lo status di genitore dell’imputato non è stato definitivamente accertato nel procedimento civile di riconoscimento giudiziale di paternità e, pur in assenza di un accertamento definitivo dello stato di genitore del ricorrente e del suo obbligo di contribuire al mantenimento della minore, ha ritenuto di non sospendere il processo ai sensi dell’art. 3 cod. proc. pen. e non attendere l’esito del giudizio civile.
La Corte ribadisce un concetto già sancito: “le sentenze pronunciate in procedimenti civili e non ancora divenute irrevocabili, legittimamente acquisite al fascicolo del dibattimento nel contraddittorio tra le parti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., possono essere utilizzate come prova limitatamente alla esistenza della decisione e alle vicende processuali in esse rappresentate, ma non ai fini della valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti oggetti di accertamento in quei procedimenti“.
Ne deriva che nel caso di specie non è stato affatto accertato che il ricorrente, in quanto genitore, fosse obbligato a mantenere la minore.
Secondo tali motivazioni, la Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata atteso che, il Tribunale, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., avrebbe dovuto prosciogliere l’imputato perché il fatto non sussiste.

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Riccardo Polito

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